La strategia dell’inganno

1992-93. Le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia.

Un libro di Chiarelettere

 

La strategia dell inganno

IL LIBRO

L’autrice, giornalista d’inchiesta, ricostruisce, in questo libro uscito oggi nelle librerie, Il periodo più nero della nostra Repubblica. La grande crisi di sistema che colpì l’Italia tra il 1992 e il 1993, e che trovò soluzione nella nascita della Seconda repubblica, è segnata da avvenimenti tragici dai risvolti ancora non chiari. Il cosiddetto golpe Nardi, l’assalto alla sede Rai di Saxa Rubra da parte di un gruppo di mercenari in contatto con la Cia, le stragi di Milano, Firenze, Roma, quelle mafiose di Palermo, il black-out a Palazzo Chigi, e in mezzo Tangentopoli, gli scandali del Sismi e del Sisde, la fine dei partiti storici, la crisi economica.

La sequenza di avvenimenti di quel biennio ricostruita in questo libro ha qualcosa di impressionante e fa pensare a una regia che passa attraverso le nostre stesse istituzioni. Come dimostra l’autrice, tutti questi fatti portano il segno di una grande opera di destabilizzazione messa in pratica anche con la collaborazione delle mafie e con l’intento di causare un effetto shock sulla popolazione, creando un clima di incertezza e di paura, e disgregando le nostre strutture di intelligence.

Centinaia di testimonianze, inchieste, processi hanno offerto le prove che in Italia è stata combattuta una guerra non convenzionale a tutto campo e sotterranea.

Furono azioni coordinate? E se sì da chi? Non lo sappiamo. Di certo tutte insieme, in un contesto di destabilizzazione permanente, provocarono un ribaltamento politico generale. Un golpe a tutti gli effetti.

 

L’AUTRICE

Stefania Limiti è nata a Roma ed è laureata in Scienze politiche. Giornalista professionista, ha collaborato con “Gente”, “l’Espresso”, “Left”, “La Rinascita della Sinistra”, “Aprile”. Da anni si dedica alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della nostra storia attraverso la lettura delle sentenze giudiziarie e interviste ai protagonisti. Risultato di questo lavoro giornalistico sono stati i tre libri finora pubblicati con Chiarelettere: L’Anello della Repubblica, Doppio livello e Complici. È attualmente indagata per non aver rivelato, relativamente alla strage di Capaci, le fonti usate nel libro Doppio livello. Stefania Limiti ha seguito con molta attenzione anche la questione palestinese. Ha scritto I fantasmi di Sharon (Sinnos 2002), nel quale ha ricostruito la strage nei campi profughi di Sabra e Shatila e le responsabilità libanesi e israeliane, e Mi hanno rapito a Roma (l’Unità 2006), sulla vicenda del sequestro da parte del Mossad di Mordechai Vanunu, che mise l’Italia sotto i riflettori del mondo intero nel 1986. Inoltre ha realizzato un’inchiesta sul dossier voluto dai Kennedy sull’assassinio di JFK dal titolo Il complotto (Nutrimenti 2012).

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del libro

   

Questo libro

 

Si è voluto, con l’uomo dal passamontagna,

creare una indelebile, ossessiva immagine del

terrore. Il terrore della delazione senza volto,

del tradimento senza nome. Si è voluto deliberatamente

e con macabra sapienza evocare il

fantasma dell’Inquisizione, di ogni inquisizione,

dell’eterna e sempre più raffinata inquisizione.

(Leonardo Sciascia, L’uomo dal passamontagna)

 

Avete presente il colpo di Stato classico, quello realizzato con

i carri armati e l’assalto al palazzo del governo? Bene, dimenticatelo.

Perché la grande crisi di sistema che colpì l’Italia tra il 1992

e il 1993, e che trovò soluzione nella nascita della Seconda repubblica,

passa attraverso sentieri tortuosi, avvenimenti incerti

e patti segreti: una via di mezzo tra il golpe cileno e la sfilata

della maggioranza silenziosa al seguito del generale Jacques

Massu, il torturatore d’Algeria che spianò la strada al generale

Charles de Gaulle.

 

Si susseguirono rapidamente molti eventi in quel biennio,

e, purtroppo, non è possibile stabilire un loro principio ordinatore.

Sarebbe affascinante, magari tirando un solo filo, far

crollare tutto e guardare in faccia l’unico responsabile. Ma assai

più adatta al nostro caso è la visione gaddiana delle cose:

per il commissario Francesco Ingravallo le catastrofi impreviste

non hanno mai un’unica causa, come sostengono alcuni filosofi,

ma sono generate da svariati motivi. Nel caso dei cicloni,

quelli che riservano a tutti una fase di profondo e generale

sconvolgimento, quelli che cambiano la vita delle persone e

di un paese intero, cercare un’unica causa è solo una perdita di

tempo. E il biennio che aprì gli anni Novanta è molto simile a

quel gaddiano «punto di depressione ciclonica nella coscienza

del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità

di causali convergenti». L’insieme dei fatti diventa un «nodo o

groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire

gomitolo. […] L’opinione che bisognasse “riformare in noi il

senso della categoria di causa” quale avevamo dai filosofi, da

Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause

era in lui [don Ciccio] una opinione centrale e persistente». Per

l’ineffabile commissario il «pasticciaccio» non può che essere

l’insieme delle cause che hanno generato il delitto e che vorticano

come un mulinello attorno all’investigatore.

 

Gli avvenimenti di quel biennio raccontati in questo libro

hanno il segno del golpe. Il politologo americano, «brutalmente

repubblicano» (Come lo definisce Enrico Deaglio), Edward Luttwak diede alle stampe nel 1968 un

famoso «manuale pratico«, aggiornando l’ormai ingiallito lavoro

di Curzio Malaparte, e definì il colpo di Stato «l’infiltrazione

di un settore limitato ma critico dell’apparato statale e del

suo impiego allo scopo di sottrarre al governo il controllo dei

rimanenti settori». In Italia andò proprio così. Senza esercito o

blitz nei centri nevralgici del potere ma attraverso una sottile e

strisciante «strategia dell’inganno», furono messe in pratica diverse

azioni che avevano le caratteristiche delle operazioni psicologiche

(PsyOps) e che ebbero un enorme impatto mediatico,

un effetto shock sulla percezione della sicurezza nazionale e la

disgregazione delle nostre strutture di intelligence. Furono azioni coordinate? Non lo sappiamo. Se agì una sovrastruttura della destabilizzazione – in passato si era verificato

–, lo fece nel profondo della clandestinità e ci vorrà tempo

perché affiori uno straccio di prova della sua esistenza.

