IL VANGELO SECONDO MATTIA. INTERVISTA A DON MATTIA FERRARI

 

“«Sei pronto?» gli chiede Alessandro. Tommy è ancora in posa, ma non risponde. Lo vedo con la bocca spalancata, come quando scorge balenottere o delfini, meravigliandosi come solo gli uomini di mare sanno fare quando nella solitudine delle traversate incontrano qualcuno che in fondo considerano un proprio simile. Tommy è immobile. Lui, sempre guascone e pronto alla battuta, all’improvviso s’è fatto tutto serio. Ci passa il binocolo: «Guardate». E indica un punto con il dito. Sulla Mare Jonio intanto fissano il radar. Anche lì c’è una macchiolina scura. Tommy ha ragione. Lì, in mezzo al deserto blu del Mediterraneo centrale, c’è un gommone piccolo e sovraccarico: 30 persone. Il motore è in avaria. La loro unica speranza di sopravvivere, oggi, qui dove nessuno viene più a pattugliare, si chiama Mediterranea Saving Humans. Sono 30 persone in fuga dal nulla e dalla morte, scampate dalle torture nei campi libici. Da prete so che in fondo la mia è la missione della «barca di Pietro». Ma mai mi sarei sognato di salire un giorno su un’altra «barca di Pietro» perché insieme ad altri diventassimo, letteralmente, «pescatori di uomini».”

Così inizia l’avventura e il racconto di Don Mattia Ferrari, giovane sacerdote modenese, con la nave della ONG Mediterranea. Una bella avventura, un modo forte ed esigente di testimoniare il Vangelo. Per lui l’impegno di salvare i migranti che attraversano quel tratto di mare è la realizzazione del grande sogno di Papa Francesco: la Chiesa come “ospedale da campo”. In questo libro (“PescatorI d’uomini”.Ed Garzanti), scritto con il grande inviato del quotidiano cattolico Avvenire Nello Scavo, don Mattia ci racconta come si sviluppa la sua vocazione di servire i più poveri e i dannati della terra.  In questa intervista approfondisce con noi il valore della sua storia.

 

Mattia, il tuo libro si legge tutto d’un fiato. È intenso, mi sono commosso a leggere alcune pagine della tua vita. Sei molto giovane ma già con una storia importante. Allora partiamo da una prima considerazione : il tuo libro è un inno a Papa Giovanni, che tu hai scoperto attraverso l’amicizia con monsignor Loris Capovilla (che è stato segretario di Angelo Roncalli). TI chiedo perché è così importante, per te giovane prete del XXI secolo, la figura di Giovanni XXIII?

Conobbi la figura di Papa Giovanni negli anni del liceo, nel 2012. A scuola, al liceo Muratori, stavo sperimentando la bellezza e l’importanza del cammino della Chiesa con tutte le persone di buona volontà. Mi trovavo con compagni di scuola, insegnanti e collaboratori scolastici spesso non credenti, ma animati da ideali profondi di umanità e di giustizia. Insieme ci immergevamo nel patrimonio della cultura, letteraria, filosofica, scientifica e riflettevamo sul mistero della vita e sui grandi interrogativi che albergano nel cuore dell’uomo, grazie agli strumenti preziosissimi che la letteratura ci fornisce. Mi rendevo così sempre più conto di quanto fosse importante, e anche bello, percorrere con tutte le persone di buona volontà il cammino di scoperta del mistero della vita e di costruzione di un mondo migliore. A un certo punto mi imbattei nella figura di Papa Giovanni, grazie ai racconti dei miei nonni, che erano stati giovani negli anni del suo pontificato: mi colpivo come loro, comunisti, parlassero con così tanto affetto del Papa buono. Ho così voluto iniziare a studiare la sua figura e il suo messaggio e in lui ho trovato proprio l’illustrazione della strada che stavamo percorrendo al liceo. Papa Giovanni ci ha mostrato che è possibile abbracciarci gli uni gli altri, al di là delle nostre provenienze culturali e religiose, e camminare insieme. E questa strada ha ripreso nuovo slancio con Papa Francesco.

