
CEO of Stellantis Carlos Tavares (Photo by Daniel Pier/NurPhoto via Getty Images)
Com’è noto, si è tenuto ieri l’Electrification Day di Stellantis. L’attesa era alta, un po’ per
comprendere le reali intenzioni del quarto gruppo mondiale dell’auto; un po’ perché qualcuno si aspettava la sorpresa, ovvero l’annuncio della nuova Giga Factory di batterie in Italia. E, appunto, l’annuncio c’è stato: il sito prescelto è quello di Termoli. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.
Sabella, cosa significa per il nostro Paese la Giga Factory di Termoli?
È un’operazione industriale importante. Mi lasci però prima dire che se oggi l’Italia sta ritrovando centralità nel settore dell’automotive, questo è grazie agli accordi di Pomigliano del 2010. Senza quelle intese Fiat in Italia avrebbe chiuso – e con essa gran parte del nostro settore auto – e non saremmo qui a celebrare questa svolta. Il contraccolpo di quella vicenda, alla fine, è stato tutto per il sistema confindustriale che non è stato in grado di far fronte ad un’occasione di innovazione importante. E ha perso non solo terreno ma anche l’azienda più importante che aveva. C’è chi ci ha creduto ed è per questo stato attaccato e biasimato. Mi riferisco a una vulgata che ha coinvolto persino l’Accademia e il Parlamento. Una cosa incredibile e mai vista prima, in presenza oltretutto di una importante operazione di rilancio industriale che da Pomigliano oggi fa tappa a Termoli.
Perché la definisce un’operazione industriale importante?
I motivi sono diversi a cominciare da quello prettamente industriale: sappiamo che la vera ragione per cui il Lingotto ha voluto la fusione con PSA è per ridurre la sua distanza dalla frontiera dell’elettrico. Se c’è un limite della stagione di Marchionne – che non dimentichiamolo mai ha preso in mano una Fiat tecnicamente fallita e, portandola alla fusione con Chrysler, l’ha resa uno dei marchi più competitivi al mondo – è quello di non aver oltrepassato il confine dell’oil. Oggi la Giga Factory di Termoli avvicina l’industria italiana alla tecnologia dell’elettrico. Ma facciamo un passo indietro: l’anno scorso, Pietro Gorlier (responsabile area EMEA di Stellantis) disse testualmente “nel giro di due/tre anni, Europa e Italia diventeranno l’epicentro della produzione mondiale della mobilità elettrica”. Tuttavia, poco risalto per queste dichiarazioni: ad oggi è prevalsa l’idea – sempre tra i soliti noti – che la Francia farà razzia delle nostre produzioni, a vantaggio del proprio comparto manifatturiero.
E invece?
Non che questa possibilità non esista, nelle alleanze – anche in quelle più riuscite – vi sono sempre conflitti di interesse latenti. Il punto è che oggi una delle missioni più importanti che hanno i governi è proprio questa: nel mondo globalizzato, ministri e primi ministri devono sempre più operare a protezione della propria economia e delle proprie imprese. Quindi, se qualcuno fa affari a suo vantaggio con le nostre aziende, ciò può significare anche che non sono state protette adeguatamente e in qualche caso svendute, come del resto è successo. È molto importante quindi, quando si sta al governo, sapere quali sono le imprese che si possono cedere e quali no. Negli anni passati è stato uno stillicidio. Oggi possiamo dire che questa situazione si sta normalizzando.
Nel caso specifico in un certo senso succede il contrario: è la Francia a darci qualcosa. È così?
Questo è un altro aspetto per cui ritengo importante questa operazione: il consolidamento della partnership europea tra Francia e Italia, nell’ottica di contrastare USA e Cina. Ma c’è un altro elemento che mi pare significativo: la terza Giga Factory di Stellantis in Europa per la produzione di batterie per veicoli elettrici – le altre due sono in Francia e Germania – sarà allocata presso lo stabilimento delle Meccaniche di Termoli, in Molise, dove lavorano oltre duemila addetti. Si tratta di uno stabilimento vecchio che produce motori a combustione, a rischio chiusura. È evidente che nel giro di qualche anno vi saranno cali produttivi significativi. In questo modo, si dà un futuro industriale e occupazionale a questo sito produttivo in un’area del Paese – il Mezzogiorno – che ha bisogno di investimenti come questo. Deve essere questa un’operazione pilota del Green Deal italiano, soprattutto al Sud. Come sappiamo, il nord produttivo è più agganciato al cuore dell’industria europea, la Germania. Ed è più avanti dal punto di vista dell’innovazione.