 

Con meno incertezza possiamo affermare che agì una dimensione

clandestina dello Stato. Nella cosiddetta Prima repubblica

aveva funzionato un delicato equilibrio tra il sistema democratico-

parlamentare, pubblico e legittimo, fondato sull’antifascismo,

e un lato occulto del potere fondato sull’anticomunismo.

Una sorta di doppia conventio ad excludendum: una democrazia

costituzionale, edificata sull’esclusione dell’estrema destra neo-

fascista e sull’inclusione del Partito comunista, e una pratica

anticostituzionale che legittimava la destra neofascista ed escludeva

i comunisti e la sinistra. Fortissime furono le pressioni sulla

vita politica italiana, esercitate in forme spesso illegali, affinché

quel doppio regime funzionasse, soprattutto attraverso l’uso

dei gruppi terroristici e della criminalità organizzata. Questi

ultimi sedimentarono anche legami tra determinati apparati

dello Stato e i propri rappresentanti, condizionando la storia

italiana, forse ben oltre le dimensioni oggi note.

 

Nel mondo postcomunista non è andata molto diversamente.

Durante la nostra Seconda repubblica ha agito un livello

pubblico del potere e un’entità sconosciuta, espressione di interessi

particolari e potenti, un deep State, per usare un termine al

quale recentemente si fa spesso ricorso. Sdoganato dalla stampa

anglosassone dopo il coup dei militari in Egitto nel 2013, ma

usato per la prima volta in Turchia nel 1996, il deep State (Mike Lofgren, The Deep State. The Fall of the Constitution and the Rise of a Shadow Government , Penguin Books, Londra 2016) si

riferisce a quegli apparati segreti o meno, comunque sovrastatali

e fuori da ogni controllo politico-elettorale, in grado di usare

risorse umane e finanziarie tali da determinare le sorti di una

nazione. Taluni utilizzano quest’ampia categoria in riferimento

ai regimi illiberali, altri ad esempio per indicare il complesso

di interessi che ha agito e affondato molti progetti dell’amministrazione

Obama. In ogni caso, non è in discussione la sua

esistenza, semmai il suo modo di essere nelle determinate circostanze.

È un potere antidemocratico embedded, incistato, nelle

strutture democratiche del potere, cane da guardia degli interessi

di una piccola parte a scapito di una maggioranza disgregata,

impoverita e senza voce. Proprio come quello che ha agito

nel nostro paese nell’ultimo decennio del Novecento.

 

Stefania Limiti, La strategia dell’inganno 1992-93. Le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia, Editrice Chiarelettere ,Milano 2017, pp. 288, € 16,90

 

 

“Non volevo morire vergine”.
Intervista a Barbara Garlaschelli

Un libro forte, che fa emozionare. E’ davvero un inno alla vita quest’ultimo libro della scrittrice milanese Barbara Garlaschelli. “Non volevo morire vergine”, uscito da poco nelle librerie, pubblicato dalla Piemme (pagg, 199, € 17) è il racconto della sua lotta contro i tabù e i pregiudizi: “ad un certo punto -dice l’autrice – mi sono resa conto che se volevo davvero “non morire vergine” (e intendo non solo da un punto di vista sessuale ma di vita) dovevo ribaltare a mia favore il fatto di essere su una sedia a rotelle”. Così con ironia, ed autoironia,ma anche con molta serietà e fermezza  vediamo la trama della sua lotta per riappropriarsi della sua sensualità. Ne parliamo in questa intervista con l’autrice. Per il libro è previsto un tour di presentazioni in tutta Italia. Presentazioni che avverranno in una forma originale: ovvero portando in giro il libro non nella solita forma della classica presentazione, ma come reading musicale, accompagnata da Stefania Carcupino, alla fisarmonica e al canto. Il reading ha il padrocinio dell’Associazione culturale Tessere Trame (tesseretrame.com). La foto che pubblichiamo, per gentile concessione, è tratta dalla pagina Facebook dell’autrice ed è stata realizzata dalla fotografa Paola Cominetta.

Barbara, confesso che leggere il tuo libro mi ha emozionato, commosso ed ho anche riso (la tua ironia ed autoironia è micidiale). Tu in questo libro rompi diversi tabù. Il primo, secondo me, è quello di aver reso pubblica la paura (concreta, vera, realissima) che un disabile ha nel manifestare i suoi sentimenti, il suo desiderio carnale. Come hai fatto a demolire questo tabù?

L’ho demolito vivendo la paura e cercando di venirne a patti. Ho impiegato molti anni per superarla (tra l’altro la paura è uno dei temi che tornano spesso nei miei romanzi, e non intendo i due autobiografici). La paura è una formidabile sfida perché ti costringe a decidere cosa fare della  vita: se rimanere inchiodata a lei oppure sfidarla – e quindi sfidare te stessa – e andare oltre. Ma la paura, comunque, è sempre lì, in agguato. 

Tu sei una scrittrice, di talento, affermata. Quanto ti ha aiutato la scrittura nel superare la paura?

​La scrittura è stata fondamentale perché mi ha offerto gli strumenti tecnici per raccontare qualcosa che, a tratti, appare irraccontabile. Se non fossi stata una scrittrice non avrei mai potuto farlo.​

L’origine letteraria del libro, diciamo così, è stata la pubblicazione di post comici, su Facebook, sul tema “sesso e disabilità”.  Che hanno avuto un gran successo. Ed è sicuramente un bel segno. Ti chiedo: pensi che nella mentalità, comune, sia superata quel tipo di idea che vede nel disabile uno “sfigato” in particolare sul piano affettivo e sessuale? Io temo di no, parlo della mentalità italiana che è ancora legata alla cultura greca e latina della forza…Un canone che si è affermato in Occidente. Qual è il tuo parere?