 

La seconda considerazione che voglio fare è questa : nel racconto della tua vita traspare una grande serenità, anche di fronte a momenti duri (per esempio la morte del tuo amico carissimo Fabrizio, un ragazzo dotato di estrema sensibilità con il dono grande dell’amicizia). Questo colpisce il tuo Interlocutore. Dove sta la radice profonda di questo?

Sta nell’aver sperimentato, e nel continuare a sperimentare, l’amore. Vedere, sentire l’amore, mi ha fatto capire che il male non avrà mai l’ultima parola. Ci sono sofferenze, anche grandi, ma l’amore dà quell’energia interiore che dà la forza per andare avanti. Non cancella la sofferenza, ma aiuta ad attraversarla. La mia famiglia, la scuola, la mia parrocchia, Mediterranea e tante realtà che ho conosciuto mi hanno mostrato che l’amore sorprende sempre. Aprendoci dunque all’amore, troviamo la forza per continuare il cammino.

 

Torniamo al tuo libro. Ho trovato bellissimo  il titolo perché mette insieme,  unisce la tua vocazione presbiterale con quello di soccorritore, insieme ai tuoi compagni di Mediterranea, dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Come hai scoperto questa tua vocazione ad essere un “Pescatore d’uomini”?

Grazie all’amicizia. Sono stati i ragazzi e le ragazze Tpo e Labas, con cui siamo amici da anni proprio grazie alla comune amicizia verso i migranti, ad avermi trascinato dentro a questa avventura. Ed è stato Luca Casarini, a nome di tutto l’equipaggio, a chiedermi di salire a bordo. Mai mi sarei aspettato di farlo in vita mia. Ma appunto l’amore sempre. E l’amore grande che c’è nel cuore di quei ragazzi, di Luca e degli altri componenti di Mediterranea li ha portati a intraprendere questa avventura e a trascinarmi con loro, proprio in virtù della nostra amicizia, cioè del nostro amore.

 

 Ci sono pagine belle nel tuo libro: quelle sul tuo incontro con i così detti “lontani”. In questo sei un figlio del Concilio Vaticano II. In più pagine ringrazi i “lontani” perché  da loro hai ricevuto una bella testimonianza evangelica…. Io dico : è un bel paradosso evangelico. È così Mattia?

Sì, è un paradosso evangelico. Ma è la bellezza del Vangelo. Il Vangelo è innanzitutto una sostanza viva, una forma di vita. Anche chi non professa la fede cristiana, può viverlo, perché  il Vangelo lo vive chiunque apre il suo cuore al sentimento di compassione viscerale” che spinge all’azione e porta, ci dice Gesù, a vivere la vita piena. Tante persone lontane” dalla Chiesa hanno aperto il proprio cuore a quel sentimento di compassione viscerale” e mi hanno mostrato il Vangelo vissuto.

 

Sappiamo che hai, per questo, ricevuto critiche, anche feroci, non solo dagli ambienti della destra leghista e da quella neofascista, ma anche da ambienti cattolici (o supposti tali). Per loro sei il “prete dei centri sociali”. Come rispondi alle accuse? 

Le accuse che ho ricevuto mi fanno soffrire quando mostrano che, chi le muove non ha capito lo spirito con cui i miei compagni e compagne ed io agiamo. Ma più delle accuse a me, mi dispiacciono le critiche che vengono mosse a Papa Francesco su questi temi. Papa Francesco è semplicemente fedele al suo maestro, Gesù. Bisognerebbe che chi critica Papa Francesco su queste cose, avesse l’onestà intellettuale e la coerenza di criticare anche Gesù. 

 

Quali sono stati i momenti più duri e quelli più belli della tua esperienza di “Pescatore d’uomini”?

Il più duro è stato quando il 2 maggio abbiamo dovuto assistere a un respingimento di persone verso la Libia. La funzione delle navi di soccorso in mare non è solo quella di salvare le persone, ma anche quella di testimoniare e denunciare ciò che avviene: per questo si cerca di criminalizzarle. Il 2 maggio abbiamo assistito a una conversazione sul canale radio su cui avvengono le comunicazioni internazionali a un dialogo tra un aereo europeo dell’operazione militare EUNAVFORMED Sophia e la cosiddetta Guardia costiera libica in cui l’aereo europeo segnalava la presenza di due imbarcazioni di migranti e coordinava l’intervento dei libici. Abbiamo provato ad arrivare prima, ma non ce l’abbiamo fatta. Quanto fatto da Europa e Libia, e quello avvenuto quel giorno è solo uno dei tanti casi, è di massima gravità: riportare le persone in fuga dal luogo da cui scappano, se in quel luogo sono a rischio la loro vita o la loro incolumità, è una violazione del diritto umano internazionale al non respingimento. È stato un momento durissimo: vedere la tua Europa fare questo ti spezza il cuore. Ma almeno grazie alla nostra presenza in mare abbiamo potuto denunciare tutto questo all’opinione pubblica e alla magistratura.

