Un saggio davvero importante questo di Calabrò e Fioroni. Appena uscito nelle librerie (Moro. Il caso non è chiuso. La verità non detta. Ed. Lindau) vuole infrangere il “muro di specchi” che ha impedito per quarant’anni di conoscere la verità sul caso Moro. Non è un caso che esca proprio nei giorni in cui si ricorda la caduta del Muro di Berlino. In questa intervista, con Maria Antonietta Calabrò, giornalista d’inchiesta, abbiamo approfondito alcuni punti del libro. Il volume sarà presentato martedì 12 novembre, alle ore 16, alla Camera, nella Sala Conferenze del Palazzo Theodoli Bianchelli, con la partecipazione di Roberto Fico, Presidente della Camera, del ministro Dario Franceschini e dello storico Andrea Riccardi.
Maria Antonietta, il vostro libro è un documentatissimo saggio sul caso Moro ed è un lavoro davvero importante. Tu e Fioroni – l’altro autore del libro – utilizzate l’enorme documentazione della Commissione Moro 2. Documentazione inedita, frutto di nuove indagini e di documenti provenienti dagli archivi desecretati dei servizi segreti. Il compito del libro è, riprendo un vostro concetto, di “ristrutturare il campo della conoscenza ” sul caso Moro. Il tutto alla luce della guerra fredda.. Insomma fino alla Conclusione della Commissione c’era un “Muro di di specchi” che impediva di guardare la realtà vera dell’omicidio Moro. Da cosa era rappresentata il Muro di specchi e perché usi proprio questa immagine?
“ Ho parlato di Muro di specchi per analogia con il Muro di cemento, il Muro di Berlino, che divise l’Europa durante la Guerra Fredda. Risulta evidente dai documenti adesso accessibili grazie ad una legge dello Stato del 2014, che in Italia – e voglio aggiungere in Vaticano, poi spiegherò perché – fu costruito un Muro altrettanto efficace e pervasivo che ha impedito di vedere quella che era la realtà del sequestro Moro. Anche in occasione del quarantennale, nella primavera 2018, è stata “suonata” la stessa canzone. Sui media è stato riproposto – spiace dirlo – il compromesso sulla verità dei fatti che apparati dello Stato italiano e terroristi hanno “sottoscritto ” insieme, pochi anni prima della caduta del Muro, cioè il cosiddetto Memoriale Morucci, che in realtà ( dimostrano i nuovi documenti) è un dossier del SISDE, il servizio segreto interno, frutto di un processo di rielaborazione , molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990) su che cosa era veramente accaduto durante “l’Operazione Fritz”, il nome in codice dell’”Operazione Moro”. In base ai nuovi documenti, il sequestro Moro, va completamente riscritto. E’ quello che faccio nel libro. Dove si spiega dove era veramente la prigione del popolo ( a via Montalcini probabilmente Moro non c’è mai stato, e sicuramente non è stato ucciso), a come è morto Aldo Moro, ai legami internazionali che le Brigate Rosse hanno sempre negato”.
Siamo nei giorni del ricordo della caduta del muro di Berlino. Tu affermi che il sequestro Moro ha rappresentato per noi, italiani, il significato dell’esistenza di quel Muro. Perché?
”Perché il sequestro Moro, in base alla nuova documentazione desecretata dal governo e agli atti della Commissione Moro 2 (che ha chiuso i suoi lavori nel dicembre 2018), presieduta da Giuseppe Fioroni, che coautore con me del libro “Moro, il caso non è chiuso”(edizioni Lindau), risulta essere stato la più grande operazione della Guerra Fredda. Il punto è che da noi la disinformazione sul caso Moro continua ancora oggi, dal momento che il reato di strage (come fu quello di via Fani) per il nostro ordinamento non si prescrive e molti protagonisti sono ancora vivi”.
Scrivi, nel libro, che in quei giorni “Roma era come Berlino”. Perché?
