Il controllo delle transazioni finanziarie collegate alla compravendita di armi e di sistemi militari è cruciale nella lotta al terrorismo internazionale e per prevenire trasferimenti illeciti di armi. Da quindici anni è attiva in Italia la Campagna di pressione alle “banche armate”: promossa da tre riviste del mondo missionario e pacifista (Missione Oggi dei missionari saveriani, Nigrizia dei missionari comboniani e Mosaico di pace dell’associazione Pax Christi), la campagna ha portato i principali gruppi bancari italiani ad emanare precise direttive sulle attività di finanziamento all’industria militare e di sostegno all’export di armi. Ne parliamo con i direttori delle tre riviste e con Giorgio Beretta, analista della campagna.
Padre Alex Zanotelli, lei è, tra l’altro, direttore responsabile di Mosaico di pace. Come è nata e perché una campagna sulle “banche armate”?
La Campagna è stata lanciata dalle nostre tre riviste quindici anni fa in occasione del Grande Giubileo della Chiesa cattolica e della mobilitazione internazionale per la cancellazione del debito dei paesi impoveriti del Sud del mondo. Abbiamo innanzitutto voluto evidenziare che gran parte del debito contratto da questi paesi era costituito dal “debito odioso”, quello cioè che i dittatori di diverse nazioni avevano contratto per acquistare dai nostri paesi del Nord del mondo armamenti sofisticati che spesso hanno usato per reprimere le proprie popolazioni e fomentare sanguinosi conflitti regionali. Ma, soprattutto, abbiamo voluto offrire un modo concreto per favorire un maggior controllo sulle esportazioni di armi e sistemi militari del nostro paese e sulle operazioni di finanziamento delle banche all’industria militare. Un compito che oggi ci pare ancora più urgente alla luce dei focolai di guerra nel mondo, soprattutto in Africa e nel Medio Oriente, e delle crescenti spese militari anche del nostro paese.
Padre Mario Menin è direttore della rivista Missione Oggi. Padre Mario, come avete promosso la vostra campagna e quali risultati sono stati raggiunti?
La Campagna è partita chiedendo alle parrocchie, diocesi e a tutte le associazioni, cattoliche e laiche, di verificare se la propria banca figurava tra quelle, riportate nell’elenco della relazione annuale del Governo italiano, che svolgono operazioni in appoggio all’esportazione di sistemi militari: li abbiamo invitati a scrivere alla propria banca esplicitando che avremmo reso noto le risposte sulle nostre riviste. La campagna si è inoltre coordinata con altre iniziative simili in atto in altri paesi europei per promuovere un controllo attivo dell’attività delle banche nel settore militare e nell’export di armi. Le risposte delle banche italiane non si sono fatte attendere e, grazie alla pressione delle associazioni e dei correntisti, oggi possiamo dire che i principali gruppi bancari del nostro paese hanno emesso delle direttive restrittive, rigorose e abbastanza trasparenti, riguardo alle loro attività nel settore militare (si veda un’analisi dettagliata in questo articolo di approfondimento in .pdf ). Più difficile, invece, è il rapporto con le banche estere operative nel nostro paese, ma questo non è dipeso solo dalla nostra campagna….
Giorgio Beretta ha svolto diverse analisi in questo settore. Beretta, perché è stato più difficile coinvolgere le banche estere? Non c’è il rischio che la vostra campagna costringa le industrie militari a rivolgersi proprio a queste banche rendendo così più difficili i controlli?
