Il 2018, sul fronte della politica, si chiude con il tradizionale discorso di fine del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un discorso secco, senza retorica, ma severo nel riaffermare i valori della solidarietà. Un discorso che si pone lontanissimo da Matteo Salvini.
Di questo parliamo, insieme agli altri temi che hanno segnato la politica italiana in questi giorni, con Fabio Martini cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa”.
Fabio Martini, partiamo dal discorso del Presidente Mattarella. Un discorso mite ma fermo sui valori, un elogio all’Italia che unisce. Insomma un discorso alternativo al salvinismo?
Sergio Mattarella ha fatto un discorso da Capo dello Stato che rappresenta l’unità nazionale e dunque, di fatto, ha fatto un discorso alternativo al salvinismo. La condanna dell’insulto, dell’astio, dell’intolleranza; gli auguri espliciti di buon anno agli immigrati che vanno a scuola e fanno sport in Italia; la condanna (persino troppo esplicita per un Presidente) della “tassa sulla bontà” sonotutti elementi che collocano il discorso presidenziale su un versante lontanissimo da quello leghista. Un discorso contro il “cattivismo”, una esplicita apologia dei buoni sentimenti, di questi tempi così vilipesi. E’ mancata una condanna del recentissimo strappo imposto dalla maggioranza: far approvare la legge più importante dello Stato senza che i 951 parlamentari potessero spostare una virgola. Ma Mattarella ha usato perifrasi severe e soprattutto ha fatto capire che questa procedura non dovrà ripetersi. Un discorso secco, senza retorica, ma severo e attraversato da un notevole senso dell’umanità: di gran lunga il più bel discorso da quando è Capo dello Stato.
La “manovra”, tra evidenti forzature, è stata approvata. Come ne esce la maggioranza? A me sembra che non sia stata una bella prova di forza, ma al contrario una prova di debolezza strategica della maggioranza. Per te?
Se parliamo soltanto di maggioranza e non di altro, il consuntivo non è brillante. L’incresciosa procedura, mai adottata nella storia della Repubblica, di far approvare un testo del governo senza che il Parlamento potesse modificarlo, non è stata una decisione imposta dalla fretta. Ma dalla necessità di impedire che si manifestassero dissensi su questo o quel punto all’interno della maggioranza. Le espulsioni di alcuni parlamentari dai Cinque Stelle appena la legge di bilancio è stata approvata, confermano questa lettura. Sì, la maggioranza ha palesato una certa debolezza strategica.
Guardiamo alla manovra. Per molti osservatori è una manovra recessiva, che guarda più ai clientes della maggioranza che al Paese, ovvero elettoralistica. Sappiamo che le risorse per le misure “bandiera” non sono quelle sperate. Insomma pensi che davvero la manovra vada incontro ai desiderata del loro elettorato?
Gran parte delle risorse sono concentrate su due provvedimenti – reddito di cittadinanza e “quota 100” – che vanno incontro alle attese di altrettanti segmenti sociali: gli operai del Nord vicino alla pensione ma senza averne maturati i diritti e i disoccupati del Sud. Tutte le Finanziarie hanno un’intenzione elettoralistica e questa non fa eccezione, ma effettivamente un certo ridimensionamento delle risorse potrebbe ridurne l’effetto-consenso. Le limitazioni previste sui pensionamenti anticipati potrebbero ridurre la platea degli aspiranti e di conseguenza anche gli entusiasti. Con un’aggravante: per finanziare questa misura si congelano o si tagliano le pensioni di tanti. Anche se al punto di vista elettoralistico l’effetto più pericoloso potrebbe venire quando il reddito di cittadinanza inizierà ad essere erogato: soprattutto al Nord, quanti lavoratori con redditi da 800-1000 euro guadagnati faticosamente, sopporteranno quelle indennità così estese per chi non lavora o lavora in nero? O nel Sud, chi avrà diritto ad un reddito decurtato, si contenterà o finirà per mugugnare, diminuendo l’area del consenso?
Qual è il punto debole di questa cosiddetta “manovra del popolo”?
La scommessa è quella di riaccendere un po’ di domanda interna, mettendo denaro fresco nelle tasche di molte migliaia di giovani. Vedremo. Ma per finanziare i due provvedimenti-bandiera si sono tagliati i fondi per gli investimenti, diversi, possibili incentivi per le imprese e la pressione fiscale è cresciuta, sia pure di poco: il rischio è quello di “assecondare” una recessione serpeggiante.
Che Italia esce fuori dalla manovra?
Gli italiani impauriti da una modernità spesso poco accogliente escono confermati nell’idea che sia di nuovo e anzitutto lo Stato a doverci difendere: i pensionamenti anticipati rispetto alla tendenza in atto in tutta Europa e gli assegni per i disoccupati riportano in primo piano il ruolo centrale della spesa pubblica. Per i populisti al governo lo Stato è più importante delle imprese.
Parliamo delle dinamiche politiche di questi primi sette mesi del cosiddetto governo del “cambiamento.” Come si è visto il “leader” indiscusso è stato Matteo Salvini che ha costretto Di Maio ad una continua rincorsa. Il risultato è chiaro: Salvini cresce e i 5stelle scendono. Pensi che, nei prossimi mesi, i 5tstelle punteranno, in funzione anti-Salvini, più sul premier o su Di Battista?
