La ricca bibliografia sul “caso Moro”, ma non tutta è di qualità, si amplia con questo saggio, in uscita questa settimana nelle librerie, di Sara Cordella dal titolo emblematico: Foto-grafie del 1978. La grafologia racconta il sequestro di Aldo Moro, Il papato di Giovanni Paolo II, la presidenza Pertini (Prefazione di Fiore De Rienzo e Paolo Di Giannantonio-Ed.Associazione Artisti & Autori Italiani ed Europei, Vicenza 2018, pagg. 100). Un libro che ci offre, tra l’altro, una particolare prospettiva di lettura del Caso Moro. Ne parliamo, in questa intervista con l’autrice. Sara Cordella, veneziana, laureata in lettere è grafologo forense specializzata in Grafologia criminologica. Nella sua attività si è occupata di molti casi di cronaca “nera”.
Il tuo libro, su quell’anno drammatico, il 1978, può essere considerato come un panorama foto-grafico sulla notte della Repubblica. Una notte cupa…La tua scienza grafologica ci fa rivivere i personaggi dentro la loro interiorità. Parliamo in particolare della vicenda Moro, che occupa grande rilievo, come è giusto che sia, nel tuo libro . Partiamo, quindi, dal caso Moro. Tu analizzi alcune lettere di Moro, che sono tra le più importanti, e ci consegni anche un Moro, per certi versi, poco conosciuto. Un uomo lucidissimo, vigile, che sa usare la parola. Eppure di fronte alla parola di Moro il potere è afono…. è così?
I 55 giorni della prigionia vedono una produzione ricchissima di lettere, un caso unico in Italia. Questo ci permette di seguire passo passo il percorso che lo porta alla morte e di comprendere come in più modi e con diversi registri cerchi di offrire soluzioni per la sua liberazione. Aldo Moro cerca diversi interlocutori, anche lontani dal suo mondo di valori e dal suo pensiero, li invita a riflettere, li sprona, li implora di non far andare a termine questa ingiustizia che per lui è inaccettabile. Eppure trova totalmente stravolti tutti i rapporti e le distanze. Chi nel campo politico sarebbe dovuto stare al suo fianco e lottare per lui, fa cadere inascoltate le sue richieste, chi era prima lontano sembra appoggiare le sue proposte. Moro non riceverà mai risposta alle sue lettere ma è evidente che, anche nei silenzi, anche totalmente isolato, comprende tutto ciò che accade al di fuori di quei pochi metri quadri che sono la sua prigione. E comprende che non è una realtà che lo può né lo vuole aiutare nelle modalità in cui sperava.
Attraverso la grafia ricostruisci, con efficacia, le personalità di alcuni grandi protagonisti di quella vicenda: Andreotti, Cossiga, Craxi, Paolo VI.Fa impressione vedere la calibrazione della scrittura di Moro quando invia le lettere ai due uomini politici più importanti per il suo destino (Andreotti e Cossiga)…Anche in questo si nota la lucidità dello statista pugliese. Ce ne puoi parlare?
Moro era un politico nel vero senso della parola, come non ne esistono oggi. Quando scrive è esattamente come parlasse di fronte al destinatario e ne immaginasse risposte e reazioni. La scrittura si modifica in lui esattamente come si modificasse il tono di voce e quindi nelle lettere c’è un racconto nel racconto. Ne vediamo la concretezza, la volontà di non aggiungere fronzoli ma di arrivare subito al dunque quando scrive a Cossiga, il volere mantenere cautela e distanze con Craxi, il valorizzare il detto ma soprattutto il non detto ad Andreotti. E’ come se in ogni lettera riuscisse a creare un tutt’uno tra mittente e destinatario e le due anime convivessero in quelle righe.
La tua analisi della grafia consente di cogliere alcuni momenti della prigionia Moro. Ci sono stati momenti di speranza e di rabbia?
La rabbia in Moro è in quasi tutte le lettere percorsa dalla speranza. L’impotenza dell’uomo privato della sua libertà non annienta mai l’uomo propositivo e arrabbiato soprattutto con i “suoi”. Moro resta in tutte le lettere un uomo di fede… questo fino quasi alla fine, fino a quando comprende che nulla si può fare e che la sua storia è scritta.
