Da Pomigliano a Termoli: è in Italia la nuova “giga factory” di Stellantis. Intervista a Giuseppe Sabella

CEO of Stellantis Carlos Tavares (Photo by Daniel Pier/NurPhoto via Getty Images)

CEO of Stellantis Carlos Tavares (Photo by Daniel Pier/NurPhoto via Getty Images)

Com’è noto, si è tenuto ieri l’Electrification Day di Stellantis. L’attesa era alta, un po’ per
comprendere le reali intenzioni del quarto gruppo mondiale dell’auto; un po’ perché qualcuno si aspettava la sorpresa, ovvero l’annuncio della nuova Giga Factory di batterie in Italia. E, appunto, l’annuncio c’è stato: il sito prescelto è quello di Termoli. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.

Sabella, cosa significa per il nostro Paese la Giga Factory di Termoli?
È un’operazione industriale importante. Mi lasci però prima dire che se oggi l’Italia sta ritrovando centralità nel settore dell’automotive, questo è grazie agli accordi di Pomigliano del 2010. Senza quelle intese Fiat in Italia avrebbe chiuso – e con essa gran parte del nostro settore auto – e non saremmo qui a celebrare questa svolta. Il contraccolpo di quella vicenda, alla fine, è stato tutto per il sistema confindustriale che non è stato in grado di far fronte ad un’occasione di innovazione importante. E ha perso non solo terreno ma anche l’azienda più importante che aveva. C’è chi ci ha creduto ed è per questo stato attaccato e biasimato. Mi riferisco a una vulgata che ha coinvolto persino l’Accademia e il Parlamento. Una cosa incredibile e mai vista prima, in presenza oltretutto di una importante operazione di rilancio industriale che da Pomigliano oggi fa tappa a Termoli.

Perché la definisce un’operazione industriale importante?
I motivi sono diversi a cominciare da quello prettamente industriale: sappiamo che la vera ragione per cui il Lingotto ha voluto la fusione con PSA è per ridurre la sua distanza dalla frontiera dell’elettrico. Se c’è un limite della stagione di Marchionne – che non dimentichiamolo mai ha preso in mano una Fiat tecnicamente fallita e, portandola alla fusione con Chrysler, l’ha resa uno dei marchi più competitivi al mondo – è quello di non aver oltrepassato il confine dell’oil. Oggi la Giga Factory di Termoli avvicina l’industria italiana alla tecnologia dell’elettrico. Ma facciamo un passo indietro: l’anno scorso, Pietro Gorlier (responsabile area EMEA di Stellantis) disse testualmente “nel giro di due/tre anni, Europa e Italia diventeranno l’epicentro della produzione mondiale della mobilità elettrica”. Tuttavia, poco risalto per queste dichiarazioni: ad oggi è prevalsa l’idea – sempre tra i soliti noti – che la Francia farà razzia delle nostre produzioni, a vantaggio del proprio comparto manifatturiero.

E invece?
Non che questa possibilità non esista, nelle alleanze – anche in quelle più riuscite – vi sono sempre conflitti di interesse latenti. Il punto è che oggi una delle missioni più importanti che hanno i governi è proprio questa: nel mondo globalizzato, ministri e primi ministri devono sempre più operare a protezione della propria economia e delle proprie imprese. Quindi, se qualcuno fa affari a suo vantaggio con le nostre aziende, ciò può significare anche che non sono state protette adeguatamente e in qualche caso svendute, come del resto è successo. È molto importante quindi, quando si sta al governo, sapere quali sono le imprese che si possono cedere e quali no. Negli anni passati è stato uno stillicidio. Oggi possiamo dire che questa situazione si sta normalizzando.