Il presidente del Consiglio dovrà mantenere quella posizione di equilibrio che ne ha favorito il consenso nell’opinione pubblica. Per Alessandro Di Battista sarà ritagliato un ruolo di guastatore: con quali margini di autonomia lo vedremo. Però è probabile che, d’accordo con Di Maio, Di Battista diventi una sorta di stopper di Salvini.
Parliamo di Giuseppe Conte. Tra gaffe, anche molto gravi, e tentativi, non sempre riusciti, di assumere un profilo autonomo, possiamo dire che il dandy pugliese ha dato segnali di capacità di mediazione politica (vedi la trattativa con l’Europa). Indubbiamente si rivelato una delle poche risorse spendibili per i 5stelle. Proseguirà il suo processo di autonomia ?
No. Il presidente del Consiglio non ha molti margini di autonomia. Un suo protagonismo potrebbe averlo se prima o dopo le elezioni Europee dovesse verificarsi una crisi di governo: se i Cinque Stelle la subiranno, potrebbero indurre Conte (da loro indicato) ad assumere un atteggiamento “vittimistico”. Ma in una politica così veloce e così emotiva, fare previsioni a medio termine, è un azzardo.
Su Matteo Salvini si è detto tutto o quasi. In questi mesi ha invaso ogni spazio comunicativo, come e di più di Renzi. Adesso il suo obiettivo sono le Europee. Pensi che staccherà la spina o, invece si accontenterà di un rimpasto in stile doroteo?
Non c’è nulla di deciso. A rigor di logica, il vero “fixing” sarà determinato dal risultato delle elezioni Europee. Se una delle due forze di governo dovesse essere premiata dagli elettori – in particolare se sarà la Lega – difficile non immaginare una ridiscussione degli assetti di governo. Compreso il ruolo del presidente del Consiglio. Paradossalmente il risultato che potrebbe stabilizzare maggiormente il governo, sarebbe un’avanzata inferiore alle aspettative per entrambi i partiti. Ma le difficoltà di attuazione dei due provvedimenti-bandiera potrebbero accelerare una crisi di governo. Anche prima delle Europee.
Per i 5stelle l’esperienza governativa si sta rivelando molto problematica. Hanno dovuto ingoiare troppi “rospi” (dal loro punto di vista). Reggeranno l’urto delle Europee?
Se parliamo di “rospi”, prima delle Europee, ci sono cinque mesi nel corso dei quali si presenteranno diversi passaggi stretti per il Movimento di Di Maio. Due in particolare: come farlo per davvero il Reddito di cittadinanza? Farla o no la Tav? Dopo i “rospi” già ingoiati (Tap, Ilva), i Cinque stelle potrebbero essere “sazi” e questo potrebbe creare problemi seri nella navigazione del governo.
Il PD ha dato segnali di vita. Farà il suo Congresso alla viglia delle Europee. Troppo tardi per costruire una alternativa ai gialloverdi. Insomma l’attraversata nel deserto è ancora lunga?
In queste ultime settimane il Pd è come se avesse vissuto uno sdoppiamento tra partito e gruppi parlamentari. Il congresso si sta avvicinando in modalità molto introverse: dei principali sfidanti alla segreteria nulla si sa. Nulla si sa delle loro idee di Paese. Nulla si sa di quale Pd vorrebbero. Nulla si sa della loro analisi della sconfitta alle Politiche del 4 marzo. E questo è tanto più sbalorditivo se si pensa che mancano oramai pochi giorni alla celebrazione dei primi congressi di Circolo, chiamati a votare sulle mozioni e sugli sfidanti. I due gruppi parlamentari, invece, hanno dimostrato nel contrasto al governo una notevole presenza ed efficacia. Guidati efficacemente dai rispettivi capigruppo, il gruppo della Camera e quello del Senato hanno contrastato con efficacia, anche comunicativa, la procedura senza precedenti adottata dal governo sulla legge di bilancio e la gestione a tratti dilettantesca dell’aula di Montecitorio. Perfomances non casuali, che risentono di una buona selezione del personale parlamentare. Questo ha consentito alle “eccellenze” dei due Gruppi di emergere: deputati come Stefano Ceccanti, Enrico Borghi, Emanuele Fiano, Luigi Marattin, Gennaro Migliore; senatori come Antonio Misiani, oltre a Matteo Renzi. Dopodiché non è mai troppo tardi per costruire una posizione politica alternativa a quella del governo: oggettivamente parlando, le premesse sono scoraggianti.
Nel 2018 la parola chiave per da dare un significato alla politica italiana, dopo il risultato del 4 marzo, è stata RIVOLUZIONE. Nel 2019 quale sarà, secondo te, la parola chiave della politica italiana?
Una certezza: Europa sarà la parola-chiave del 2019. Perché abbiamo già una certezza: l’Europa che abbiamo conosciuto negli ultimi 20 anni non ci sarà più. Come e quanto cambierà, lo decideranno gli elettori europei a fine maggio. Ma in Italia, dopo la rivoluzione del 2018, la parola-chiave potrebbe essere restaurazione. Intesa nel senso letterale e non nella prevalente connotazione negativa. Dopo gli strappi, formali e sostanziali, del 2018, il 2019 potrebbe essere segnato dalla restaurazione di alcuni valori e forze accantonati nel corso dell’anno passato.