Abbiamo ancora molta strada da fare in Italia. Qui il disabile è visto, spesso, come un essere asessuato, da curare e coccolare, che non ha pulsioni, aneliti, desideri. Mentre i disabili sono donne e uomini come tutti e hanno diritto a vivere ciò che vogliono. Non siamo una categoria protetta ma essere umani con pari diritti, doveri e dignità degli altri. Allo stesso tempo non si possono negare gli oggettivi limiti e quindi non bisogna nemmeno incorrere nell’ipocrita affermazione “siamo tutti uguali” perché non è vero, nel senso che chi ha dei problemi deve anche avere gli strumenti necessari – assistenza medica, accesso a luoghi pubblici senza barriere, soldi per vivere –  per poter avere una vita come gli altri.

A questo proposito ho letto che una grande rivista ha rifiutato di pubblicare le tue foto con tuo marito. Perché?

 Ufficialmente perché non adatte, ufficiosamente perché c’erano “troppo corpo e troppe tette”. Vorrei sottolineare che queste foto, scattate anni fa da Paola Cominetta, grande fotoreporter con in cantiere un bellissimo progetto – di cui anche queste foto fanno parte – su sensualità e disabilità fermo perché nessuno ha avuto, ad oggi, il coraggio di sponsorizzarlo, sono foto bellissime e nient’affatto volgari. Certo, c’è molto “corpo” e molta sensualità. E forse il fatto che io e mio marito non siamo modelli che corrispondono ai canoni richiesti da questo genere di riviste ha pesato. Però sono state pubblicate altrove e in riviste anche molto famose, come “Vanity Fair” o quotidiani come “La Stampa”. per non parlare di Facebook dove avevo postato il pezzo in cui raccontavo la vicenda, con foto annesse e che è stato condiviso da centinaia di persone.

Torniamo al libro. Nel libro ti vediamo all’opera nel demolire il primo grande tabù : quello della sedia a rotelle. E’ stato un cammino lungo. Fino a diventare, per paradosso, uno strumento di seduzione…Nel senso che la tua persona non si esauriva nella sedia a rotelle ma la  sedia enfatizzava la tua sensualità. E’ così?

 Sì, è così. Ad un certo punto mi sono resa conto che se volevo davvero “non morire vergine” (e intendo non solo da un punto di vista sessuale ma di vita) dovevo ribaltare a mia favore il fatto di essere su una sedia a rotelle. Mi sono detta: la gente mi guarda perché sono su questo mezzo di trasporto, bene e allora io faccio in modo che mi guardino perché sono bella, seducente.​

​ E ho cominciato a “usare” il mio corpo e la mia mente seguendo questa direzione: quella del “sedurre”.​

 L’altro tabù che demolisci è quello corporale. Non neghi, ovviamente, il limite. Ma c’è stato un cammino di riappropriazione del tuo corporale. Un cammino mentale (la ferma volontà di “non voler morire vergine”) e poi fisico (sono belle le pagine in cui descrivi le sensazioni, gli orgasmi come massima riappropriazione del corpo e della mente). E’ così?

​Sì, per molti anni ho negato a me stessa una parte di vita affettiva, di sensi, d’amore. Ed era parte enorme e importante quella legata al mio corpo che ho dovuto incominciare ad amare di nuovo, anche se era un po’ cambiato (esternamente non molto, ma la sensibilità, per esempio, in parte era sparita. Non sapevo se avrei potuto provare piacere facendo l’amore, se avrei potuto farlo provare ). E’ stato un universo da esplorare. Ed è stato difficile ma anche di straordinaria vitalità ed entusiasmo.

Il dolore quanto ti ha aiutato a maturare?

​Il dolore non mi ha aiutato. Io lo ripeto spesso: il dolore è un limite enorme, un’ingiustizia per chi lo subisce. Io ne ho provato e ne provo ancora molto ed è un ulteriore handicap. Se mi ha insegnato qualcosa è stato combatterlo e a non lasciarmi soggiogare da esso, ma è una battaglia giornaliera. Sogno di svegliarmi una mattina senza dolori, né grandi né piccoli. ​

 Prima di incontrare Giam​paolo, tuo marito, hai conosciuto altri uomini. E, alcuni non ne escono bene, quale era il loro limite più grave?

Che erano degli “omarini” come li definiva mio padre Renzo. Uomini attratti da me ma senza il coraggio di vivermi fino in fondo, di prendersi una responsabilità. Mi hanno fatta soffrire ma si sono persi molte cose belle, credo. (Non sono molto modesta, ma è ciò che penso in tutta sincerità. E la sincerità è un elemento fondamentale in questo libro.) Per fortuna ne ho incontrati anche di meravigliosi.

 Cosa hai fatto per conquistare tuo marito?

Ho messo in mostra tutta la mia bellezza! E poi è scattato un amore reciproco e una forte attrazione da subito. Quando l’ho visto per la prima volta, come racconto nel libro, mi ha colpito la sua bellezza. Poi ci siamo conosciuti meglio e l’amore è diventato forte e solido, ma il nostro è stato davvero un colpo di fulmine. Credo che se entrambi non ci fossimo piaciuti fisicamente la storia sarebbe andata in modo molto diverso. ​

 Nel tuo cammino di emancipazione la tua naturale sensualità e bellezza ti ha aiutato molto. Così come la visione della sessualità non bacchettona. Però senza la tua famiglia, dalla mentalità aperta, rispettosa dei tuoi diritti e sentimenti, il tuo percorso sarebbe stato più difficile. Un ruolo importante l’avuto tuo papà. Perché ?

Io ho sempre avuto un rapporto di grande complicità e intimità con i miei genitori, questo anche prima dell’incidente, ed è stata una grande fortuna perché non abbiamo dovuto costruirlo da zero. E sia mia madre che mio padre volevano che io vivessi tutto della vita. Mio padre, soprattutto, trovava inaccettabile che mi fosse negata quella parte di universo fatta di amore e sensi con l’altro sesso. E mi hanno sempre aiutata, mai criticata, anche quando facevo scelte discutibili, e spalleggiata.

E il fatto di avere un aspetto gradevole è stato senz’altro d’aiuto. Ma questo aspetto me lo sono conquistata negli anniCi ho impiegato molto a fare emergere la femmina che era in me.