Nel caso specifico in un certo senso succede il contrario: è la Francia a darci qualcosa. È così?
Questo è un altro aspetto per cui ritengo importante questa operazione: il consolidamento della partnership europea tra Francia e Italia, nell’ottica di contrastare USA e Cina. Ma c’è un altro elemento che mi pare significativo: la terza Giga Factory di Stellantis in Europa per la produzione di batterie per veicoli elettrici – le altre due sono in Francia e Germania – sarà allocata presso lo stabilimento delle Meccaniche di Termoli, in Molise, dove lavorano oltre duemila addetti. Si tratta di uno stabilimento vecchio che produce motori a combustione, a rischio chiusura. È evidente che nel giro di qualche anno vi saranno cali produttivi significativi. In questo modo, si dà un futuro industriale e occupazionale a questo sito produttivo in un’area del Paese – il Mezzogiorno – che ha bisogno di investimenti come questo. Deve essere questa un’operazione pilota del Green Deal italiano, soprattutto al Sud. Come sappiamo, il nord produttivo è più agganciato al cuore dell’industria europea, la Germania. Ed è più avanti dal punto di vista dell’innovazione.

Tavares ha parlato anche dell’investimento complessivo nell’elettrificazione.  Quali considerazioni possiamo fare? 
Possiamo certamente dire che Pietro Gorlier un anno fa non scherzava affatto. Gli obiettivi di Tavares ed Elkann sono molto ambiziosi: entro il 2030 i veicoli elettrificati dovranno rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% delle vendite negli USA. Per il raggiungimento di questi obiettivi, il piano di Stellantis prevede oltre 30 miliardi di euro da investire entro il 2025 nell’elettrificazione e nello sviluppo software. Si tenga presente che due mesi fa Stellantis e Foxconn – il più grande produttore di componenti elettronici al mondo nonché il principale assemblatore di Apple, Dell, HP, Microsoft, Motorola, Nintendo, Nokia, ecc. – firmavano un memorandum d’intesa per dare vita a Mobile Drive, nuova realtà dedicata allo sviluppo di tecnologie digitali per l’auto. Il software sarà il “cuore” della mobilità elettrica. In particolare, Mobile Drive proporrà programmi di infotainment, telematica e sviluppo di piattaforme cloud service attraverso innovazioni di software che dovrebbero includere applicazioni basate in particolare su intelligenza artificiale e comunicazione 5G. Questo ci dice quanto si stia sempre più riducendo la differenza tra manifattura e servizi: l’industria 4.0 è sempre di più servizio. La UE sembra puntare molto sulla mobilità elettrica, del resto in Europa c’è Stellantis ma ci sono anche Renault e Volkswagen, Daimler, BMW…
Come ho scritto nel mio libro “Ripartenza verde” , la trasformazione della mobilità è il più rilevante obiettivo che il Green Deal europeo si è dato, non solo per rispondere alla questione climatica, ma anche perché da un punto di vista economico le implicazioni sono rilevantissime. Sebbene il 2020 sia l’annus horribilis dell’automobile (-24,3% di immatricolazioni in Ue, -27,9% Italia), si registra una crescita significativa della diffusione dell’auto elettrica (+107% Ue, +251,5% Italia). Mobilità elettrica però significa anche infrastrutture e batterie, cosa su cui in Europa bisogna accelerare e su cui i costruttori stanno facendo pressing sull’Unione. Del resto, come si vende l’auto elettrica se non ci sono le colonnine? Anche se, in futuro, l’evoluzione dell’auto elettrica potrebbe prescindere dalle colonnine. Il movimento dell’auto, infatti, è in grado da sé di produrre energia.

In conclusione, concentriamoci in prima battuta sulle infrastrutture: qual è al momento la situazione?
Secondo Acea, al momento ci sono circa 200mila colonnine in tutta Europa. Il Green Deal ne prevede 3 milioni installate entro il 2030. In Italia, l’ultimo aggiornamento del Piano Nazionale Energia e Clima (2020) ha stimato che, entro 10 anni, la rete di ricarica passerà da 8mila a 45mila stazioni e il parco circolante raggiungerà un ventaglio compreso tra i 4 e i 6 milioni di auto elettriche. Per quanto riguarda la produzione di batterie, è questo un mercato dominato dalla Cina; Australia e Usa fanno la loro parte ma sono molto indietro. Su questo versante, l’Europa si sta organizzando per essere autonoma, come del resto per la produzione di vaccini e semiconduttori. La Giga Factory di Termoli è nel segno di questa logica.

