Succede in Israele…

E’ successo tutto nel 2008 ma il suo epilogo è avvenuto una settimana fa, con la condanna, da parte della Corte israeliana, a 18 mesi per “stupro con inganno”.
Protagonisti di questa, triste, vicenda due giovani cittadini d’Israele: lui, Sabbar Kashur, 30 anni palestinese di Gerusalemme Est (quella abitata dagli arabi), lei, una bella ventenne di religione ebraica.
Si conoscono all’uscita di una drogheria, tra le tante, del centro di Gerusalemme. Lei si avvicina alla moto di Dudu, questo è il nomignolo di Sabbar. Lei pare interessata alla moto, certamente un pretesto, dopo alcune domande sul mezzo, però, parte il gioco della seduzione. I due si desiderano, sguardi intensi, si scambiano parole dolci. Così parola dopo parola sentono di essere attratti l’uno per l’altro. Sabbar si presenta come Dudù, ovvero come un giovane ebreo scapolo in cerca di una relazione seria. Nascondendo così la sua vera identità di palestinese, sposato e padre di due bambini. Nel pomeriggio in una stanza, di un ufficio, fanno l’amore consenzienti entrambi.
Dopo questo episodio lei scopre l’amara verità: Dudù non è ebreo ma un palestinese, quindi un musulmano, sposato.
Per lei è un duro colpo. Si sente violata, così si precipita alla stazione di Polizia e denuncia l’uomo per stupro.
Dudù viene arrestato e messo ai domiciliari per due anni fino alla condanna, dopo un processo rapido, per 18 mesi per stupro con inganno.
Per il giudice, è scritto nella sentenza, se la donna avesse saputo che non era uno scapolo ebreo lei non sarebbe stata consenziente. E che, comunque, la Corte ha il dovere di proteggere i cittadini da “astuti criminali” che potrebbero ingannare vittime innocenti.
Sabbar Kashur non ci sta e farà ricorso all’Alta Corte israeliana. In una dichiarazione ad un quotidiano israeliano Sabbar afferma “che se fossi stato un ebreo non mi avrebbero incolpato di nulla”. Lo stesso difensore d’ufficio, Elkana Laist, ha definito la sentenza come “paternalistica nei confronti delle donne” . Invece per Nora Pugach, responsabile del Noga Center per le vittime dello stupro, la sentenza è giusta.
Così Il caso sta facendo discutere l’opinione pubblica israeliana e palestinese.
Tra le prese di posizioni più dure nei confronti della sentenza vi è da ricordare quella di un grande giornalista israeliano, Gideon Levy, editorialista del maggior quotidiano liberal Haaretz. Per Levy si domanda “Non si rendono conto (i giudici) che il loro verdetto ha l’odore sgradevole della purezza razziale, di non toccare le nostre figlie?” Se, ancora scrive Levy, “quest’uomo fosse stato un ebreo e avesse finto di essere musulmano per circuire una donna araba, che cosa sarebbe successo? Sarebbe stato condannato per stupro? Naturalmente la risposta è no”.
Gli arabi in Israele sono il 20 % della popolazione. I rapporti sentimentali tra ebrei e palestinesi sono molto rari. Ed è in questo contesto difficile che si inserisce la triste vicenda di Sabbar Kashur.
Popoli che ancora sono sconosciuti l’uno all’altro. E chi è stato a Gerusalemme può percepire questo. In modo particolare se si attraversa la Gerusalemme vecchia. In poche centinaia di metri “convivono” mondi incomunicabili tra loro.
Certo non sono mancati profeti, in passato, che hanno gettato ponti tra queste due popolazioni.
In particolare la bella figura di Padre Bruno Hussard. Fondatore di Nevé Shalom (l’oasi della pace) a pochi chilometri da Gerusalemme. Padre Bruno aveva capito che la sfida principale per costruire la pace era quella educativa, ovvero la conoscenza profonda dell’altro. Senza questo cammino interiore, di abbattimento dei confini, la pace avrà breve durata. Questa è la politica lungimirante, insieme al reciproco riconoscimento dei diritti, per la pace in Terra Santa.

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