Ultima domanda: Il libro inizia con l’acqua e finisce con l’acqua . Un finale profondo….

​Nasciamo nell’acqua e questo cordone ombelicale io non l’ho mai spezzato, anche se è lì che la mia vita si è trasformata, mio malgrado, dopo un tuffo in acqua bassa, al mare​. In acqua, ma soprattutto nel mare, mi sento libera, senza peso. Ho una resistenza che non mi sogno di avere sulla terraferma sulla quale fatico a respirare, a spingermi. In acqua ho tutta la forza che fuori non ho. Non c’è niente che sia pacificante e accogliente come il mare. Forse il corpo di mio marito.

 

Cyberbullismo, una piaga in crescita. Un libro per combatterlo

“Il 50% dei ragazzi che subisce fenomeni di cyberbullismo pensa di suicidarsi, mentre l’11% cerca di farlo”. A dirlo, in una recente intervista, a Cyber Affairs è la senatrice Elena Ferrara (Pd), prima firmataria del disegno di legge a prevenzione e contrasto del cyberbullismo che adesso tornerà la prossima settimana in discussione alla Camera, nella Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali, in quarta lettura. Si spera davvero di poter approvare il testo prima dell’estate. Una legge necessaria per poter contrastare efficacemente questa piaga. I dati, diffusi dalla Polizia Postale, sono impressionanti e fanno paura: lo scorso anno sono stati 235 i casi di cyberbullismo trattati dalla polizia postale, cioè le denunce in cui i minori sono risultati essere vittime di reato. In particolare, sono stati segnalati 88 casi di minacce, ingiurie e molestie; 70 furti d’identità digitale sui social network; 42 diffamazioni online; 27 diffusioni di materiale pedopornografico; 8 casi di stalking. Inoltre sono stati 31i minori denunciati all’autorità responsabile perché ritenuti responsabili di reati: 11 per diffamazione online; 10 per diffusione di materiale pedopornografico; 6 per minacce, ingiurie e molestie; 3 per furto d’identità digitale sui social network; 1 per stalking. Altro dato preoccupante è che, secondo un’indagine sull’hate speech dell’Università di Firenze, l’11% dei giovani approva gli insulti sui social. 

Come sta reagendo il nostro Paese?
Ne parliamo con tre esperti, autori del libro – -pubblicato dall’Editore Reverdito -“Cyberbullismo. Guida Completa per genitori, ragazzi e insegnanti”:  Mauro Berti (Sovrintendente Capo della Polizia di Stato, impiegato presso il Compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Trento, è responsabile dell’Ufficio Indagini Pedofilia), Serena Valorzi (Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale, esperta in dipendenze da comportamento, assertività e di impatto emotivo, cognitivo e relazionale delle tecnologie di comunicazione),  Michele Facci (Psicologo, Consulente Tecnico presso il Tribunale di Trento, esperto in pericoli e potenzialità di internet, autore di numerosi interventi sui principali media nazionali. http://www.michelefacci.com). Il libro sarà presentato, questa sera a Torino, nell’aula magna del Liceo classico “Cesare Alfieri”. E’ previsto un tour di presentazioni in altre città italiane.

Dottor Facci come è nata l’idea di questo “libro- manuale” ?
Il libro nasce dalla volontà di esprimere in un breve testo l’esperienza dei recenti anni di lavoro dei tre autori, con lo scopo di fornire aiuti concreti a genitori e docenti. Nel tempo infatti, abbiamo incontrato decine di migliaia di ragazzi in diverse scuole di tutto il territorio nazionale, ci pareva importante valorizzare questa esperienza e creare una piccola guida per genitori e insegnanti. Di fatto, dobbiamo ringraziare i ragazzi stessi che con le loro domande e il loro interesse ci hanno sempre motivati nel nostro lavoro quotidiano.

Nel volume ci sono nozioni e casi pratici, episodi reali con nomi di fantasia, a chi si rivolge il libro ?
Il libro è pensato per genitori, insegnanti ed educatori in generale. Anche i ragazzi però possono trarre vantaggio dalla lettura del testo in quanto vengono riportati episodi concreti e modalità pratiche per uscirne e per imparare a chiedere aiuto. Il libro non è solo pensato per favorire consapevolezza e fare quindi prevenzione, ma è anche un ottimo strumento di aiuto per le vittime e le loro famiglie.

Sovrintendente Berti . Il libro parla di cyberbullismo e di crimini informatici legati ai giovani. Lei ha voluto apportare la sua esperienza lavorativa nella stesura di questo libro. Quali sono i suoi consigli circa la vita on line dei nostri ragazzi ?
Studi, approfondimenti ed esperienze lavorative hanno la fortuna di incontrarsi nei contenuti del libro. Certo è che incontrando, sotto l’aspetto lavorativo, molti giovani che fanno parte della generazione dei nativi digitali, si ha il privilegio e l’opportunità di riconoscere con chiarezza quali sono i limiti dei nostri figli. Ecco allora che elementi quali la solitudine e l’impulsività digitale sono riconoscibili in giovani che non hanno avuto l’opportunità di vivere l’era pre – tecnologica. Il consiglio principale è quello di inserire i valori della vita ordinaria anche in quella on – line.

Nel libro si parla di OSINT. Di cosa si tratta ?
OSINT un acronimo inglese che sta per Open Source INTelligence. Si tratta dell’attività di ricerca e analisi delle informazioni tramite la consultazione di fonti di dominio pubblico presenti, sia nella vita ordinaria che in rete. È facilmente intuibile, proprio per la mole impressionante di dati che contiene il mondo di Internet, che quest’ultimo sia ormai diventato la primaria fonte di ricerca.

Dott.ssa Valorzi come è nata la sua collaborazione alla stesura del libro ? Quale è stato il suo apporto?
Mi occupo da più di 15 anni di dipendenze da comportamento e la pervasività di internet e l’impatto che ne consegue a livello emotivo, cognitivo e relazionale sono davanti ai miei occhi ogni volta che incontro nelle scuole o in studio persone, grandi o piccole, che soffrono o si interrogano su come migliorare la loro qualità di vita. Questo è il secondo lavoro congiunto con Mauro e Michele e, anche in questo caso, ci anima fortemente il desiderio di condividere le nostre esperienze con chi ha a cuore i nostri ragazzi e vuole agire con coscienza e consapevolezza profonde.