Veniamo ora all’aspetto occupazionale: il motore elettrico è più semplice e più piccolo di circa la metà rispetto al motore a combustione. Quali sono le conseguenze di questa trasformazione sul piano del lavoro? 
Naturalmente il problema è serio. Motore elettrico significa meno componenti e meno mano d’opera. Mobilità elettrica però vuol dire anche infrastrutture e batterie. E, in quest’ottica, l’installazione delle colonnine per l’alimentazione e lo sviluppo dell’industria delle batterie sono occasione di riconversione e di ricollocazione dei flussi occupazionali in uscita dal settore dell’automotive. I governi hanno un compito importante: accompagnare la trasformazione con politiche del lavoro efficaci, che significa riqualificazione e ricollocazione di lavoratori e lavoratrici. Se pensiamo al nostro Paese, questo è il nostro punto debole, e non è una novità. Sono gli enti locali – le Regioni – ad avere le deleghe del lavoro: bisogna che lavoriamo sulla modernizzazione dei nostri servizi all’impiego, soprattutto nel centro sud del Paese.

Creare una Coscienza civica per il futuro. Intervista a Luca Rolandi

Un libro di Gloria Schiavi e Luca Rolandi, giornalisti e osservatori della realtà, pubblicato dall’editrice torinese Neos racconta le storie di comunità, donne e uomini, giovani e adulti che nel nostro Paese, prima e durante la pandemia, si impegnano per trovare nuove strade di partecipazione civica. “Coscienza civica e dove trovarla. Storie da una Italia che r-esiste”. Ne parliamo, in questa intervista, con Luca Rolandi.

Come è nata l’idea di scrivere un libro su questo tema, di attualità sicuramente ma non sempre considerato come si dovrebbe?

C’è bisogno di coscienza civica, di formazione di donne e uomini che siano orientati a pensare e agire per il bene comune. Insieme a Gloria Schiavi, giornalista e documentarista, con una grande esperienza internazionale abbiamo provato a raccontare alcune storie straordinarie per la loro semplicità e coerenza. Come ricorda spesso Gloria si tratta di storie belle di persone che combattono per fare in modo che le cose vadano nella direzione giusta. Storie “inspiring”, con cui speriamo di stimolare il cambiamento e l’impegno civico. Il progetto editoriale è  nato come una sfida mettendo insieme sensibilità diverse, le nostre di autori, e le esperienze composite dei testimoni. Speriamo che il libro possa essere letto e discusso da tante comunità. Provare a trovare il bene non è facile. Noi con molta umiltà e mettendoci in ascolto ci abbiamo provato.

Quali sono le storie che raccontate nel saggio?

Intanto va detto che noi abbiamo osservato e raccolto la testimonianza di tantissime persone:   28 storie di cittadinanza attiva e di partecipazione “dal basso”, 28 casi esemplari di coscienza civica, 28 iniziative sparse su tutto il territorio nazionale, da Torino a Roma a Lecce, da Milano a Rimini ad Accumoli, messe in campo da comuni cittadini che si sono dimostrati capaci di avviare cambiamenti all’interno delle loro realtà e che si battono per il bene comune nelle forme più diverse, alcune assai innovative (inclusione dei più deboli, sostenibilità, ri-uso, co-housing, agricoltura biologica, lotta alla speculazione immobiliare, valorizzazione dei territori marginali, piattaforme digitali e civic hacking, ecc.). “Storie di ordinario civismo”, come le definisce il sociologo Franco Garelli, che firma la prefazione, collegate tra loro “dal filo rosso di una creatività sociale attenta a misurarsi con il possibile e il realizzabile”.

Chi sono i protagonisti di questa r-esistenza civica?

Gruppi di cittadini che lottano per realizzare il “quartiere che vogliamo”, che si mobilitano intorno a palestre, campi sportivi ed aree verdi, che recuperano vecchie fabbriche abbandonate per farne luoghi di convivialità, che ridanno vita ad aree montane e collinari oramai spopolate, che realizzano condomini solidali aperti, che fanno rinascere borghi e aziende agricole dimenticate nelle zone colpite dal terremoto, che promuovono corsi di italiano per donne immigrate, che si prendono cura degli immigrati senza fissa dimora, che utilizzano la rete per offrire servizi concreti alle popolazioni colpite da eventi drammatici.

