Il 22 luglio di dieci anni fa si spense a Milano, alle prime ore di quel giorno, Indro Montanelli. Aveva novantadue anni. Di Montanelli, grande maestro di giornalismo, ricordiamo il suo anticonformismo, la sua ironia irriverente, il suo amore per la libertà, il suo stile.
Uno stile simile a quello del suo “amico-nemico” , cattolico comunista, Fortebraccio corsivista dell’Unità. Un gran godimento procurava leggere le polemiche, quasi quotidiane, tra i due mostri sacri del giornalismo italiano. E si prova grande nostalgia, in tempi di “macchine del fango”, per la gran classe di entrambi.
Allora ben venga, in questo decennale della morte, il libro, uscito da poco per i tipi della Rizzoli, Ve l’avevo detto. Berlusconi visto da chi lo conosceva bene (pagg. 176 con prefazione di Massimo Fini). Un libro che raccoglie i corsivi, gli editoriali, dell’ultimo Montanelli (quello dell’ultimi tempi al Giornale, alla Voce e al Corriere della Sera) nella sua ultima battaglia di libertà contro Silvio Berlusconi e il nascente berlusconismo.
A leggerli, quando ormai tutto è compiuto e il berlusconismo volge al tramonto, questi “pezzi” di Montanelli possono essere una lezione a futura memoria per gli italiani. In cui, si spera, abbiamo imparato , in maniera definitiva, a diffidare degli “uomini della provvidenza”.
Del rapporto tra i due ormai si sa tutto, o quasi, quello che esce da queste pagine, che qualcuno ha definito come un romanzo cui titolo poteva essere la “Berlusconeide”, sono il giudizio, in crescendo, lucido, nei tratti essenziali, dell’esperienza politica del Cavaliere di Arcore. Non mancano pagine esemplari come questa: “Silvio soffrì moltissimo per la morte del padre. Lo vidi piangere come una vite tagliata e quella volta erano lacrime vere. Qualche giorno, parlando di lui, mi disse: ‘D’ora in poi mio padre sei tu’. Mi chiedo a quanti altri lo aveva già detto o stava per dirlo. Ma sono arciconvinto che a tutti lo diceva con assoluta sincerità. Ecco perché mi fa tanto male vederlo sul video con quel sorriso fasullo, quasi un ghigno che non ricorda la bella risata fresca e squillante del Silvio di Arcore, non ancora Cavaliere. Quante bugie mi diceva anche allora. Ma come volergliene? Erano le sue chansons de geste , qualcosa di mezzo fra i tre moschettieri e il barone di Munchausen, senza nessuna pretesa di credibilità. Ora le presenta come un i programma di governo…”. Non mancano giudizi ancor più taglienti sul Cavaliere di Arcore: definito come una specie di “Grande Gatsby” oppure come un “piazzista”. Insomma un Montanelli duro, eppure i due, come si sa, erano andati d’amore d’accordo per vent’anni. Tutto si rompe con la discesa in campo di Berlusconi e il conseguente rifiuto di Montanelli di fare da Megafono al niente berlusconiano. Lui, uomo di destra, definiva la “destra” berlusconiana-bossista come una contraffazione di quella destra liberale da lui sognata: “Nulla è più incompatibile con l’Italia di Destra – tutta cifre, fatti, sobrietà e rigore – di quella fasullamente apollinea, supervitaminizzata, candeggiata, cotonata e tutta “en rose” che il cavaliere Berlusconi ci ammannisce, in vista dei soliti “immancabili destini”, nelle sue flautate omelie in technicolior. E nulla è più lontano dal linguaggio dallo stile della Destra di quelli da taverna di Bossi con i suoi ‘celodurismi’ “.
Sono pagine, quindi, da leggere e rileggere, a mò di monito, come una grande lezione di giornalismo (si leggano le pagine dedicate alla presenza dei giornalisti quando il Cavaliere va a “Porta a Porta”, lui decano del giornalismo italiano si ribellava allo scadimento dei colleghi a contorno del monologo del piazzista richiamandoli alla dignità della professione), una grande lezione di eticità contro l’ipocrisia italiana.
Indro e il Cavaliere
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