Perché il Cyberbullismo è più pericoloso di quello tradizionale?
I comportamenti vessatori del bullismo classico non erano così estesi. Potevi tornare a casa e sentirti protetto, ora internet espande e rende immortali commenti immagini, espone alla vergogna che sembra non avere soluzioni, di giorno e di notte, un mondo in cui molte relazioni si limitano alle emoticons. Se noi adulti e gli amici non interveniamo prontamente in aiuto, è facile che i ragazzi si sentano disperati e soli per sempre e, a volte pensino anche di scappare via per sempre.

Nel libro emergono i concetti di “vittima”, “persecutore” e “salvatore” . I genitori si rendono  conto di avere a che fare con fattispecie penali ?
Spesso i genitori non si rendono conto, non hanno più occhi, nel vortice delle nostre vite accelerate, per vedere il disagio. Parliamo spesso troppo poco con i nostri ragazzi chiusi nelle loro stanze. Ma altrettanto rischioso é vestire, impulsivamente, i panni dei salvatori perché, se si accettano soluzioni ipersemplificate di buoni e cattivi, si rischia di diventare altrettanto aggressivi (persecutori a propria volta). Fermiamoci, esercitiamo le nostre capacità di gestione emotiva, di comprensione, di intervento efficace e non punitivo, e daremo modo ai nostri ragazzi di fare altrettanto. Noi siamo, e rimaniamo, i loro modelli.

E’ in discussione alla Camera, in quarta lettura, un DDL sul Cyberbullismo. Ci sono, secondo voi, buone novità ?
Speriamo sia la volta buona. Nell’attuale stesura si è ritornati al testo originale, quello voluto fortemente dalla Senatrice Elena FERRARA. In questa versione il Cyberbullismo non viene trattato come una vera e propria fattispecie delittuosa fine a sé stessa, ma come un fenomeno al quale bisogna guardare con attenzione proponendo modelli educativi e di recupero. La stessa scuola viene investita con nuovi compiti formativi e di controllo.

Il caso Mattei

Per la prima volta le prove dell’attentato nella ricostruzione del magistrato che ha condotto l’inchiesta. Un libro di Chiarelettere.

 

“Nonostante siano passati tanti anni a qualcuno la verità dà ancora fastidio…

Tutto chiaro fin dal primo momento, tutto incerto, coperto, inconfessato, depistato per i decenni a venire.” (Giorgio Bocca)

 

 




IL LIBRO

 

Sono passati oltre cinquant’anni da quel 27 ottobre 1962, quando l’aereo su cui viaggiava Enrico Mattei precipitò nella campagna pavese. Cinquant’anni di omissioni, bugie, depistaggi di Stato che hanno visto anche la stampa in gran parte schierata a confondere fatti e prove anziché contribuire a cercare la verità, così come dimostra questo libro, secondo la drammatica ricostruzione di Sabrina Pisu e del pm Vincenzo Calia, titolare dell’inchiesta avviata nel 1994 e conclusa

nel 2003.

Non si trattò di un “tragico incidente”, fu “un omicidio deliberato”, qualcuno sabotò l’aereo che precipitò in seguito a un’esplosione. Calia offre un quadro completo dei motivi per cui molti volevano fermare Mattei. Le ipotesi costruite su una documentazione vastissima, raccolta in anni di ricerche, sono rivelatrici.

Come scriveva Bocca, “la verità dà ancora fastidio”, troppi gli interessi in gioco. Il giornalista Mauro De Mauro, sollecitato dal regista Francesco Rosi a collaborare alla lavorazione del film “Il caso Mattei”, scomparve nel nulla subito prima delle rivelazioni che si apprestava a fare. Chi nel tempo provò a indagare sulla sua morte fu ucciso: il commissario Boris Giuliano, il pm Pietro Scaglione, il generale Dalla Chiesa, il colonnello Ninni Russo, il giudice Terranova. Anche Pasolini, che stava scrivendo il romanzo “Petrolio” con protagonista il successore di Mattei, Eugenio Cefis, fu ammazzato. Vite sacrificate per servire lo Stato e che lo Stato, incapace di processare se stesso, non ha difeso.

 

GLI AUTORI

 

Vincenzo Calia, magistrato, ha lavorato in procura a Pavia e come pm ha condotto la terza inchiesta sulla morte di Mattei. Attualmente è sostituto procuratore generale a Milano.

 

Sabrina Pisu, giornalista e inviata, lavora per Euronews, canale internazionale all news con sede a Lione. Con Alessandro Zardetto ha scritto il libro “L’Aquila 2010, il miracolo che non c’è” (Castelvecchi).

 

 

 

 

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro

Questo libro
di Sabrina Pisu

La storia di Enrico Mattei finisce, come ha scritto Enzo Biagi, «in cinque secondi, sommersi dal silenzio e dal buio, il 27 ottobre 1962, a Bascapè di Pavia». L’inchiesta della Procura di Pavia, avviata nel 1994, chiusa nel 2003 e poi archiviata nel 2005, ha stabilito che il velivolo Morane Saulnier della Snam partito dall’aeroporto di Catania, su cui viaggiava il presidente dell’Eni, è stato sabotato. Fu una bomba a mettere Mattei fuori gioco per sempre: oltre alla procura pavese, con l’indagine del pm Vincenzo Calia, lo ha stabilito, in seguito, la Corte d’assise di Palermo nel procedimento sulla scomparsa di Mauro De Mauro. Il processo sul sequestro del giornalista de «L’Ora», avvenuto il 16 settembre 1970 e il cui corpo non fu mai ritrovato, è stato riaperto, infatti, nel 2003, quando il pm Calia ha trasmesso copia degli atti dell’inchiesta su Mattei alla procura del capoluogo siciliano, intravedendo un legame tra l’uccisione del presidente dell’Ente nazionale idrocarburi e la scomparsa del cronista. De Mauro è finito nel nulla proprio mentre stava indagando sulle ultime ore trascorse in Sicilia dal numero uno dell’Eni, incaricato dal regista Francesco Rosi, che stava lavorando a sua volta al film Il caso Mattei. La Corte d’assise di Palermo, con la sentenza del 10 giugno 2011, confermata in appello, ha assolto Totò Riina, l’unico imputato ancora in vita, per non aver commesso il fatto ma, dopo aver ripercorso in modo minuzioso le indagini svolte a Pavia, ha giudicato «acclarata, a onta del tempo trascorso dalla consumazione del delitto, la natura dolosa delle cause che determinarono la caduta dell’I-Snap», ritenendo «che la conclusione rassegnata dalla procura pavese sia pienamente condivisibile, in quanto suffragata da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche».

