Franco Marini, il Popolare. Intervista sulla sua eredità politica con Giorgio Merlo

Sono passati più di cinque mesi dalla scomparsa di Franco Marini. Marini, come si sa, è stato un protagonista del sindacato e della vita politica italiana. Domani, Lunedì 12 luglio, alle ore 21, sulla pagina Facebook di Edizioni Lavoro, è stata riprogrammata la presentazione, rinviata lo scorso 7 giugno, del libro di Giorgio Merlo, «Franco Marini, il Popolare». Intervengono Pier Luigi Bersani, Pier Luigi Castagnetti e Domenico Tuccillo. Modera il dibattito Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2. Sarà presente l’autore. Un confronto tra protagonisti politici che hanno accompagnato e apprezzato per molti anni la militanza e l’impegno pubblico di Franco Marini. Con Giorgio Merlo, ex deputato PD e giornalista professionista, approfondiamo alcuni punti del suo libro.

Giorgio, il tuo libro è sicuramente un testo interessante. Però, è lo dico con grande rispetto, ha il limite della fretta. Forse un pò di pazienza avrebbe giovato un pò di più alla comprensione della figura di Franco Marini. La prima domanda è questa : nel tuo libro si gustano sapori  antichi: la sinistra sociale dc, Donat Cattin, sindacato dottrina sociale della chiesa ecc. Nel tempo liquido di questa nostra contemporaneità politica cosa rimane di quei sapori antichi?
Certo, i “sapori antichi” come Tu Gigi li definisci, hanno sempre il loro fascino e il loro richiamo. Soprattutto in un’epoca dominata dalla desertificazione culturale, dal populismo, dall’opportunismo e dal trasformismo politico e parlamentare. Ma le mode, prima o poi, tramontano. E, non caso, la parabola del grillismo – il più pericoloso vulnus per la qualità e la salute della nostra democrazia negli ultimi anni – sta volgendo finalmente al termine. Ma, purtroppo, il populismo continua a scorrere nel sottosuolo della società italiana e non sarà facile rimuoverlo in fretta. Anche dopo la fine, speriamo presto, della triste e decadente parabola del grillismo. E in quel momento, non è difficile prevederlo, torneranno in campo quelle categorie politiche e culturali che sono state costitutive in altre stagioni della politica italiana: dal valore dei partiti popolari alla importanza delle culture politiche, dalla qualità della classe dirigente alla salvaguardia dei principi costituzionali, dalla credibilità delle istituzioni democratiche alla serietà e alla trasparenza del linguaggio. Categorie politiche spazzate via dall’ideologia grillina e da chi le ha tristemente assecondate. Ecco perchè il magistero politico, culturale, sociale, istituzionale di uomini come Carlo Donat-Cattin, il patrimonio della sinistra sociale della Dc o la perdurante attualità della dottrina sociale della Chiesa ritorneranno protagonisti. E lì dovremo essere pronti a raccogliere la nuova sfida che avremo di fronte dopo le macerie seminate dalla incultura devastante del grillismo.

Veniamo alla figura Franco Marini. Nel tuo libro lo leghi, indissolubilmente, alla figura di Carlo Donat Cattin. Per sostenere, alla fine della tua analisi, che Marini è l’autentico erede di Donat Cattin. È una conclusione che non mi convince. La trovo un pò meccanicistica. Per quali motivi tu pensi questo? Non pensi, invece, che quella di Donat fu una scelta per la sopravvivenza di Forze Nuove?
Donat-Cattin in un memorabile e profetico intervento a Saint-Vincent nel settembre 1990 – sei mesi prima della sua prematura scomparsa – indicò proprio in Franco Marini il “naturale erede della tradizione e della esperienza della sinistra sociale democristiana”. Non credo che lo fece solo per una burocratica e protocollare sopravvivenza di quella corrente. Al contrario, egli credeva nella Dc e credeva nel suo pluralismo politico e culturale interno. E sapeva bene, come disse molte volte Aldo Moro, che senza una “sinistra sociale di ispirazione cristiana” sarebbe stata la stessa Dc a pagarne duramente le conseguenze in termini politici ed elettorali. Certo, in quei tempi era ancora possibile avere un “erede” politico. E, in quel caso specifico, Franco fu veramente l’erede naturale di Donat-Cattin per la guida di Forze Nuove. Per storia personale, per cultura politica, per la sua biografia e anche, diciamolo, per il suo temperamento e coraggio.

Rimango sul punto: il patrimonio Ideale di Donat Cattin e Marini sono simili. Declinati in tempi diversi. Però consentimi di osservare che mentre Donat aveva visione politica, pensa al rapporto con Moro, Marini era un operativo. Per questo penso che il vero erede di Donat Cattin sia Guido Bodrato. Ovviamente non sarai d’accordo…
Guido Bodrato è un “maestro” del cattolicesimo democratico e popolare nel nostro paese nonchè un grande amico. E Guido è stato per molti anni il vero “delfino” di Donat Cattin, come si diceva un tempo. Poi c’è stato il “preambolo” del congresso della Dc del 1980 e tutto ciò che lo ha preceduto e seguito. E lì i rapporti, quelli politici come ovvio e mai quelli personali, si sono interrotti. Era inevitabile che dopo molti anni, se si voleva proseguire quella straordinaria esperienza politica, culturale ed organizzativa, ci voleva un leader riconosciuto da tutti. E Marini rispondeva, in quel particolare momento storico, a quella esigenza e a quella richiesta.

