“Una Coalizione Europeista per il Centrosinistra”. Intervista a Stefano Ceccanti

Dopo le elezioni regionali siciliane il processo politico italiano sta avendo, come è ovvio, una accelerazione. Tutto questo in vista delle elezioni politiche del 2018.Le diverse forze politiche stanno posizionandosi in vista di quella scadenza. Il maggior movimento si nota nel centrosinistra e alla sinistra del PD. Quale coalizione? E su quale linea politica si potrà costruire una coalizione competitiva?Il cammino non si presenta per nulla facile. Ne parliamo, in questa intervista, con il professor Stefano Ceccanti, docente di Diritto Pubblico Comparato all’Università “La Sapienza di Roma”. Ceccanti è anche un esponente di spicco dell’area liberal del Partito Democratico.

 Professor Ceccanti, lei è un’esponente di spicco dell’area liberal del Pd (insieme a Tonini e  Morando). Siete molto vicino a Matteo Renzi. Spassionatamente le chiedo: non è preoccupato per lo stato del PD.  Io vedo un partito ancora frastornato dalla débacle del dicembre dello scorso anno, adesso arriva questa botta micidiale del voto siciliano.  Non è così professore?

Penso che dovremmo partire prima dall’Italia e non dal Pd, prima dal contesto che dallo strumento. Il problema dell’essere frastornati dopo il referendum riguarda l’Italia prima che il Pd. La percentuale del Sì il 4 dicembre, il 40%, che pur sarebbe importantissima in un’elezione politica, è stata purtroppo pari a quella dei sostenitori delle forze politiche di maggioranza. I pochi elettori dissenzienti di queste forze sono stati bilanciati da pochi elettori delle forze di opposizione. Purtroppo il risultato era in larga parte ipotecato dopo la rottura con Berlusconi in seguito all’elezione di Mattarella. I riflessi negativi sono soprattutto per l’Italia perché con quella riforma sarebbe stato possibile presentarsi agli elettori in un secondo turno elettorale nazionale per un’unica Camera con rapporto fiduciario con due piattaforme politiche alternative chiaramente individuabili analogamente a quanto accade per i sindaci. Invece da allora siamo immersi tutti in una sorta di palude che rende difficile prospettare una via d’uscita chiara, nonostante gli sforzi del Pd, che resta nel paese la forza di gran lunga più radicata, come iscritti e come elettori che partecipano democraticamente alle decisioni, e nonostante le sagge guide di Gentiloni a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale. Se il tema è il referendum dobbiamo quindi preoccuparci più per l’Italia che non per il Pd. E’ chiaro però che il Pd che è stato costruito come un partito a vocazione maggioritaria di Governo ha a questo punto più problemi di altri (parlo del Pd come tale, non tanto di Renzi) perché il contesto istituzionale è a questo punto ostile, le elezioni non comportano chiaramente la scelta di un Governo: questo tende a favorire o le forze che prendono voti sulla protesta  o quelle che sono più spregiudicate nel siglare alleanze che non sono veramente di governo.

Quanto alla Sicilia, invece, non c’entra nulla, si tratta di una non notizia: la volta scorsa Crocetta aveva vinto solo perché il centro-destra si era diviso in due. Sarebbe come rimproverare il centro-destra per non aver vinto in Emilia o Toscana. Astrattamente si può certo dire che avendo vinto, pur per errori altrui, il centrosinistra ha sprecato un’occasione per farsi apprezzare. Tuttavia bisogna anche considerare che Crocetta ha lavorato senza una maggioranza in Assemblea regionale e che quella è una sede in cui la regola antistorica è il voto segreto ed in cui quindi le responsabilità possono essere eluse.

Parliamo di Matteo Renzi. Indubbiamente il confronto televisivo con i giornalisti per lui è stato positivo sul piano della tenuta dialettica, però sul piano dell’autocritica e dei contenuti non è stato per nulla efficace. Anzi è   apparso molto   scontato. Qual è il     suo pensiero?