Nonostante i due accertamenti giudiziari, sono ancora in molti a ritenere che si sia trattato di un «incidente» o che «sul sabotaggio restano ancora dubbi». L’ultimo in ordine di tempo è stato Paolo Mieli nel corso della prima puntata di Mille lire al mese. Storie di uomini che hanno fatto grande l’Italia (Andata in onda il 14 marzo 2016 su Orizzonti Tv), in cui, parlando di Mattei, ha sostenuto: «L’incidente di Bascapè, non sappiamo neanche se si possa chiamare incidente o non fu un attentato, toglie di mezzo Mattei nel 1962 quando è ancora nel pieno delle sue forze e sta dispiegando la sua politica. È un danno terribile per l’Eni, per l’Agip e per l’intera economia italiana e anche per la politica italiana». Anche in occasione del centodecimo anniversario della nascita del suo fondatore, l’Eni, in un comunicato ufficiale diramato e ripreso dalle agenzie di stampa, ha continuato a definire «misteriosa» la morte di Mattei, ignorando completamente gli accertamenti giudiziari. La stessa Ansa ha rilanciato il comunicato scrivendo: «Il 27 ottobre 1962 muore in un misterioso incidente aereo in provincia di Pavia. Le autorità giudiziarie non hanno mai stabilito se si trattasse di morte accidentale o omicidio». Mattei è stato ucciso e non è stato vittima di un incidente aereo, non si conoscono i nomi dei colpevoli, una verità completa non c’è, almeno in via giudiziaria, ma ci sono sufficienti elementi per definire gli scenari e i fantasmi che aleggiano sul suo cadavere. Il dibattito storico non può e non deve essere archiviato come un caso giudiziario, perché l’attentato all’allora capo dell’ente apre un periodo nero per l’Italia, oscuro come il petrolio: nel 1969 c’è piazza Fontana, l’anno dopo, il 16 settembre, un’automobile preleva, appunto, Mauro De Mauro sotto la sua abitazione fagocitandolo in una Palermo che non lo restituirà mai. Nel 1975 a essere ucciso è Pier Paolo Pasolini: sul suo corpo, massacrato nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 e trovato senza vita alle prime luci dell’alba, adagiato sulla spiaggia di Ostia, si è tentato di mascherare la verità. E cinque anni dopo, il 2 agosto 1980, una deflagrazione nella sala d’aspet to della stazione ferroviaria di Bologna ferma per sempre l’orologio alle 10.25 del mattino e con esso la vita di ottantacinque persone. Una lunga scia di sangue, silenzio e menzogne, da parte di uomini spesso appartenenti a uno Stato non in grado di processare, quando necessario, parti di se stesso.

Processo al silenzio

Il libro indaga e ricostruisce un aspetto ancora inedito della vicenda giudiziaria legata al caso Mattei, un lungo e sistematico sabotaggio della verità: i depistaggi intentati subito dopo l’incidente, durante le indagini in maniera «indiretta» e anche in seguito, quando, a verità accertata dalla Procura di Pavia sulla natura dolosa dell’accaduto, si è continuato a parlare di incidente; la stampa italiana ha schierato una parte delle sue migliori (e anche insospettabili) penne per evitare che venisse fuori una verità diversa dalla versione ufficiale o anche solo per scongiurare che qualunque tipo di ombra si allungasse sulle cause della morte di Mattei e si facesse luce sui mandanti. La parola «bomba» non piace innanzitutto all’Eni, ieri come oggi; nella pagina web ufficiale dell’ente, dedicata a Enrico Mattei, la sua biografia termina così: «Il 27 ottobre 1962 il suo aereo proveniente da Catania e diretto a Linate precipita a Bascapè (Pavia). Muoiono il presidente dell’Eni, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale». «Gli aerei non precipitano senza un motivo» scriveva Giorgio Bocca parlando sempre dell’episodio. La verità, infatti, passa anche attraverso la scelta delle parole giuste, scelta basata sulla reale conoscenza dei fatti. Tullio De Mauro, il 12 giugno 2011, in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera» ammonisce il quotidiano stesso: «Suggerirei caldamente in futuro di non scrivere mai più “tragico incidente” parlando di Mattei. Sarebbe una pia finzione. Fu omicidio deliberato. Questa è la corretta definizione». Indignazione per i continui lapsus della stampa viene anche dimostrata dalla nipote del presidente dell’Eni, Elisabetta Mattei, che scrive una lettera al quotidiano di via Solferino, pubblicata nello spazio interventi e repliche del 16 giugno 2011. «Come il “Corriere” può parlare di “morte misteriosa” del presidente dell’Eni? Misteriosi sono i mandanti dell’attentato, non la morte. O scrivere “l’incidente le cui cause non furono mai chiarite”? È un insulto alla memoria di mio zio Enrico Mattei e all’operato encomiabile del giudice Vincenzo Calia che portando la prova dell’esplosivo collocato sull’aereo ha dimostrato che fu un attentato.»

Convinzione di chi scrive è che l’Italia debba continuare a interrogarsi sul lato oscuro della sua storia a partire proprio dall’attentato a Mattei, perché si tratta di fatti che ne hanno cambiato per sempre il volto e il corso. È un dovere civile servirsi delle «schegge di verità», come le definiva Leonardo Sciascia, di cui disponiamo, riconoscendole come tali, per mettere nero su bianco dinamiche e responsabilità, evitando così che un altro aereo cada per un «incidente» dovuto al cattivo tempo o che delle nuove penne autorevoli si spendano su qualche giornale, magari su comando, per depistare, omettere e insabbiare.