Cosa insegnano questi interventi d’impegno costante e coraggioso per il nostro Paese?

Sono piccole rivoluzioni nate dal basso, magari per rispondere alle difficoltà, che costituiscono invece il germe trasformativo della società. Buone pratiche operose e silenziose, che spesso cadono nell’indifferenza dei media. Questa raccolta di casi e testimonianze vuole portarle in primo piano e dare dignità documentaria a quegli alveari innovativi, tanti ed esemplari, che crescono in Italia: una risorsa di energia costruttiva che mette in moto cambiamenti concreti ed innesca altre azioni positive, una resistenza attiva dalle molte sfaccettature, urbana, agricola, ecologica, sociale. In una parola, umana.

 

POTERE MASSONICO. INTERVISTA A FERRUCCIO PINOTTI

Tempio massonico di Palazzo Giustiniani (www.grandeoriente.it)

Tempio massonico di Palazzo Giustiniani (www.grandeoriente.it)

Non si tratta di un libro “cospirazionista”, ma di una ricerca accurata e scrupolosa che ricostruisce la storia e l’influenza – ininterrotta – delle logge massoniche in Italia (oltre a qualche breve accenno a ciò che accade all’estero). 

Nel quarantesimo anniversario della scoperta della P2, quella di Pinotti vuole essere una nuova inchiesta su uno degli aspetti più controversi e scottanti della nostra democrazia, raccontando come la massoneria – attraverso affiliazioni più e meno coperte – indirizza le scelte politiche, economiche, sociali del nostro paese. POTERE MASSONICO (Ed. Chiarelettere, pagg.768, € 22,00) è un libro rigoroso, frutto di centinaia di incontri e interviste con esponenti massoni, politici, magistrati e professionisti appartenenti a ogni campo.  In questa intervista con l’autore, Ferruccio Pinotti,  mettiamo a fuoco alcuni punti fondamentali della sua grande inchiesta.

Ferruccio Pinotti (Padova 1959), giornalista d’inchiesta, attualmente è caposervizio Interni al “Corriere della Sera”. Ha collaborato con “la Repubblica”, “Il Sole 24 Ore”, “L’Espresso”, “Il Mondo”, “MicroMega”, “International Herald Tribune – Italy Daily”, “Cnn Financial News”.

È autore di molte inchieste sull’Italia contemporanea. Tra le altre: Poteri forti (Rizzoli 2005), Opus Dei segreta (Rizzoli 2006), Fratelli d’Italia (Rizzoli 2007), Olocausto bianco (Rizzoli 2008), La società del sapere (Rizzoli 2008), Colletti sporchi (con Luca Tescaroli, Rizzoli 2008), L’unto del Signore (con Udo Gümpel, Rizzoli 2009), La lobby di Dio (Chiarelettere 2010), Non voglio il silenzio (con Patrick Fogli, Piemme 2011), Wojtyla segreto (con Giacomo Galeazzi, Chiarelettere 2011), Vaticano massone (con Giacomo Galeazzi, Piemme 2013), I panni sporchi della sinistra (con Stefano Santachiara, Chiarelettere 2013). Molti dei suoi libri sono stati pubblicati all’estero.

È consulente della Commissione antimafia.

Ferruccio, il tuo libro è una grande inchiesta sulla Massoneria italiana. Il quadro che ne esce è impressionante. L’estensione tentacolare dei “grembiulini” tocca molti ambiti, li vedremo più avanti, per prima cosa voglio chiederti se hai avuto una qualche reazione da parte della Massoneria. Qual è stata? 

Si, l’inchiesta ha avuto un vasto eco di reazioni, in quanto mosso un ampio dibattito insieme alla massoneria stessa, relativamente a molti temi delicati quali le modalità di elezione del Gran Maestro all’interno del Grande Oriente, in quanto molti “venerabili”, ovvero capi di loggia, contestano la riforma voluta dall’ex Gran Maestro Gustavo Raffi che consente a tutti coloro che hanno il “semplice” grado di maestro, e non solamente ai Venerabili, di concorrere all’elezione del Gran Maestro stesso. Questo, secondo alcuni critici creerebbe cordate e meccanismi di scambio di voto che soprattutto nelle regioni meridionali (dove vi sono commistioni pericolose) potrebbe dare vita a situazioni poco commendevoli.