“ Perché come Berlino a quei tempi era tre quarti ‘ occidentale’ e un quarto ‘orientale’ ”
Parliamo un po’ di alcuni contenuti del libro. Fa impressione, ad esempio, il ruolo della Stasi, un Servizio Segreto davvero onnipotente (tanto onnipotente da conoscere i dettagli dell’agguato di via Fani) che tipo di relazione c’era tra le BR e la STASI?
“ Dagli archivi della STASI, un pò alla volta, lentamente, visto che sono passati ormai 40 anni, sono venute fuori carte e documenti che dimostrano chiaramente che durante il sequestro Moro, la Stasi aveva un interesse quotidiano, puntuale su quello che accadeva a Roma durante I 55 giorni del sequestro. Sono stati ritrovati questi documenti negli archivi una volta che è caduto il muro, ma il punto è che questi documenti superstiti (perché il 90 per cento dell’archivio che riguardava le operazioni all’estero è stato distrutto tra 9 novembre 1989 e il 15 gennaio 1990) dimostrano qualche cosa di più di un interesse. Ovviamente un fatto enorme, quale il rapimento del presidente Moro, era all’attenzione di tutti i servizi segreti di tutto il mondo, ma la Stasi era l’unica ad avere il dettaglio dell’operazione del sequestro in via Fani. Questo appunto che è stato trovato dal ricercatore italiano Gianluca Falanga e di cui spieghiamo l’importanza nel capitolo “L’appunto e il disegno” mette in evidenza il ruolo ,diciamo, strategico, dal punto di vista dell’operazione di Via Fani, del bar Olivetti, cioè del bar che era di fronte, per capirci, al corteo delle auto che viene bloccato dalle Brigate Rosse, dove poi c’è stato il sequestro del presidente Moro. La Stasi lo appunta in un suo documento l’8 Giugno 1978 ( analogamente i servizi italiani il 2 giugno), ma in modo estremamente più dettagliato. Quindi c’era qualcuno che queste notizie gliele dava, o in Italia, negli apparati italiani, o loro avevano fonti anche all’interno della galassia terroristica che magari poteva fornirgli questi dettagli . Nell’appunto la Stasi scrive ad esempio anche il numero dei terroristi che hanno organizzato l’azione che sarebbe di 40 persone e sottolinea il parallelo con il sequestro da parte della RAF (Rote Armee Fraktion ) di Hans Martin Schleyer, avvenuto alla fine del 1977.
Queste carte lascerebbero intendere, insomma che quella mattina a Via Fani oltre ai componenti del commando delle Brigate Rosse ci fossero anche dei tedeschi della RAF, cioè la frazione armata rossa, la RAF, che era il gruppo diciamo l’equivalente terroristico delle Brigate Rosse in Germania. E questo è stato confermato dalle nuove audizioni, svolte dalla commissione Moro 2 , circa la presenza di due persone, un uomo e una donna, lei con i capelli raccolti a chignon, i quali non parlavano italiano, e che sono stati sentiti affermare in modo distinto Achtung! Achtung!, cioè ‘Attenzione ‘ in tedesco.
Questi stessi personaggi vengono individuati da altri testimoni che sono stati ascoltati solo dopo 40 anni come inquilini, di quello che era il covo di Via Gradoli, che era il comando strategico del rapimento, e dove abitavano Mario Moretti e la Balzarani, durante il sequestro Moro, fino al 18 aprile”.
Com’è possibile che diciamo, nell’arco di tutti questi 40 anni con tutte le indagini, I processi, gli interrogatori, non si sia mai arrivati a capire che c’erano anche degli stranieri che facevano parte del commando?