Il mio incontro con il magistrato

A Vincenzo Calia scrissi per la prima volta nel 2011 per un reportage che stavo facendo per Radio 24, durante il programma di Daniele Biacchessi L’Italia in controluce, sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Mi interessava saperne di più sulla correlazione che lui per primo aveva individuato tra l’ultimo lavoro incompiuto del poeta e regista, Petrolio, e il libro Questo è Cefis di tale Giorgio Steimetz  (Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972) alias Corrado Ragozzino.

Il grande romanzo sul potere, che Pasolini non riuscì a finire perché brutalmente ammazzato, prendeva le mosse proprio da quel volume che, gettando pesanti ombre sulla figura di Eugenio Cefis, il successore di Mattei alla guida dell’Eni, ricostruiva il pericoloso intreccio politico-affaristico-criminale dell’epoca che porterà, come si capirà solo dopo, alle bombe fasciste. In quell’occasione Calia gentilmente declinò la mia richiesta a fargli un’intervista suggerendomi, qualora avessi voluto sapere qualcosa di più, di visionare i documenti della sua inchiesta sul caso Mattei, archiviata sei anni prima. Conoscevo l’indagine per averne letto sui giornali e su alcuni libri, ma restai sorpresa dal lavoro impressionante svolto dal pm: oltre 5000 pagine, 13 faldoni, 614 testimoni e 12 consulenze tecniche. Mi colpì subito un ampio fascicolo fotografico di circa 350 immagini. Si tratta di istantanee raccolte e realizzate da polizia, carabinieri, agenzie fotografiche e redazioni di giornali, un materiale storico di grande valore e quasi del tutto sconosciuto. Ci sono i rottami dell’aereo dispersi nella campagna di Bascapè, dall’ala al serbatoio, e i rappresentanti delle istituzioni dell’epoca accorsi sul luogo della sciagura; si vedono chiaramente gli inquirenti al lavoro, gli operatori della Croce rossa che recuperano ciò che resta dei corpi delle vittime e ci sono gli scatti di alcuni oggetti personali di Mattei, come l’anello e l’orologio: tutti elementi centrali per ricostruire le modalità e le cause della caduta del velivolo – lo stato dei luoghi, la condizione e l’ubicazione dei resti dell’aereo –, e per accertare la natura del disastro.

Queste fotografie costituiscono le prove, insieme agli accertamenti tecnici e alle numerose testimonianze raccolte, che l’aereo è stato dolosamente abbattuto. Pensai subito che questo apparato meritasse di essere conosciuto e così scrissi a Calia chiedendogli se quelle immagini fossero mai state esposte. Mi rispose di no. Cominciai a lavorare, allora, a un progetto per realizzare una mostra per la quale lui si rese disponibile a fornirmi una consulenza, qualora ce ne fosse stato bisogno. Iniziai allo stesso tempo a sfogliare i documenti dell’indagine rendendomi presto conto che solo parte di essi era stata in precedenza pubblicata da scrittori e giornalisti. Molto materiale era ancora inedito. Così contattai di nuovo il magistrato, proponendogli di lavorare alla stesura di un libro sul caso Mattei. Vincenzo Calia è un professionista riservato, di poche parole, lascia che siano le sue  inchieste a parlare per lui; all’epoca delle indagini, quando veniva raggiunto dai cronisti, si chiudeva sempre dietro un «no comment», senza rilasciare mai una dichiarazione. Così, in linea con il suo rigore, mi rispose: «Lo scriva lei». «No – replicai – l’inchiesta è la sua, solo lei può raccontarla.» Così, lentamente, è nato questo volume: un progetto univoco nelle sue due parti; la prima scritta in presa diretta dal pm, che ripercorre tutte le fasi dell’indagine e che rappresenta un documento giudiziario e storico incredibile. La seconda, scritta da me, sul ruolo avuto dalla stampa nel manipolare o, nel migliore dei casi, ignorare la verità.

Il lavoro svolto negli anni dalla procura pavese, grazie all’instancabile impegno di Calia, ha squarciato il velo su un grande mistero italiano; le carte processuali, che sono alla base di questo libro, hanno un valore straordinario al di là degli esiti giudiziari, perché ci consegnano il nitido disegno politico-affaristico di un’epoca e le battaglie spietate di potere che si sono giocate sul corpo di Mattei. Solo seguendo la lunga scia di sangue che parte da allora e arriva fino a oggi possiamo realmente capire l’Italia che siamo diventati e quella che saremmo potuti diventare se alcune teste non fossero state fatte cadere. Prima tra tutte quella di Mattei, che voleva industrializzare e modernizzare il paese, come in parte è riuscito a fare, per renderlo capace di competere con le maggiori potenze mondiali. Un uomo orgoglioso della propria nazione, che sognava coraggiosa e ambiziosa, con un ruolo internazionale. La sua figura è stata e resta al centro di acute discussioni sotto il profilo dell’eticità e dell’opportunità della sua azione, tra chi la loda e chi la demonizza: questo dibattito rimane fuori dal nostro libro. Qui si perseguono la ricerca della verità e il rispetto di quella che è stata stabilita durante l’inchiesta: ed è un dovere che non esclude nessuno. Obiettivo di queste pagine è anche quello di arginare il rischio di non sorprendersi più.

Quando Mauro De Mauro sparì, Sciascia scrisse che la gente a Palermo aveva preso la sua scomparsa (era il trentesimo uomo a venire inghiottito nel nulla in dieci anni nel capoluogo siciliano) «come prende la siccità, il temporale, come un fastidioso fatto di natura». E, poi, perché i volti e le storie dei nostri grandi uomini uccisi non devono essere dimenticati. E sono tanti, con vicissitudini diverse, ma tutti legati da una vita spezzata all’improvviso; una morte «che non ha volto», come disse Moravia a proposito dell’assassinio di Pasolini nel corso del suo funerale. «L’immagine che mi perseguita è quella di Pasolini che fugge a piedi, inseguito da qualche cosa che non ha volto, è quello che l’ha ucciso, questa immagine è emblematica di questo paese.» Diamo un nome e una fisionomia a questo volto.