Veniamo al libro. Tu riporti delle statistiche che fanno davvero pensare. Per esempio scrivi che la Massoneria è in crescita. Puoi darci qualche numero?

Si, la massoneria è, in Italia, un fenomeno in grande espansione: i dati ufficiali forniti dalle principali obbedienze massoniche mostrano un trend di continuo aumento in termini di consistenza numerica e soprattutto di domande di ammissione. Le tre principali comunioni massoniche italiane – il Grande Oriente d’Italia, la Gran Loggia Nazionale d’Italia, la Gran Loggia Regolare d’Italia – registrano una vera e propria «corsa al grembiulino», una diffusa voglia di «squadra e compasso». I dati del Grande Oriente d’Italia, la più diffusa in Italia, sono in questo senso significativi. Gli iscritti alla principale comunione massonica italiana sono passati dai circa 4.000 aderenti degli anni Cinquanta-Sessanta ai 12.630 del 1998 (dati Ispes), dai 18.117 del 2007 (dati Ispes) agli oltre 23.000 iscritti del 2021 (fonte Goi). Una crescita costante e progressiva, realizzata nonostante il grave danno d’immagine portato da scandali come la P2, l’inchiesta Cordova sui rapporti tra mafia e massoneria, fino ai recenti processi istruiti dal procuratore calabrese Nicola Gratteri. Nonostante questi eventi “sfavorevoli” il Grande Oriente d’Italia ha continuato a crescere. Ma è soprattutto la richiesta di nuove adesioni a sorprendere. Il Gran Maestro Stefano Bisi ha dato le seguenti cifre: «Abbiamo 870 logge, le nuove domande di ammissione sono circa 1.000 all’anno». Dati impressionanti, che testimoniano quanto sia alto negli italiani il desiderio di essere cooptati in associazioni che fanno del segreto il loro punto di forza. Gode in apparenza di ottima salute anche la Gran Loggia Nazionale d’Italia, detta più comunemente di Piazza del Gesù-Palazzo Vitelleschi (dal nome della sede), che è una comunione mista: ammette all’iniziazione anche le donne. La Gran  Loggia, guidata attualmente dal Gran Maestro Luciano Romoli, conta su circa 9000 iscritti e si stima che una percentuale oscillante attorno al 34% sia costituita da donne, quindi 3.500 “grembiulini rosa”. La terza comunione più diffusa sul territorio italiano è la Gran Loggia Regolare d’Italia, guidata dal 2001 dal Gran Maestro Fabio Venzi e nata nel 1993 dalla scissione dal Grande Oriente d’Italia promossa da Giuliano Di Bernardo: conta su circa 2500 affiliati. Vanta una peculiarità, il fatto di disporre di cinque Logge di Ricerca: la Quatuor Coronati (studi storici), la Pico della Mirandola (studi filosofico-iniziatici), la Santa Cecilia (studi nel campo della musica massonica), la Antonello da Messina (studi nel campo della storia dell’arte) ed è in procinto di essere fondata la Loggia Leonardo da Vinci (studi nel campo delle scienze).

Quali classi sociali attira la Massoneria? Antonio Gramsci parlava della Massoneria come del “partito della borghesia”. Lo è ancora? 

Sicuramente la massoneria resta, come disse Gramsci, il partito della borghesia. Ma le connotazioni cambiano: mentre prima era il sodalizio dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, adesso tende a essere il partito della media e della piccola borghesia. Rispondendo a un bisogno di networking che resta sempre molto forte in Italia. I ceti alto borghesi, o aristocratici, fanno più spesso riferimento a Logge sovranazionali o si iscrivono direttamente a massonerie situate all’estero.

Fanno impressione i dati sui giovani. Cosa può attrarre un giovane verso la Massoneria? Non certo “l’Oriente eterno”..

