Capitalismo Predatorio

La vicenda Eutelia – Agile, ultima storia di avidità italica (senza dimenticare Cirio, Parmalat), segna davvero il punto più basso del “capitalismo” italiano.
Una società sana, senza problemi di mercato, distrutta per bieco arricchimento individuale.

Nasce undici anni fa ad Arezzo per operare nell’ambito dei servizi informatici. Attraverso vari passaggi la società cresce, crea altri rami aziendali (Agile e Omega). Fino ad arrivare nel 2005 alla quotazione in Borsa, dal 2008 però inizia la crisi. Nel 2009 i duemila lavoratori vengono ceduti, per 96 mila euro (!?) ad Omega.
Ed ecco che comincia lo svuotamento della società con il conseguente furto ai danni dei lavoratori (che vengono, così, defraudati del loro lavoro). I vertici di Eutelia, secondo i magistrati,  concentrano perdite, debiti e i lavoratori su Agile. “E’stata fatta un’operazione – scrivono i magistrati nell’ordinanza di arresto dei manager – di svuotamento attraverso una operazione di distrazione, pagamenti a privati e società privi di una obiettiva giustificazione per 12 milioni di euro”. Insomma sembra che la mission fosse il dissesto aziendale.
In Parmalat i fondi aziendali venivano sottratti anche per scopi aziendali, in altri casi (vedi Cirio) le frodi sono state compiute per nascondere la crisi della società.  Quindi, questo di Eutellia, è un caso criminale veramente unico.
Gli stessi “valori” di alcuni protagonisti sono raccapriccianti. Ricordano quelli del cattivo Gordon Gekko, il protagonista del film Wall Street, che affermava che “l’avidità è una buona cosa”. Così nel mondo cannibalesco degli speculatori americani la cupidigia era da esibire con orgoglio.
Suo pari, purtroppo nella realtà e non nella fiction, è questo Antonangelo Liori, ex giornalista, che raccontava al telefono, intercettato, di aver detto in un incontro con i Sindacati: “se c’è un fallimento io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero, la mia villa. Tutto uguale…e loro (gli operai) non ce l’hanno un lavoro…Questa è la  storia”.
Che “carino”!
Per non parlare dell’altro protagonista, Samuele Landi, oggi latitante, che pugnale tra i denti minacciò l’anno scorso i dipendenti della sede di Roma. con un blitz, insieme a dei vigilantes, cercava di cacciare i lavoratori che occupavano la fabbrica.
Siamo ben lontani, ovviamente, dalla “mano invisibile” di Adam Smith. Se è vero che per il filosofo scozzese l’interesse personale  giova alla società, questo non potrà mai andare contro la legalità.
Il mercato ha bisogno della legalità. Questo vuol dire più regole di trasparenza per lo stesso.
Come afferma con limpida chiarezza l’articolo 41 della nostra Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Onore alla Germania

Senza nulla togliere alle “furie rosse” di Del Bosque, al suo gioco fatto di ragnatele asfissianti di palleggi, alla bravura di Puyol, resta da dire che questo mondiale (alquanto strano, non per noi italiani che l’eliminazione al primo turno se la siamo ampiamente meritata per l’insipienza dimostrata sul campo e non solo) sarà ricordato anche per la bella, quella di ieri un po’ meno sul piano del gioco, Germania guidata da Loew.

Inesorabile, come un destino crudele, ogni volta che la “panzerdivision” tedesca incontra una squadra latina viene eliminata (è capitato nel passato con l’Italia ieri con la Spagna).
Ma la Germania di Loew non è la fredda “panzerdivision” di Beckenbauer e di Mayer, un po’ arrogante e supponente, che abbiamo sconfitto nella mitica partita del ’70 allo stadio Azteca di Città del Messico.
Quella era figlia della guerra fredda, dell’orgoglio della rinascita, e di alcuni stereotipi della Germania profonda.
Questa di oggi è figlia della società multietnica. E’ la cifra, più spettacolare, del cambiamento della società tedesca, ormai sempre più multicolore (del resto basta girare per Berlino per rendersene conto a colpo d’occhio).
Se si pensa alla storia della Germania, con le sue luci e le pesantissime ombre (ma questo vale, sia chiaro, anche per noi italiani), questo assume una dimensione epocale.
Nella patria della “purezza” ariana, cantata da Wagner, fino all’incubo infernale del nazismo, senza dimenticare l’antisemitismo di alcuni filosofi del romanticismo tedesco, fa impressione che si veda crollare, grazie ad un pallone, il mito della razza.
Certo il cambiamento calcistico è frutto anche di una politica di integrazione. Oggi chi nasce in Germania se almeno uno dei due genitori risiede nel paese da più di otto anni è da subito cittadino tedesco.
Per cui non vi è da sorprendersi se nella Germania di Loew scorre sangue polacco, spagnolo, bosniaco, tunisino, ghanese, brasiliano, nigeriano e turco (come la stella Ozil, che ora tutti i club europei vogliono). Risultato: fantasia e grinta.
E’ una gran bella lezione per tutti. Si spera che “anche le curve più becere – come ha scritto Gad Lerner – dei nostri stadi dovranno smetterla di gridare “non ci sono negri italiani”, e la bellezza del calcio le porterà ad abbracciare la generazione Balotelli. E’ un delizioso sberleffo della storia quello che si sta consumando nell’ultima patria dell’apartheid”.