 

Vincenzo Calia e Sabrina Pisu, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’ENI dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Ed. Chiarelettere, Milano 2017_Collana: Principio Attivo_Pagine: 384_Prezzo: 18 euro

 

 

 

Ecco chi e perché nel mondo perseguita i cristiani. Intervista a Nello Scavo

 

Nello Scavo, giornalista dinchiesta per il quotidiano cattolico Avvenire, in

questo libro, Perseguitati, ci offre un documentatissimo reportage di chi in ogni angolo del mondo viene perseguitato per la sola ragione di pregare il Dio di Gesù Cristo.

I dati sono impressionanti: ll  75% delle violenze che, oggi, una minoranza religiosa subisce riguarda i cristiani. Quali le ragioni di tanto odio? Ne parliamo, in questa intervista, con lautore del libro. Il libro verrà presentato a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, il prossimo 28 marzo. Alla presentazione sarà presente, tra gli altri, mons. Silvano Maria Tomasi (Segretario della Pontificia Commissione Giustizia e Pace).

 

Come nasce questo libro?


Dal desiderio di conoscere e di raccontare. Dalla necessità di andare a fondo. Non mi bastavano infatti le risposte preconfezionate sulla “guerra al cristianesimo” per ragioni strettamente religiose, come se l’essenza di una religione, sia essa l’islam o certe derive del buddismo nel sudest asiatico, così come l’induismo e lo stesso cristianesimo (laddove i cristiani venivano accusati di non essere vittime ma carnefici), contenessero nel loro Dna il germe dell’odio. Così ho provato a raccontare una delle ricadute della “terza guerra mondiale a pezzi” tante volte denunciata da Papa Francesco.

Il tuo libro è davvero un grido di allarme per le enormi violazioni della  libertà religiosa che investe, ormai quotidianamente, il 60% degli Stati a livello mondiale. Puoi farci una piccola mappa dove, secondo la tua esperienza sul campo, maggiori sono le violazioni?

Secondo Open Doors International la Corea del Nord per il 15° anno di fila è il luogo peggiore al mondo dove essere cristiani. La Chiesa è interamente clandestina. C’è poi la Somalia dove gli islamici che si convertono al cristianesimo, se scoperti vanno incontro a morte certa La Chiesa è pressoché totalmente clandestina o fortemente ostracizzata anche in Paesi come Afghanistan, Pakistan, Sudan, Iran ed Eritrea. La pressione anticristiana cresce rapidamente nelle regioni del Sud-Est Asiatico e dell’Asia Meridionale. Ma fenomeni anticristiani si registrano anche alle porte d’Europa, dove centinaia di profughi cristiani incontrano enormi difficoltà a raggiungere i Paesi Ue ai quali intendono chiedere asilo.

ll  75% delle violenze che, oggi, una minoranza religiosa subisce riguarda i cristiani. Un dato impressionante. Qual è il fattore scatenante di tanto odio?

Ci sono molte ragioni, ma in generale possiamo dire che si tratta di scontri per difendere un interesse. Sia esso di tipo economico, culturale, sociale, o di “supremazia religiosa”. Il cristianesimo, infatti, non è mai privo di ricadute sociali e la novità che esso rappresenta viene spesso vissuto come una minaccia per chi ha fatto del sopruso, sotto qualsiasi forma, anche quelle apparentemente più innocue, una regola di vita.

Colpisce, nel libro, il racconto delle umiliazioni , e le violenze, che subiscono le donne cristiane…Ce ne puoi parlare?

Ho cercato di ricostruire il tariffario delle schiave sessuali cristiane, le “condizioni contrattuali”, nella compravendita delle donne, le angherie che molte sopportano spesso per proteggere i propri bambini. Ci sono casi di donne rimaste vedove e che avrebbero voluto togliersi la vita, una volta “comprate” da qualche miliziano, ma che hanno accettato il quotidiano martirio solo per non abbandonare i figli nelle mani dei mujaheddin. I maschietti vengono avviati alla “guerra santa”, quanto alle femminucce non serve immaginazione per sapere quale futuro le aspetterebbe.

Hai scritto nel libro che hai raccolto testimonianze, documenti  e atti “top secret” che confermano l’esistenza di piani per la sistematica eliminazione di comunità di credenti perché, secondo il regime, creano destabilizzazione nella società. A chi ti riferisci in particolare?

Ho rovistato nel passato dell’America Latina, trovando molte conferme sui piani anticristiani delle dittature militare spalleggiate dagli Usa. Uno spartito che non è cambiato al giorno d’oggi in molti Paesi africani, in Asia, nella penisola araba, solo per fare alcuni esempi.

Per scrivere questo libro hai attraversato le “trincee della fede”, dalla Cambogia alla Somalia, ti sei imbattuto anche negli “007 della Fede”, così li hai definiti questi uomini coraggiosi, chi sono e cosa fanno?

Si tratta di cristiani, sia cattolici che protestanti, i quali affrontano enormi rischi per far arrivare il sostegno delle comunità di credenti ai gruppi perseguitati. Tra essi persone che mettono a repentaglio la loro vita per contrabbandare copie della Bibbia da far giungere alle chiese relegate nel silenzio.

Tra tanto dolore c’è stato un episodio che ti ha destato una speranza per il futuro?

Sono molti gli episodi che danno speranza e proprio alcuni di questi mi hanno spinto a continuare nell’inchiesta e scrivere il libro. Penso ad alcuni imam che nei Balcani hanno dato accoglienza a tanti profughi cristiani provenienti dalla Siria. Penso anche a quegli islamici che in Siria stanno proteggendo i loro amici cristiani, insomma a quei “samaritani” che non si girano dall’altra parte, ma si soffermano senza fare calcoli.

Ultima domanda: In questa tuoi incontri nel dolore come viene percepito Papa Francesco? Te lo chiedo perché nei “circoli” tradizionalisti Bergoglio viene accusato di fare poco per i cristiani perseguitati. Una accusa mostruosa….
Ovunque il pontefice è percepito dai cristiani, anche da tante comunità protestanti, come un vero difensore dei diritti umani e l’unico leader in grado di agire a sostegno dei martiri del nostro tempo. Sapere che c’è qualcuno che chiede di pregare per loro, non è solo di grande consolazione, ma gli conferma di essere parte di una comunità universale.

Nello Scavo, Perseguitati, Edizioni Piemme, Milano 2017, pagg. 300. € 18, 50