In un Paese in cui gli ascensori sociali scarseggiano, la massoneria per un giovane può essere un mezzo per comprendere il potere e per guadagnarsi il sostegno dei “fratelli” nelle proprie aree di interesse professionale. Vi è poi però anche una quota di giovani che hanno degli interessi esoterici autentici, e che quindi vedono nella massoneria un percorso di ricerca.

Tutto nella Massoneria richiama il maschile. Eppure vi sono logge aperte alle donne. Tu riporti due esperienze opposte… Ma davvero la Massoneria è un ambiente favorevole alle donne? 

L’ambiente della massoneria resta in gran parte maschile, anche perché la principale comunione (il GOI) non ammette le donne. Tuttavia, come riportato nel libro, sono circa 3500 le donne che fanno parte della Gran Loggia d’Italia, che è infatti una comunione mista. L’interesse delle donne cresce progressivamente, sia sul piano esoterico che su quello professionale. Io e il collaboratore, il giovane collega Stefano Mazzola, riteniamo che sia un tema molto attuale (quello delle donne in massoneria) e in grande crescita.

Cosa rende “unica”, nel panorama internazionale, la Massoneria italiana? 

Sul piano positivo; vi è stato il grande contributo di figure risorgimentali che sono state determinante nell’Unità d’Italia, a partire dal Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. Vi sono state poi altre figure illustri come il premio Nobel Giosué Carducci, ma anche Montale e Quasimodo, prima di loro Ugo Foscolo. Erano massoni molti Costituenti così come figure della politica più recente, che si inseriscono nell’alveo dell’azionismo repubblicano e di un’interpretazione della massoneria legata a valori “di spessore”.

Sul fronte negativo, purtroppo l’Italia però si è distinta, e tutt’ora si distingue, oltre al caso P2, come un “Caso italiano”, per i consistenti rapporti emersi con la mafia, l’ndrangheta e altri ambienti della criminalità organizzata. Su questo tema esiste una letteratura imponente, e la Commissione Antimafia svolge un importantissimo lavoro.

Parliamo dei grandi ambiti in cui la “fraternità” Massonica opera. Incominciamo dalla politica. Sappiamo che tutta la politica italiana, dall’ottocento fino ai giorni nostri, è attraversata dai “grembiulini” (non sempre puliti). Qual è il filo rosso della Massoneria nella politica italiana? 

Il filo rosso è molto consistente e parte con la presenza di Napoleone e dei suoi congiunti nonché dei suoi marescialli in Italia, tutti massoni, continua con l’Unità d’Italia, prosegue con il Sansepolcrismo (ovvero la presenza di molti massoni tra coloro che parteciparono al successo della rivoluzione fascista). Poi ritroviamo come massoni 13 su 19 membri del Gran Consiglio il giorno dell’odg Grandi, il giorno in cui Mussolini fu sfiduciato. Come detto, un terzo dei membri della Costituente era massone. Quindi, abbiamo potuto documentare come molti presidenti della repubblica (Giuseppe Saragat) e diversi presidenti del Consiglio fossero vicini alla massoneria, o addirittura ne fossero direttamente espressione.

Facciamo qualche nome. Nel libro parli di alcuni importanti personaggi politici che hanno avuto a che fare con la Massoneria. Oltre al solito Berlusconi, nel libro, per esempio, parli di Bettino Craxi e di Giorgio Napolitano. In che misura avevano rapporti con la fraternità Massonica? 

Secondo il l’ex-Gran Maestro Giuliano Di Bernardo, esisteva un patto segreto tra Craxi e Andreotti, per portare quest’ultimo al Quirinale, che era almeno in parte mediato dalla massoneria. Per quanto riguarda Napolitano, vi sono diverse fonti che affermano che già il padre, illustre giurista partenopeo, avesse ascendenze massoniche.

Conte e Draghi hanno avuto rapporti?

Non sono in grado di affermare (per tabulas) che Conte e Draghi abbiano avuti rapporti organici con la massoneria. Tuttavia, diverse fonti intervistate per il libro, affermano che Mario Draghi possa forse essere culturalmente ascrivibile a quei mondi, e che comunque per ragioni professionali abbia avuto rapporti con determinati ambienti.