Il momento più bello è stato quello del salvataggio: vedere insieme le persone soccorse, provenienti da tanti Paesi diversi e scampate alla morte per ingiustizia (perché è l’ingiustizia che costringe le persone a intraprendere viaggi così pericolosi) grazie al fatto che i ragazzi e le ragazze di Mediterranea hanno scelto di opporsi all’ingiustizia e di mettersi in gioco in prima persona, mi ha mostrato che un mondo diverso è davvero possibile.

 

Tu incarni la “Chiesa ospedale da campo” sognata da Papa Francesco. Eppure nella Chiesa vi sono forti resistenze, non solo tra le gerarchie ma anche, in alcune parti, del laicato. Pensi che sia irreversibile la rivoluzione di Francesco?

Ti ringrazio per questa definizione: spero di essere davvero in grado di incarnare la Chiesa ospedale da campo”, ma so che non faccio quanto dovrei per riuscirci. Ci sono tanti preti e tanti cristiani e cristiane che comunque lo fanno molto meglio di me. La rivoluzione di Francesco spero sia irreversibile, perché significa una maggiore fedeltà al Vangelo. Papa Francesco non sta facendo altro che aiutare la Chiesa ad essere più fedele a Gesù. Tornare indietro rispetto a quello che lui sta facendo significherebbe tradire il Vangelo. Ho fiducia che andremo avanti anche perché ci sono tanti vescovi, tra cui il mio (Erio Castellucci), Matteo Zuppi, Corrado Lorefice, Paolo Lojudice, Jean-Claude Hollerich e tantissimi altri (non li cito tutti, perché sarebbe un elenco davvero lungo) che sono perfettamente inseriti in questo cammino. E ci sono tante donne e uomini nella Chiesa che vivono con autenticità il Vangelo e seguono il cammino che Francesco sta tracciando. Ho conosciuto alcune persone, tra cui Giulia Ognibene e Manuela Di Grazia che cito nel libro, che mi hanno mostrato che nella Chiesa, in mezzo a resistenze e difficoltà, ci sarà sempre anche chi vive con fedeltà il Vangelo.

 

Ultima domanda: Stiamo vivendo un periodo terribile: quello della pandemia da Coronavirus. Il futuro sarà difficilissimo. Le difficoltà economiche saranno gravi. Cosa vedi all’orizzonte : nuovi conflitti tra poveri oppure, invece, una possibile rinascita nel segno della solidarietà? 

Spero vivamente che usciremo da questa pandemia avendo maturato davvero la consapevolezza che siamo un’unica grande famiglia umana e che nessuno si salva da solo. Non so se ce la faremo: da una parte vedo tanta solidarietà, ma dall’altra vedo anche segnali inquietanti. Il relativo silenzio mediatico con cui nei giorni scorsi è avvenuto il respingimento illegale di 51 persone migranti riportate in Libia e la morte di 5 loro compagni per sete e di altri 7 per annegamento in mezzo al mare, non lontano da Lampedusa, non chiama in causa solo la responsabilità di Malta e dei governi europei, ma anche la società civile tutta. Finché  la nostra società permetterà che queste cose avvengano senza agire e senza levare così in alto la voce al punto che davvero queste tragedie criminali non si ripetano più, il cambiamento non ci sarà stato. Ma Mediterranea mi ha mostrato che ci sarà sempre chi lotta per la giustizia accanto agli ultimi e chi costruisce in prima persona un mondo migliore. Proprio da loro dobbiamo ripartire. E ogni volta che parlo con i miei compagni e compagne di Mediterranea, sento rinascere la speranza, perché vedendo l’amore che hanno nel cuore capisco che l’amore resiste e vincerà.