Quale Italia dopo i referendum? Intervista a Giuseppe De Rita

La straordinaria partecipazione al Referendum di domenica scorsa, con i suoi risultati importanti, sta facendo interrogare la politica italiana, ed anche molti osservatori (giornalisti, politologi e sociologi). Su questo abbiamo intervistato Giuseppe De Rita, presidente del Censis.

Presidente De Rita, la straordinaria partecipazione popolare al Referendum ci consegna un nuovo volto dell’Italia. Qual è, secondo lei, questo volto?

Ma io sono sempre ostile, addirittura contrario, ad idealizzare il nuovo. Il nuovo volto, la nuova Italia, è un’ Italia normale, che ha sempre avuto nei confronti del referendum meccanismi altalenanti: negli ultimi quindici anni non lo ha mai frequentato, poi l’ha frequentato per molti anni e poi ora ha ripreso. Non c’è una nuova Italia, c’è un’Italia un po’ distaccata dalle cose, che, ad un certo punto, coglie l’occasione per dare un segnale di se stessa. Continua a leggere

Spoon River di Arcore…

Forse, il “forse” è d’obbligo, le recenti elezioni amministrative sono l’inizio della fine di un’epoca : quella berlusconiana.

E qualche osservatore cerca d’immaginare come sarà il “dopo” Berlusconi.

In questo tramonto interminabile qualcuno, tra i più bravi giornalisti italiani, prova così ad esercitare la sua fantasia per immaginare come sarà la fine.

E’ il caso di Marco Damilano, inviato politico per il settimanale L’Espresso, con questo libro, pubblicato da Aliberti, dal titolo: Spoon River di Arcore. Antologia di un impero al crepuscolo (pag. 189, € 15,00). Continua a leggere

Il dramma della Fincantieri. Intervista ad Alberto Monticco.

Sono giorni di grande tensione per gli operai della Fincantieri. “La forza della rivolta al sud è stata accompagnata da una violenza che è il simbolo di una rabbia che c’è nel cuore della gente e che non è più contenibile, Quanto sta avvenendo è come la mano di Dio che ci avverte: prepariamoci alla collera dei poveri”. Così monsignor Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro e arcivescovo di Campobasso, commenta con parole forti, riprendendo le parole di Paolo VI, la vicenda Fincantieri e la protesta degli operai. La CEI ha voluto così testimoniare la “grande preoccupazione” dei vescovi per quanto sta avvenendo sul piano sociale e il loro “rammarico per la decisione” dei vertici di Fincantieri “‘di licenziare un numero così alto di lavoratori”( sono 2551, secondo il piano dell’azienda). Una preoccupazione condivisa da tutta la società italiana. Della vicenda parliamo con Alberto Monticco, Segretario Nazionale della Fim-Cisl. Triestino, 46 anni, è stato anche lui un tecnico di Fincantieri. Segue per la sua organizzazione tutta la delicatissima partita della cantieristica. Continua a leggere

Leggendo Gaber…

Sono passati più di otto anni dalla sua morte, avvenuta il 1 gennaio del 2003 a Camaiore (in provincia di Lucca), e bene ha fatto il bravo giornalista Guido Harari a curare questa antologia del suo pensiero, pubblicata da Chiarelettere, Quando parla Gaber (pagg. 147, € 12,00) . Lo stesso autore ha pubblicato, sempre per la stessa casa Editrice, anche “l’autobiografia” del grande cantautore milanese dal titolo assai raffinato: Gaber.L’illogica Utopia.

Ora, con questo volume, continua la sua esplorazione dell’“universo” gaberiano. Lo fa prendendo in analisi il periodo intensissimo, in parallelo al suo “Teatro Canzone” fatto insieme al suo grande amico Sergio Luporini, che va dal 1970 al 2002. Sono un periodo “infinito” per la storia sociale, politica e morale dell’Italia. Trentadue anni in cui il nostro Paese ha vissuto, in maniera drammatica, le stagioni dell’impegno, delle grandi lotti sociali, del decadimento delle “utopie”, del riflusso e infine dell’individualismo radicale di stampo berlusconiano.

Queste stagioni Gaber le ha attraversate senza ipocrisie, cercando con i suoi paradossi, le sue canzoni di proporre un “nuovo umanesimo” alla società italiana. E questo ha fatto sì che in lui si rispecchiasse quella fetta, importante, dell’Italia inquieta che non voleva, e non vuole, rassegnarsi ad un futuro fatto di mediocrità consumista.

Il curatore, nella sua prefazione, scrive che questo libro “va usato come una specie di ‘breviario irreligioso’, per ritrovare sani dubbi e abbandonare false certezze, per uscire dall’anestesia da cui l’Italia pare non voler destarsi”. Si è così questo è un “breviario” (perché poi definirlo irreligioso?) , da “ruminare” nei momenti della quotidianità in cui siamo in preda alla noia.

“Perché odiate per frustrazione e non per scelta? Perché spargete così male la rabbia che vi consuma? Perché vi rassegnate a questa vita mediocre, senza l’ombra di un desiderio, di uno slancio, di una proposta qualsiasi?”. Ecco quello di Gaber non è sterile “contemplazione” dell’esistente ma un lucido richiamo all’azione senza dogmatismi, certo, ma sempre proiettato verso il futuro: “Sono uno che ci crede ancora. Non so bene in cosa, ma credo. E sono malato di conoscenza, di voglia di cambiare le cose.