Veniamo alle trame oscure e Criminali della Massoneria deviata. Dalla P2 fino alla masso-ndrangheta calabrese sono state fatte indagini su queste trame. Quali sono i punti fermi su queste trame? 

I punti fermi risiedono nelle inchieste condotte dai pm Gratteri e Lombardo, ovvero i processi “Rinascita Scott” e “Gotha”. Su altri fronti, ci sono state le importanti inchieste dei pm Luca Tescaroli e Nino Di Matteo che hanno gettato luce sulle connessioni massoniche presenti in ambienti mafiosi. Gli inquirenti sono arrivati a stabilire come le logge siano diventate “la camera di compensazione” tra i vari mondi della criminalità e dell’imprenditoria, finanza, politica ed economia collusa.

Sappiamo che la finanza è sempre stata una specialità massonica. Come si sviluppa questo potere?

Come racconta in un’intervista esclusiva un grande vecchio della finanza italiana, Florio Fiorini, ex-direttore finanziario dell’Eni, la massoneria ha sempre avuto un ruolo centrale nel convogliare capitali dall’estero verso l’Italia e nella gestione di grandi imprese italiane nonché di istituti di credito. Basti citare il fatto che lo storico ad della Fiat Vittorio Valletta era un massone riconosciuto. Ma lo erano anche figure come il petroliere-editore Attilio Monti, Eugenio Cefis. E si è parlato dell’appartenenza a logge coperte di importanti banchieri che hanno segnato la storia della repubblica italiana

Come sono oggi i rapporti i rapporti tra Vaticano e Massoneria?

La lettura è molto complessa, in quanto da un lato vi sono stati segnali di dialogo come la lettera aperta scritta ai Massoni da monsignor Ravasi, “Cari Fratelli massoni”, poi divento cardinale, e vi sono settori della Chiesa che dialogano con la massoneria, sebbene storicamente molte componenti ecclesiastiche e vaticane restino avverse al potere massonico, e ritengano che determinate aperture di Francesco, su alcuni temi come l’immigrazione e la sessualità, abbiano connotazioni latamente massoniche

Le tante ramificazioni massoniche possono costituire un problema per la nostra democrazia? 

Certamente la proliferazione di massonerie spurie o irregolari – la commissione antimafia parla dell’esistenza di circa 230 logge “coperte” – ma anche la tendenza a costituire logge all’estero per evitare di essere scoperti costituisce un problema in quanto è evidente che l’appartenenza alla massoneria di magistrati, amministratori pubblici, politici e alte cariche dello Stato, si scontra con il ruolo di questi nelle istituzioni che rappresentano e che dovrebbero essere scevre da interferenze esterne di qualsiasi tipo

Ferruccio, siamo alla fine della nostra conversazione. La lettura del tuo libro mi porta a domandarmi: Nel XXI secolo che senso ha una organizzazione che fa dei riti iniziatici, espressione di un esoterismo spinto, con richiami all’antico Egitto?

E’ interessante notare come in paesi avanzati e meritocratici come gli Stati Uniti (dove pure la presenza massonica è fortissima, tanto da poter annoverare ben 14 presidenti massoni) e come la Germania, la consistenza numerica dei massoni sia in progressivo calo, a riprova del fatto che società moderne e ricche di “ascensori sociali” non hanno bisogno di queste realtà associative di “mutuo soccorso” o peggio. Nella Germania, che pure conta 84 milioni di abitanti, la massoneria (costituita da cinque obbedienze «federate”) conta solo 16.500 iscritti, meno della metà dell’Italia, mentre negli Stati Uniti sembra esservi stato un progressivo calo da un picco storico di 2 milioni agli attuali 1,2 milioni. Anche in Spagna la presenza massonica non pare essere forte come in Italia e il Gran Maestro del Goi Bisi ha spiegato che il Grande Oriente di Spagna annovera solo 3.000 iscritti, quindi circa un settimo dell’analoga Obbedienza italiana. Dove invece la presenza massonica continua ad essere fortissima è la Francia che con le tre principali obbedienze arriva a sfiorare i 150.000 appartenenti, vantando nel suo passato nomi del calibro di François Mitterrand. Anche Oltralpe gli “affari di loggia” restano forti.