“Una domanda che io mi sono posta, è perché, visto che i legami tra la RAF e le BR erano una cosa abbastanza nota, già dalla pubblicistica degli anni ‘70-’80, aver ritagliato fuori, dalla versione ufficiale, tra virgolette, del sequestro, in particolare del rapimento, queste, queste figure di questi terroristi tedeschi ha un solo scopo, secondo me ha avuto un solo scopo “togliere” dal luogo delitto i tedeschi, perchè I tedeschi della RAF, erano controllati dalla Stasi del generale Wolf, lo ha detto lui stesso nel suo libro autobiografico “L’uomo senza volto”..
Quindi diciamo, si sarebbe potuto stabilire un collegamento diretto tra il sequestro e il servizio segreto più potente del blocco orientale dopo il KGB.
Siamo, prima della caduta del muro di Berlino, certi equilibri geopolitici non potevano essere toccati, quindi la versione che noi abbiamo avuto del sequestro Moro, è una versione “compatibile” prima della caduta del Muro. Ma poi i tedeschi si è scoperto non erano solo i due di via Fani…”
E cioe’?
“In base a una testimonianza oculare di un ragazzo, che nel ‘78 già testimoniò, e che ha ritestimoniato davanti alla Commissione Moro2 e oggi è un maresciallo dei carabinieri di Viterbo, non erano solo due, erano molti di più, lui, il ragazzino sulla strada verso il Norditalia vede passare una Mercedes e un pulmino, pochi giorni dopo il sequestro, il 21 marzo, con molti uomini armati (tra cui una donna), con armi lunghe che sono stati fondamentali nel corso dell’azione. E quindi la presenza della RAF era probabilmente di più persone, l’appunto della Stasi ritrovato nel 2013 e già citato parla di 40 persone sullo scenario del sequestro e impegnate nel logistico successivo al rapimento”.
Un altro aspetto presente nel libro è l’amplissimo scenario geopolitico del sequestro Moro si proietta anche nel quadrante Mediorientale. Importantissimo è il ruolo dei Palestinesi (ovvero delle varie sigle politiche palestinesi). Non c’è solo Arafat. Chi sono stati i maggiori protagonisti che si sono spesi per la liberazione di Moro? Chi è Wadi Addad? In questi tentativi qual è stato il ruolo dei servizi segreti italiani?
“Ci sono ormai fatti incontrovertibili. I documenti sono stati desegretati anche dal governo italiano in una quantità enorme, io ho consultato un terabyte di documenti, cioè oltre un milione di giga di atti raccolti in quattro anni. Voglio fare solo un esempio che ci riporta a Berlino Est, il migliore contatto per una trattativa, instaurata dal colonnello Giovannone, che era l’uomo dell’allora servizio SID, poi SISMI, il servizio segreto estero italiano
che era di base a Beirut ed era un fidato collaboratore di Moro. Ecco dunque, il migliore contatto per la trattativa, che lui instaurò con varie frangie palestinesi, abitava a Berlino est, e si tratta di Wadie Haddad che era un personaggio, di prima grandezza del terrorismo, o dell’insorgernza palestinese. Per intenderci questo uomo con cui stava trattando Giovannone, viene ucciso a Berlino Est alla fine del marzo ‘78, cioè nel corso del sequestro, Moro tagliando completamente la possibilità di instaurare un dialogo, una trattativa con i palestinesi. Wadi Haddad è un personaggio enorme, non un terrorista qualsiasi. Nel senso che fu l’ideatore della strage, cioè del dirottamento dell’aereo, che finì ad Entebbe (1976) , in cui morirono oltre 100 tra cittadini israeliani ed ebrei, e dove intervennero le teste di cuoio di Israele in un’operazione in cui morì il loro capo, il fratello dell’ex premier israeliano Netanhyau. E questo Wadi Haddad, viene ucciso a Berlino Est, e lui stesso in base a quello che sappiamo dal dossier Mitrokhin, un agente del KGB, eppure viene ucciso – ce lo ha rivelato, diciamo ufficialmente, in qualche modo, l’anno scorso il professor Christopher Andrew, (che è stato preside del Dipartimento di Storia a Cambridge, nella sua storia dell’intelligence, pubblicata nel giugno 2018.