In realtà il dibattito ha dimostrato soprattutto il grado di faziosità di un certo tipo di giornalismo in cui si riflettono due tic: il primo è di dare addosso a un interlocutore che appare in difficoltà e che magari verrebbe esaltato acriticamente se sembrasse in fase ascendente; la seconda è pensare di fatto di privilegiare altri soggetti politici come il Movimento 5 Stelle, a cui non viene opposta un’analoga rigidità di criteri e di giudizi, con un’opera di fiancheggiamento nell’illusione di poterli costituzionalizzare, di poter riempire il loro obiettivo vuoto di contenuti da parte di un pezzo di establishment che si ritiene in grado di fornire contenuti. E’ una linea editoriale evidente non da oggi e che ha anche precisi precedenti storici: basti pensare all’atteggiamento di una parte della classe dirigente liberale verso il fascismo. La storia non si ripete, ma allora tanto bene non andò…

Il giorno dopo il dibattito, visto la grande audience televisiva, ha ricominciato a parlare, lo ha fatto anche durante il confronto con i giornalisti, dell’obiettivo del 40 %. Sulla coalizione di centrosinistra l’impressione forte che dà è di non crederci (salvo con i cespugli come Alfano). Eppur e il buon senso, e la virtù della prudenza dovrebbero suggerire al Segretario PD di mettersi intorno ad un tavolo e cercare una mediazione con la sinistra. Come ha fatto Romano Prodi a suo tempo. La politica vive anche di mediazione …. Perché secondo lei Renzi non comprende questa banale verità? Non può essere cosi sciocco da pensare che una buona performance di share si trasformi in voti. Se ragiona così nega il principio di realtà….

Il problema è su quale linea politica anzitutto di raccordo coi cittadini si intenda cercare di ottenere quell’ambizioso obiettivo politico. L’Italia ha bisogno di raccordarsi alla leadership di Macron nel sostenere un balzo in avanti dell’integrazione politica come enunciata nel discorso alla Sorbona e per questa ragione ha bisogno di muoversi in continuità con le scelte politiche realizzate dai Governi della legislatura. L’azione di Draghi, decisiva nel far ripartire l’Europa in termini di sviluppo, è stata resa possibile in termini decisivi dalla credibilità italiana con la riforma del Jobs Act. Se questa è la linea, comprensibile per i cittadini, la scelta del sistema di alleanze politiche compatibili viene di conseguenza. Ci sono coloro che hanno condiviso con il Pd responsabilità di Governo per tutta la legislatura ed è quindi ovvio che la proposta si rivolga primariamente a loro, a meno che qualcuno non intenda autoescludersi. E’ quello che l’Ulivo nel 1996 fece con componenti più moderate come quella di Dini: in questo senso il paragone col Prodi del 1996 è giusto. Ci sono poi forze a sinistra del Pd che devono decidere se la loro prospettiva è quella unitaria di Governo per il Paese o se invece esse si ritengono vocate a una posizione minoritaria testimoniale o di risentimenti personali. Anche in questo caso l’esempio del 1996 è quello giusto: i Verdi accettarono questa logica, mentre Rifondazione Comunista no. Ovviamente non credo invece che qualcuno voglia rifarsi all’esempio di Prodi del 2006 quando le maglie si allargarono troppo da Rifondazione fino a Mastella con gli effetti disastrosi che ne conseguirono.

Ricapitoliamo quindi la situazione attuale che vede a sinistra del Pd tre gruppi distinti.

Ci sono anzitutto forze che sono state all’opposizione per l’intera legislatura e che quindi, prendendole com’è giusto sul serio, sono inevitabilmente incomponibili con esso.

Ce ne sono invece altre, una seconda area. che hanno condiviso responsabilità fino quasi alla fine e che sembrano invece mosse non tanto da dissensi di merito (altrimenti questa collaborazione passata non si spiegherebbe), ma dalla difficoltà di accettare per la prima volta nella propria vita di ritrovarsi in minoranza in un partito, tanto da aver promosso una scissione. Se così è il problema non sembra tanto di trovare compromessi sul programma perché la tentazione, l’unico programma, sembra consistere nel far perdere il Pd anche a prezzo di suicidarsi e di dare il Paese in mano di altri. Qui, almeno con una parte più responsabile, si può cercare di dialogare, separando le pregiudiziali personali dai compromessi sul programma. Con chi privilegia i secondi, accordi possono essere trovati. Anche perché per i due terzi dei seggi le liste della medesima coalizione sono comunque in concorrenza e possono marcare le proprie differenze.

Non bisogna però neanche dimenticare che c’è una terza area, un consistente gruppo di eletti in Sel ha aderito al Pd o è uscito da Sel magari collocandosi nel Gruppo Misto mantenendo l’appoggio ai Governi che sono seguiti, persone che hanno anche precisi riferimenti tra sindaci e amministratori locali. Pertanto quest’area a sinistra del Pd sarà comunque coalizzata con esso insieme ad altre realtà senza rappresentanza parlamentare in questo periodo (Verdi e Radicali).

