Sta per finire l’anno ed è tempo di bilanci. Il 2018 sarà ricordato, comunque la si possa pensare, come un anno di cambiamento, in cui inizia una fase nuova del Paese. Nello stesso periodo storico in cui si afferma il populismo in Italia, non solo il sindacato si ritrova a fare i conti con una politica del tutto inconsueta; inoltre, la stessa Cgil – che resta il sindacato più grande – è immersa nel suo percorso congressuale che la porta a decidere del suo nuovo corso. Come noto, Camusso ha indicato Landini come suo successore ma ne è nata un forte discussione interna che ha molto a che vedere con presente e futuro della politica. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0 e osservatore del mondo sindacale.
Sabella, dopo la designazione di Landini si è aperta una forte discussione in Cgil e, anche, al di fuori del sindacato di corso d’Italia. Qual è la situazione?
Destino vuole che la Cgil viva un congresso così importante nel duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx, che resta il più grande critico dell’economia capitalista, quantomeno delle sue derive. Per fare una battuta potremmo dire “Marx aveva ragione, Camusso no” visto che la segretaria uscente porta alla fase decisiva del Congresso la più grande organizzazione sindacale d’Italia spaccata in due: chi condivide l’investitura di Landini e chi non la condivide. Non è una grande situazione, né per la Cgil né per il Paese che ha bisogno di un sindacato unito. E se è divisa la Cgil, quale unità possiamo auspicare?
Ma come si arriva a questo punto?
Camusso dice che ha proceduto ad ascoltare il gruppo dirigente e ne ha tratto un’indicazione. Ma come è possibile che quest’indicazione coincida col nome di Landini se poi il gruppo dirigente non si mostra d’accordo? Del resto, Miceli – segretario generale chimici – ha detto pubblicamente “a me la questione non è mai stata posta”. Camusso probabilmente ha ritenuto che Landini fosse l’uomo giusto – e questo è un tema – ma evidentemente nelle modalità di designazione del candidato qualcosa non ha funzionato.
E adesso cosa succede? Si parla di un’altra candidatura e si fa il nome di Colla…
L’ultima riunione del direttivo della Cgil – vero luogo decisionale – apre ad una seconda candidatura considerata la discussione che ne è sorta. Le voci sono sempre più insistenti da questo punto di vista e io penso che questa seconda candidatura ci sarà e che possa esprimere un consenso interno superiore a quello che ha Landini, la cui elezione non mi sembra così scontata. Lui stesso, nelle sue apparizioni in TV è stato molto cauto sulla sua elezione. Ad ogni modo, portare alla contrapposizione le due anime della Cgil che esistono da sempre è un errore che si poteva evitare. Penso tuttavia che la statura delle persone coinvolte possa evitare lo scontro. Serve, infatti, una Cgil unita, perché c’è bisogno di un’unità nuova e forte dentro tutto il movimento sindacale. Non si possono vincere le sfide che ci attendono senza questa unità alla base.
Quando parla di sfide, a cosa si riferisce?
Per dirla con le parole del sociologo Mauro Magatti, bisogna costruire un rapporto nuovo tra economia e società. E ciò passa da una riscrittura dei diritti del lavoro – da una nuova Carta o Statuto che dir si voglia – e da un piano per lo sviluppo. Come si fa a fare queste cose se non si dialoga unitariamente? È una sfida già persa in partenza… Ma poi c’è un’altra questione di fondo ancor più macroscopica.
Quale?
Vi è un terzo aspetto che, io penso, è decisivo per le sorti della nostra democrazia rappresentativa. Non c’è nessun altro soggetto organizzato, oltre al sindacato, in grado di difendere la democrazia dall’attacco sovranista che fa leva non sul processo che lega la persona alle Istituzioni – attraverso i corpi intermedi – ma su un legame diretto: è un’idea vecchia che arriva dalla Rivoluzione Francese, lo Stato è espressione del Popolo e il Popolo è nello Stato. Ora, non è che il Popolo non sia nello Stato, ma se eliminiamo il processo faticoso che è alla base di questo rapporto – l’intermediazione tra Persona-Comunità-Istituzioni svolta dai corpi intermedi – viene meno il fondamento della democrazia rappresentativa. Io penso che questo sia un grande compito che hanno le forze sociali, quello di ristabilire un equilibrio che i movimenti sovranisti stanno alterando.
Non si tratta di un problema che forse parte da un po’ più lontano?
Si, ha ragione. Per onestà, va anche detto che il primo a stressare questo equilibrio è stato Berlusconi e che lo stesso Renzi per anni ha governato ricorrendo sistematicamente allo strumento del decreto legge. Evidentemente, anche la nostra democrazia – come quelle di tutto il mondo – ha qualche problema. Tuttavia, oggi il fenomeno conosce la forma di disintermediazione più avanzata che se non sarà affrontata porterà la democrazia ad una deriva preoccupante. È questa una sfida alla portata del sindacato visto che in Italia le sole CGIL CISL UIL rappresentano 11 milioni di persone. Certo, la loro capacità di “fare cultura” si è un po’ appannata in questi anni – mentre è resistita quella di rappresentare le persone nei luoghi di lavoro – ma io penso che con un’opportuna riflessione / riorganizzazione interna questa possibilità di tornare a incidere a livello culturale sia una possibilità concreta. Soprattutto se si considera che con il congresso della CGIL, inevitabilmente, partirà un nuovo corso per l’intero movimento sindacale.
Quindi, per ristabilire un equilibrio democratico nel Paese, meglio Landini o Colla alla guida della Cgil?
Io auspico che le due anime della Cgil trovino un punto di incontro. Gli stessi Landini e Colla sono due bravi sindacalisti: il primo resta il più bravo a muovere le persone – anche questo è importante – il secondo è molto capace a livello organizzativo, non a caso è il nome su cui converge quella parte di gruppo dirigente che non ha condiviso la scelta di Landini. Se in Cgil si trovasse una mediazione, questa sarebbe una grande lezione di democrazia per il Paese. Oggi questo presunto nuovo che avanza si diverte a citare Rousseau. Ricordo che il filosofo francese in quel suo grande scritto che è “Il contratto sociale” quando parlava di volontà generale non intendeva la volontà della maggioranza. Si riferiva, invece, al volere del popolo inteso come bisogno, anche, inespresso e inconsapevole. Questo è il compito che hanno le elite, ovvero le classi dirigenti: quello di capire i bisogni della comunità e di darvi risposta. Ciò implica delle scelte anche coraggiose che non sempre coincidono con quello che la gente si aspetta. Rinunciare alle giuste decisioni, in nome del consenso, significa venir meno alla propria missione.