Il mondo interiore di Claudio Magris

Immaginate un dialogo “socratico” (se non nel modo nel ritmo), in un tempo segnato da insulti, volgarità – nella politica e nel quotidiano – , che si svolge all’interno dello splendido Caffè San Marco di Trieste, tra i suoi i suoi bellissimi specchi, tra uno scrittore, forse il più raffinato tra quelli italiani, Claudio Magris e un bravo giornalista, italiano che vive al Cairo, Marco Alloni (che per la stessa collana ha intervistato, tra gli altri, Luzzato, Tabucchi, Garimberti), il risultato è un interessantissimo libretto, pubblicato dalla Casa Editrice Aliberti, “Se non siamo innocenti” (pagg. 90, € 10).

Già il titolo è emblematico del contenuto del libro. Come scrive l’autore “Il professore triestino è un gentiluomo. E in questo volume vorremmo giocare proprio sul valore aggiunto della sua caratura morale”. E in questo senso “l’esperimento” è riuscito.
Magris è un intellettuale di stampo mitteleuropeo, lui è professore di germanistica infatti la sua opera ha scandagliato come po,chi le radici di quel mondo (Il mito asburgico, e Danubio sono le opere importanti per capire quelle radici. Danubio, poi, è un vero , dire fare i conti, ed è una citazione dello scrittore argentino, scomparso da poco, Ernesto Sabato, con l’ anima “diurna” e “notturna” dell’uomo e dell’esistenza. Ovvero, come dice Magris, tra Tolstoj e Svevo (della “Coscienza di Zeno”). Così, per certi versi, “l’utopia” di Claudio Magris è quella di riuscire a “sanare” questa “dicotomia”: tra senso forte della e senso debole e ironico. In questo tentativo gioca un ruolo importante il “mito asburgico”, vissuto ovviamente non come nostalgia politica,ma come “identità mitteleuropea” ovvero “un sentimento mitteleuropeo di aggrapparsi a una unità del mondo rappresentata dall’impero, pur sentendolo franare”. Insomma mantenere insieme “unità e frammentazione”.
In questo atteggiamento di Magris c’è tutto il senso della sua opera, che è stata, per dire così,   un “infinito viaggiare” (un altro suo libro). Ma Magris non è solo l’incarnazione più limpida della mitteleuropa, che è poi esperienza di confine, mescolanza, frammenti d’identità. Magris,come giustamente lo ha definito il suo amico, giornalista del “Corriere della Sera”, Dario Fertilio, è un intellettuale “morale”.
Ed è il senso più profondo di questo libretto. Essere un “intellettuale morale” vuol dire, sono parole sue, avere coraggio: “a volte bisogna far fronte anche se ciò pregiudica a nostra vita”. E sono note, o per lo meno dovrebbe esserlo, le implicazioni dirette sul fronte della società questo principio di responsabilità. E il libro ci offre pagine dense, talvolta gustose, della “lunga educazione” del giovane Magris (segnaliamo l’episodio, bello davvero, del professore di tedesco che per difendere un ragazzino debole, vittima del bullismo di uno stupido arrogante, fece finta di non adirarsi – creando stupore tra i ragazzi – alle angherie del bullo per poi, però, con una “teatralità” magica rendere giustizia al debole). Maestri, in questo i suoi genitori, il professore, appunto, di tedesco, le letture giovanili e quelle universitarie, una educazione religiosa (il cattolicesimo e l’ebraismo in particolare). Il libro è molto ricco di spunti, spazia dalla letteratura alla cultura ebraica, per cui è davvero complicato citare tutto.

Così, alla fine, torniamo al prendere parte, al coraggio come responsabilità morale dell’intellettuale perché la vita non è innocente: “ Ma il fatto è che la storia della salvezza è una storia della salvezza del mondo. E anche se il male del mondo non è colpa mia, nonostante questo io non ne sono innocente. In altre parole, anche se riesco ad assicurare la mia personale salvezza, non per questo potrò mai essere sicuro di avere garantito la salvezza del mondo, che invece resterà sempre contaminato dalla colpa. (…) il nostro dovere morale non è dunque quello di avere la veste candida. Ma, se necessario, anche di sporcarla: per esempio per fasciare una ferita o pulire un pavimento”.

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