Tavares ha parlato anche dell’investimento complessivo nell’elettrificazione. Quali considerazioni possiamo fare?
Possiamo certamente dire che Pietro Gorlier un anno fa non scherzava affatto. Gli obiettivi di Tavares ed Elkann sono molto ambiziosi: entro il 2030 i veicoli elettrificati dovranno rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% delle vendite negli USA. Per il raggiungimento di questi obiettivi, il piano di Stellantis prevede oltre 30 miliardi di euro da investire entro il 2025 nell’elettrificazione e nello sviluppo software. Si tenga presente che due mesi fa Stellantis e Foxconn – il più grande produttore di componenti elettronici al mondo nonché il principale assemblatore di Apple, Dell, HP, Microsoft, Motorola, Nintendo, Nokia, ecc. – firmavano un memorandum d’intesa per dare vita a Mobile Drive, nuova realtà dedicata allo sviluppo di tecnologie digitali per l’auto. Il software sarà il “cuore” della mobilità elettrica. In particolare, Mobile Drive proporrà programmi di infotainment, telematica e sviluppo di piattaforme cloud service attraverso innovazioni di software che dovrebbero includere applicazioni basate in particolare su intelligenza artificiale e comunicazione 5G. Questo ci dice quanto si stia sempre più riducendo la differenza tra manifattura e servizi: l’industria 4.0 è sempre di più servizio. La UE sembra puntare molto sulla mobilità elettrica, del resto in Europa c’è Stellantis ma ci sono anche Renault e Volkswagen, Daimler, BMW…
Come ho scritto nel mio libro “Ripartenza verde” , la trasformazione della mobilità è il più rilevante obiettivo che il Green Deal europeo si è dato, non solo per rispondere alla questione climatica, ma anche perché da un punto di vista economico le implicazioni sono rilevantissime. Sebbene il 2020 sia l’annus horribilis dell’automobile (-24,3% di immatricolazioni in Ue, -27,9% Italia), si registra una crescita significativa della diffusione dell’auto elettrica (+107% Ue, +251,5% Italia). Mobilità elettrica però significa anche infrastrutture e batterie, cosa su cui in Europa bisogna accelerare e su cui i costruttori stanno facendo pressing sull’Unione. Del resto, come si vende l’auto elettrica se non ci sono le colonnine? Anche se, in futuro, l’evoluzione dell’auto elettrica potrebbe prescindere dalle colonnine. Il movimento dell’auto, infatti, è in grado da sé di produrre energia.
In conclusione, concentriamoci in prima battuta sulle infrastrutture: qual è al momento la situazione?
Secondo Acea, al momento ci sono circa 200mila colonnine in tutta Europa. Il Green Deal ne prevede 3 milioni installate entro il 2030. In Italia, l’ultimo aggiornamento del Piano Nazionale Energia e Clima (2020) ha stimato che, entro 10 anni, la rete di ricarica passerà da 8mila a 45mila stazioni e il parco circolante raggiungerà un ventaglio compreso tra i 4 e i 6 milioni di auto elettriche. Per quanto riguarda la produzione di batterie, è questo un mercato dominato dalla Cina; Australia e Usa fanno la loro parte ma sono molto indietro. Su questo versante, l’Europa si sta organizzando per essere autonoma, come del resto per la produzione di vaccini e semiconduttori. La Giga Factory di Termoli è nel segno di questa logica.
Veniamo ora all’aspetto occupazionale: il motore elettrico è più semplice e più piccolo di circa la metà rispetto al motore a combustione. Quali sono le conseguenze di questa trasformazione sul piano del lavoro?
Naturalmente il problema è serio. Motore elettrico significa meno componenti e meno mano d’opera. Mobilità elettrica però vuol dire anche infrastrutture e batterie. E, in quest’ottica, l’installazione delle colonnine per l’alimentazione e lo sviluppo dell’industria delle batterie sono occasione di riconversione e di ricollocazione dei flussi occupazionali in uscita dal settore dell’automotive. I governi hanno un compito importante: accompagnare la trasformazione con politiche del lavoro efficaci, che significa riqualificazione e ricollocazione di lavoratori e lavoratrici. Se pensiamo al nostro Paese, questo è il nostro punto debole, e non è una novità. Sono gli enti locali – le Regioni – ad avere le deleghe del lavoro: bisogna che lavoriamo sulla modernizzazione dei nostri servizi all’impiego, soprattutto nel centro sud del Paese.