Parliamo di coalizione. Quelli di articolo Uno affermano. “occorre una svolta radicale nelle politiche del centrosinistra (jobs act e Buona scuola)”. E ovvio che se si apre il tavolo della discussione ognuno rinuncia a qualcosa. Per voi liberal si possono trovare questi punti? Quali, se esistono?

L’asse politico-culturale intorno a cui devono ruotare le varie proposte è quello della nuova integrazione politica europea contro le tentazioni sovraniste e quindi le scelte in grado di dare all’Italia la credibilità interna per perseguire questa linea. Dentro questo schema tutto è negoziabile, fuori da esso si rischierebbero confusioni analoghe a quelle che sono presenti nel M5s e nel centrodestra, con proposte fra il surreale e il pericoloso come referendum sull’euro o doppie monete. Ne parleremo nel nostro convegno di Orvieto del 2 e 3 dicembre. Faccio un esempio: l’idea di rimettere in discussione il sistema pensionistico non tenendo conto della crescita dell’aspettativa di vita è demagogica e irresponsabile, fa perdere credibilità al sistema paese e quindi allontana l’integrazione politica. Invece l’individuazione precisa dei lavori usuranti (quelli che riducono effettivamente l’aspettativa di vita) e le modalità del cosiddetto anticipo pensionistico per ragioni sociali sono questioni serie, suscettibili di saggi compromessi programmatici.

Da diverse parti si chiede a Renzi, non di abdicare, ma di fare un gesto lungimiranza politica. E questo gesto potrebbero le primarie o di trovare una personalità terza che riesca ad unire i “pezzi” del centrosinistra. Se così non fosse vincerebbe la linea “gruppettara” di D’Alema. Con la conseguenza di regalare Mdp dopo le elezioni ai 5stelle. E’ un bene questo per l’Italia?

Non capisco il ragionamento. Se c’è una coalizione spetta come dappertutto al partito maggiore esprimere la guida del Governo per la coerenza che ci deve essere tra consenso, potere e responsabilità. Se ci si vuole alleare col Pd e negargli la leadership basta prendere più voti del Pd: in fondo per due terzi dei seggi si corre da soli. A me sembra fisiologico che, come dappertutto nelle democrazie parlamentari il Pd indichi il proprio segretario. Se però si sostiene che il Pd e la coalizione dovrebbero indicare Gentiloni questo però significa che ci si riconosce nell’attuale Governo e che quindi la discontinuità richiesta non è affatto programmatica.

Renzi dice il “centrodestra il giorno dopo le elezioni si spacca” e spera pure   che Berlusconi sia della partita. Non trova sconcertante questo tipo di ragionamento?. 

Premesso che Renzi e il Pd chiedono il 40% e quindi di risolvere la partita direttamente in sede elettorale, il problema è politico. Solo in Italia assistiamo a una coalizione tra chi si dice legato alla Merkel e chi alla Le Pen. E’ giusto dubitare che quel tipo di accordo, che porta alle proposte paradossali come quella della circolazione della doppia moneta lira/euro, possa reggere ed è giusto dirlo agli italiani prima che ciò possa verificarsi.

 Una battuta sulla legge elettorale. Quel “genio” di Rosato ha combinato un bel pasticcio…….Qual è il suo giudizio?

La legge era chiamata a ridurre i danni del risultato referendario e della conseguente sentenza della Corte che ha eliminato il ballottaggio dato che era rimasto il doppio rapporto fiduciario. Questo è stato fatto: sceglieremo i rappresentanti con un mix decente di collegi uninominali e di liste bloccate corte di pochi candidati stampati sulla scheda. Ci siamo scampati le tante incongruenze tra Camera e Senato ed alcune follie come la preferenza unica al Senato sulla mostruosa scala regionale. Certo la legge non poteva risolvere i problemi di governabilità che però non sono risolubili con questa frammentazione del voto a Costituzione invariata e che derivano dal risultato del referendum. Indubbiamente il discorso andrà ripreso nella prossima legislatura prospettando l’integrale adozione del sistema francese e forse bisognerebbe cominciare a dirlo nei programmi elettorali. Anche questo proporremo puntualmente a Orvieto il 2 e 3 dicembre.

Ultima domanda: i sondaggi danno per scontato che la partita sarà tra centrodestra e 5Stelle. Per lei?

Questi sondaggi sono costruiti senza i collegi elettorali che ancora non esistono, senza conoscere l’offerta politica sia dei candidati sia delle coalizioni perché non è chiaro il panorama delle liste che si presentano, senza prospettarci cosa accade al Senato (dove i 18-25 enni non votano). Il loro valore è quindi pari a zero. La partita è tutta da giocare.