Secondo Andrew, Haddad venne ucciso dal Mossad, in quanto responsabile del dirottamento che finì tragicamente ad Entebbe nel ‘76. Però il dato che deve far riflettere è che lui venne ucciso nel corso del sequestro Moro, a Berlino Est ed è impossibile che Wolf, il capo della Stasi, non avesse dato un suo ok. Quale era l’interesse di Wolf? Terminare ogni possibilità di contatto tra il servizio segreto italiano e le frange palestinesi che potevano influire positivamente sul sequestro”.
Altri tentativi di trattativa non hanno portato a nulla. Nemmeno quello di Papa Paolo VI. Si poteva salvare Moro? Oppure era impossibile per il contesto della guerra fredda?
“Probabilmente impossibile, anche perché la Guerra fredda venne guerreggiata anche all’interno del Vaticano. Le nuove acquisizioni fanno stagliare la figura del Papa amico di Moro che instaurò una trattativa segreta a Castelgandolfo che coinvolgeva gli inquirenti italiani, i cappellani delle carceri, e il giurista Giuliano Vassalli. Trattativa che chissà perché ancora oggi alcuni in Vaticano negano pervicacemente. Essa ci fu, ma si scontrò con il sottomondo degli interessi strategici e degli affari (fino al traffico d’armi) che alloggiavano nello stabile di via Massimi 91, di proprietà dello IOR, ai tempi di Marcinkus. Era in via Massimi,91 il “Checkpoint Charlie” italiano, e lì fu preparata a prigione di Moro, in base ai documenti desecretati del Comando generale della Guardia di Finanza negli ultimi anni. Il povero Paolo VI combattè anche contro un “nemico interno”e non potè fare nulla.
Un altro nome inquietante viene affrontato nel libro. Quello di Alessio Casimiri. Chi è e perché è importante?
“Casimirri è l’unico protagonista del caso Moro che nonostante sia stato condannato definitivamente a 6 ergastoli non ha scontato un giorno di prigione. Era il figlio del numero due della Sala Stampa vaticana per trent’anni ,e sotto tre Papi, Luciano Casimirri. Vedi che torniamo all’ambiente vaticano. Per questo parlavo del Muro di specchi anche in Vaticano. Casimirri ha trovato rifugio in Nicaragua ed è stato dai primi anni Ottanta un personaggio centrale del regime sandinista di Daniel Ortega, ancora oggi, e con la repressione in atto nel Paese anche contro la Chiesa. All’inizio degli anni Ottanta in Nicaragua – e negli stessi mesi – finiscono le due grandi storie criminali del Dopoguerra: quella del sequestro Moro e quella del crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, lì infatti scomparvero gran parte dei denari del Banco che portano al crack. Magari è solo una coincidenza.”
Al termine dei lavori la commissione ha consegnato il materiale ai giudici di Roma, cosa riguardano le altre indagini?
“Le indagini appunto sono in corso”.
Ultima domanda. Quale “luce” può gettare il caso Moro su gli altri mister i italiani?
“Ci sono alcuni misteri italiani che sono rimasti tali perché collegati al caso Moro: ad esempio, quello della strage di Bologna e la scomparsa dei due giornalisti italiani Italo Toni e Gabriella De Palo. Nei giorni della strage, il titolare del bar Olivetti di via Fani era a Bologna. Nessuno lo ha mai interrogato al riguardo. Toni e De Paolo stavano indagando proprio sul traffico d’armi da cui provenivano i proiettili utilizzati in via Fani. Anche altri omicidi eccellenti (Pecorelli, Ambrosoli, Varisco , Boris Giuliano) che si consumarono, l’anno successivo al sequestro Moro, nel 1979, dimostrano a quarant’anni di distanza, collegamenti “indicibili” con le vicende del sequestro e il recupero delle carte di Moro”.