Di credere che sia possibile vivere in modo non imbecille. E non è detto che gli anni della speranza non ritornino”. Gaber, quindi, è contro la dittatura della stupidità sapendo perfettamente che “adesso è forse più difficile sembrare controcorrente, ma solo perché oggi non c’è nessuna corrente”.

Eppure la sua “santa” anarchia si scagliava contro il nichilismo consumistico, senza sconti : “Per molti aspetti sono gli oggetti che sono saliti al potere e questa ascesa ci trasforma in ‘barbari’”.

Anche sugli italiani ha una sua idea:” “Secondo me, gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. La colpa non è certo degli italiani ma dell’Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato, a volte, addirittura assassini.

Eppure, gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo Paese accettabile, vivibile, addirittura allegro. Complimenti!”. Insomma come si vede Gaber graffia ancora. I suoi interrogativi e il suo pensiero fotografano l’Italia di ieri e anticipano quella vuota di oggi del berlusconismo (“Io non ho paura di Berlusconi in sè, ho paura di Berlusconi in me”) . Sapendo “che c’è una fine per tutto. E non è detto che sia sempre la morte”.

C’è speranza per l’Italia? Intervista a Romano Prodi

Romano Prodi sta andando a Shangai dove, periodicamente, tiene corsi di Economia Industriale in quella Università. Lo prendiamo mentre si sta imbarcando per la Cina. Sono rapide ma puntuali considerazioni sull’Italia e sull’Europa.

Presidente Prodi, L’arresto, per stupro, di Dominique Straus-Kahn getta il Fmi in una grave crisi. Quali saranno le conseguenze per l’Europa nel breve periodo?

Naturalmente è chiaro che ogni giudizio va sospeso fino a che non abbiamo tutti gli aspetti chiari della vicenda. Gli osservatori di tutti i paesi pensano che la vita politica sia finita, e se questo è, certamente si è perduto un uomo politico di una straordinaria intelligenza. Straus-Kahn conosceva e conosce le cose ed è una vera mancanza per il Fmi e per l’Europa però nulla si può dire, perché troppo recenti sono gli avvenimenti che sono accaduti.

Professore, la scorsa settimana l’Ufficio Centrale di Statistica della Germania ha reso noto che quest’anno il Pil tedesco crescerà del 4,9%. Un dato impressionante, visto che la crisi mondiale è ancora in atto. In Italia, ad essere ottimisti, forse riusciremo ad arrivare ad una crescita dell’1 %. Qual’ è il “segreto” del successo tedesco?

Se uno va ad analizzare dove si concentra il grande sviluppo tedesco vede che è la manifatturiera; vede che sono prodotti di alto livello d’impresa, di alta gamma, di alta raffinatezza, prodotti in cui è stato applicato un fortissimo aumento di produttività negli ultimi anni. In poche parole la Germania lavora sul futuro e riorganizza il suo passato, cambiando le strutture e i modi di lavoro, non con una mobilità selvaggia, ma una mobilità che, soprattutto all’interno dell’impresa, si realizza attraverso una ristrutturazione del lavoratore stesso, attraverso corsi di formazione,attraverso una riorganizzazione dei modi di operare, cioè guardando avanti. Si utilizzano le risorse esistenti, quelle del passato ma le si portano verso il futuro. Questo è il segreto della Germania: ricerca, innovazione, scuola, mobilità, con garanzie per il lavoratore.

Lei, per ragioni di lavoro, viaggia spessissimo (dagli Usa alla Cina). Che immagine hanno dell’Italia i suoi interlocutori?

L’Italia è sempre meno interlocutore, è un’Italia che è ripiegata al suo interno, un paese che non è stato protagonista nemmeno nelle vicende del Mediterraneo degli ultimi mesi: è difficile che possa essere interlocutore con l’Asia. Il problema del nostro provincialismo è uno dei pesi del nostro futuro. l’Italia ha un avvenire solo aprendosi al mondo con coraggio, senza avere paura: quando l’Italia si guarda all’ombelico è finita.

Parliamo del PD.  È pronto per l’alternativa?

Il PD è l’unica alternativa, nel senso che solo il PD può prendere l’iniziativa di riorganizzare in modo vincente le forze dell’opposizione.

L’Europa in questo periodo non ha dato una bella immagine di sé (dall’immigrazione alla politica estera). E’ ancora valido il sogno europeo?

L’Europa è l’unica nostra speranza: nel mondo globalizzato non abbiamo alternative, andando separati siamo finiti, come successe agli stati italiani nel rinascimento, separati perdiamo il nostro primato. Però debbo dire che non vedo leader europei che abbiano nella loro testa come problema principale  di agire come europei e non come leader nazionali.

Allora c’è speranza per l’Italia?

C’è sempre speranza per i Paesi: le persone muoiono, i Paesi no. Il problema è che c’è speranza solo se si capisce che bisogna lavorare insieme per fare un salto in avanti, cioè, di fronte ad una gestione politica che guarda agli interessi propri e non a quelli del paese, di speranze ce ne sono poche se non si cambia ritmo, direzione.