Parliamo del Marini politico. Divenne segretario del PPi. Di quella stagione delicata della politica italiana fu un protagonista sicuramente importante. Qual è stato il frutto più importante che Marini portò alla politica italiana?
Molti frutti ha portato. Ne ricordo tre, secondo me i più importanti. Innanzitutto la sua “riconoscibilità” politica. Quando parlavi di Marini sapevi di chi parlavi. Sapevi chi era. Era il “Popolare” per antonomasia. E questa sua caratteristica, decisiva per la qualità e la credibilità della stessa politica, lo ha sempre accompagnato. Dalla Dc al Ppi, dalla Margherita al Pd. In secondo luogo il suo coraggio. Certo, come per il carisma, in politica “o c’è o non c’è, è inutile darselo per decreto”, per dirla con Donat-Cattin. E Franco faceva del coraggio anche un atto di lotta politica e sindacale. E proprio nel sindacato come nella politica, Marini era conosciuto ed apprezzato per il suo coraggio e per la sua determinazione. In ultimo la lealtà. Marini era un uomo leale. E l’ha pagato pure a caro prezzo. È sufficiente ricordare l’esperienza, squallida e triste, della sua mancata elezione a Capo dello Stato quando buona parte dei parlamentari del Pd – partito che lui aveva contribuito a fondare – lo cecchinarono nel segreto dell’urna dopo aver fatto una regolare votazione per indicarlo come candidato. Un comportamento talmente squallido che poi portò questi miserabili, alcuni dei quali ancora presenti nelle aule parlamentari, a vantarsi pubblicamente di quel gesto vigliacco. Come reagì Marini? Con il suo consueto costume e stile. Con poche parole. Dicendo soltanto, come ricorda l’amico Castagnetti, “bastava dirmelo prima”. Ecco la lealtà e la trasparenza dell’uomo. Altrochè la rottamazione renziana e l’onestà grillina…

Del PD è stato, come hai ricordato, uno dei padri fondatori. Come ha vissuto il PD? Che idea aveva?
Il Pd, come ho detto poc’anzi, Marini ha contribuito in modo determinante a fondarlo. Certo, non era più in prima linea come con le altre esperienze partitiche. Ma lui credeva nel Pd ad una condizione. Essenziale e decisiva. Che non rinunciasse mai alla sua anima popolare, cattolico sociale e cattolico popolare. Credeva veramente in un partito plurale e detestava tanto i partiti personali quanto i cartelli elettorali. Ma l’ultima versione del Pd non lo convinceva più anche se continuava a frequentare le sempre più sporadiche assemblee nazionali e i pochi momenti di incontro collettivi. La visibilità politica, culturale ed organizzativa dell’area popolare la riteneva quasi una precondizione per poter garantire e coltivare la natura plurale del partito. Così non è più stato e così non è più. Ormai il Pd è un’altra cosa, ha un altro profilo e un’altra identità. Ma, per restare a Franco e al Pd, non posso non pensare che dopo il comportamento squallido ed indecoroso della vicenda Quirinale/2013, avesse un altro giudizio su quel partito. E non solo per la sua vicenda personale, ma per il modo di essere e di comportarsi nella concreta dialettica politica. In sintesi, e questo lo diceva apertamente negli ultimi anni anche se con garbo e discrezione, non era più il partito che lui, con altri, aveva contribuito a fondare nel lontano 2007.

Sulla stagione renziana come si è espresso?
Non nutriva risentimenti personali. Non rientravano nella sua concezione politica e della vita politica. Ma che il renzismo rappresentasse per lui il peggio della politica italiana non aveva dubbio alcuno. Prima dell’avvento del grillismo, ugualmente detestato. Sempre a livello politico, come ovvio.

Cosa ha da dire oggi, agli attuali dirigenti del PD, la figura di Marini?
Credo che il magistero politico, culturale, istituzionale e anche organizzativo di Franco Marini possa dire ancora molto alla politica italiana ma poco al Pd. A questo Pd. E questo perchè il suo modo di far politica, la sua cultura di riferimento e la sua stessa modalità di organizzare la politica e il suo progetto sono sostanzialmente estranei alle modalità concrete con cui il Pd si muove nella società italiana. Semmai, e questo lo credo profondamente, il suo magistero possa ancora dire molto, anzi moltissimo, a tutti quei cattolici che intendono intraprendere l’impegno politico. Nel pieno rispetto della laicità dell’azione politica senza alcuna deviazione clericale o confessionale e, soprattutto, nella coerenza con quella dottrina sociale cristiana che lo ha accompagnato in tutta la sua esistenza. Dall’impegno nell’associazionismo giovanile cattolico al sindacato, dalla politica al partito, dalle istituzioni alla vita normale di tutti i giorni. Aperto al confronto e al dialogo sempre. In ogni momento e in ogni istante ma senza rinunciare mai alla sua identità e alla sua cultura.

Ultima domanda. Torniamo all’inizio: perché hai dato quel titolo al libro? Sembra schiacciare politicamente Marini…
Per un motivo molto semplice. Marini era un uomo popolare perchè amava stare in mezzo alla gente. A tutta la gente. Indimenticabili, al riguardo, i suoi appuntamenti con gli alpini. E, inoltre, perchè Franco Marini era un Popolare autentico. Per la sua cultura e per il suo progetto politico.

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