Avere l’attenzione delle banche estere è stato più difficile innanzitutto perché poche associazioni sono clienti di queste banche che spesso hanno solo una sede operativa in Italia e offrono servizi soprattutto alle imprese più che ai privati. Ma, e qui sta il nodo centrale, sull’azione della nostra campagna ha inciso pesantemente la sottrazione di informazioni operata a partire dal 2008 con l’avvento dell’ultimo governo Berlusconi che è proseguita coi governi successivi: senza alcuna giustificazione al parlamento, dalla Relazione ufficiale del governo è stato infatti sottratto il lungo elenco di dettaglio delle operazioni autorizzate e svolte dagli istituti di credito. In altre parole, dal 2008 dalla relazione governativa sappiamo solo l’ammontare complessivo delle operazioni assunte dalle banche per l’export di sistemi militari, ma non possiamo più conoscere né i paesi destinatari né i sistemi d’arma. Questo ha favorito proprio le banche estere, in particolare i gruppi Deutsche Bank e BNP Paribas: si tratta comunque di gruppi bancari che, per quanto riguarda queste operazioni, sono sottoposti agli stessi controlli delle banche italiane. Nessun allarmismo, quindi, ma il problema rimane: vedremo se il governo Renzi, che ha fatto della trasparenza un suo cavallo di battaglia, sarà in grado di ripristinare ciò che Berlusconi e i governi successivi hanno sottratto. Non stiamo parlando di alcun segreto: si tratta, infatti, di informazioni che erano presenti nelle relazioni ufficiali fin dai tempi dei governi Andreotti e Ciampi.
Tutto questo, però, va ad aggiungersi alla preoccupante crescita di esportazioni di sistemi militari italiani verso le zone di maggior tensione del mondo come il Medio Oriente e i paesi dell’ex Unione Sovietica di cui abbiamo già parlato proprio con lei, Beretta, in precedenti occasioni.
Esatto. E qui siamo ad un vero paradosso. Da un lato tutte le forze politiche affermano che occorre evitare che le armi finiscano in mani indesiderate, dall’altro, però, ben pochi alzano la voce quanto è il nostro paese a fornire armi e sistemi militari ai vari dittatori e ai regimi autoritari. Il caso più interessante è quello delle forniture italiane di armi alla Libia di Gheddafi: da quanto nel settembre del 2003 è stato sollevato l’embargo di armi, l’Italia ha esportato in Libia un vero arsenale bellico che va dagli elicotteri militari AW109 di Agusta Westland all’ammodernamento di una serie di aeromobili CH47 e di una flotta di velivoli SF260W di Alenia Aermacchi fino alle componenti per i semoventi Palmaria della Oto Melara e per i missili Milan 3 della MBDA Italia. Oltre a questo c’è stata una grossa fornitura di “armi comuni”, non sottoposte cioè ai controlli della legge sulle esportazioni di sistemi militari: nel 2009, a seguito della visita di Gheddafi in Italia, sono state inviate in Libia oltre 11mila tra carabine, fucili e pistole semiautomatiche della Beretta di Gardone Val Trompia destinate proprio alla Pubblica Sicurezza del rais. Il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003”. Dove siano finite e chi stia usando adesso quelle montagne di armi italiane non è mai stato chiarito.
Torniamo alle banche. Padre Efrem Tresoldi è il direttore di Nigrizia. Padre Efrem, il papa si è ripetutamente pronunciato contro i “fabbricanti di armi” fino a definirli “imprenditori di morte”. Un messaggio al quale, però, sembra che parrocchie e diocesi non siano cosi attente…
Le parole di papa Francesco sono state chiare e forti. Anche a seguito dei suoi pronunciamenti abbiamo deciso quest’anno di lanciare la “Quaresima disarmata”. Una proposta concreta diretta principalmente, ma non solo, alle diocesi, alle parrocchie, alle comunità religiose, alle associazioni e ai singoli credenti di accogliere l’invito a verificare se la banca di cui si servono ha emanato direttive sufficienti almeno per un’effettiva limitazione delle operazioni di finanziamento e d’appoggio alle esportazioni di armi. Se come singoli o associazioni non abbiamo il potere decisionale per limitare la produzione di armi o il loro commercio, abbiamo però la possibilità di evitare che i nostri risparmi finiscano per alimentare questo mercato. Ma, soprattutto, crediamo che la comunità cristiana debba approfittare della Quaresima, che è un periodo di conversone individuale ed ecclesiale, per fare scelte chiare e coerenti con il messaggio di pace del Vangelo.