Nella tua analisi della lettera di Moro a Craxi affermi che Moro non nutre molta fiducia in Bettino Craxi, eppure lo cerca…
Le grafie di Moro e Craxi non potrebbero essere più diverse. Craxi con una grafia ampia, quasi gonfiata, ci parla di una personalità straripante e abilissima nella comunicazione mediatica. Moro invece ha una grafia molto più piccola, controllata, parca. Eppure Moro non sbaglia a rivolgersi a quello che politicamente poteva essere il suo opposto. Certo, ne mantiene le debite distanze ma un uomo come lui sa procedere in punta di piedi. Anche cercando il sostegno di un partito considerato spregiudicato e di un rappresentante che, scopriremo negli anni successivi, ha saputo far del decisionismo la sua bandiera.
Ma è nelle lettere alla famiglia che esce fuori il Moro “nudo”,stiamo parlando degli ultimi giorni di vita. “Nella scrittura, piccola, ammorbidita, sembra quasi di sentire il suo tono di voce, sommesso, commosso, a tratti spezzato dall’immagine dei ricordi. Parla di futuro, lui che futuro non ne ha più. E tutto, in Moro, diventa piccolo e fragile: le mani di Noretta che condurranno la sua tenerezza, i suoi occhi che chissà come vedranno dopo”. Così scrivi nel libro sulle lettere alla famiglia. L’impressione che si ha, in particolare nell’ultima lettera è di trovarsi di fronte ad una “crocifissione”…anche la firma di Moro cambia…una spoliazione perfino estetica . E’ così?
Sì. L’immagine rende bene l’idea. Moro di fronte alla morte e alla consapevolezza della sua fine resta nudo e così la sua grafia. Nudo ma sempre un uomo vestito di dignità. Solo con i familiari riesce a parlare della sua fine e solo a loro affida i suoi ricordi e le sue immagini più intime. Il Moro che si sente abbandonato volge dapprima lo sguardo amorevole alla moglie e poi, cattolico fino alla fine, lo volge al cielo. “Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.
Come sappiamo nella vicenda Moro sono stati commessi tanto errori, troppi direi, di impreparazione strategica. Tra questi vi è la valutazione delle lettere. Qual è il tuo parere?
Raccogliendo e studiando il materiale ho notato che una prima perizia grafologica fu disposta praticamente subito dopo l’arrivo delle prime lettere. Mi sono chiesta come mai fosse così importante essere a conoscenza dello stato emotivo, di salute, di lucidità di Moro e ho compreso che lo strumento grafologico nel 1978 fu considerato uno strumento, l’unico utilizzabile, davvero potente. Questa urgenza, anche alla luce delle perizie disposte successivamente, io credo fosse correlata più al dopo che al durante. Credo che ai tempi ci fosse grandissima preoccupazione per come sarebbe uscito Moro, qualora fosse uscito vivo. E questo è stato un errore fondamentale perché non ci si è soffermati, come poi dirà Sciascia, sul vero significato delle lettere che, forse, oltre a offrire soluzioni per la liberazione, contenevano molto di più, forse anche la chiave per trovarlo.
Ultima domanda: Il tuo libro, come detto all’inizio, è un libro sul 78. L’anno dell’omicidio Moro, di quello di Peppino Impastato, della morte di Paolo VI, e della vicenda dei due Papi. Un anno di svolta della storia italiana e non solo. Se tu dovessi analizzare, da grafologa, un segno grafico che caratterizza quell’ anno cosa scriveresti?
Il 78 è stato anno di grandissimi personaggi che hanno fatto della fermezza di carattere il loro stile di vita. E’ stato ancora un anno di martiri, un anno in cui storie drammaticamente buie hanno portato a luci che ancora oggi brillano. Se chiudo gli occhi posso immaginare il 78 come una grafia a tratti rigida e controllata, ben piantata sul rigo, con forti angoli di resistenza ma arricchiti di bellissimi chiaroscuri che hanno reso questo anno in bianco e nero, una nitida fotografia a colori. Ancora oggi attuale.