“IL PIANETA CHE SPERIAMO” . INTERVISTA A ROCCO D’AMBROSIO

 

A Taranto la prossima settimana si svolgerà la 49° settimana sociale dei cattolici italiani. Sull’importante avvenimento abbiamo intervistato don Rocco D’Ambrosio, professore ordinario di filosofia della politica dell’università gregoriana di Roma. Con lui approfondiamo il significato storico e politico che le settimane sociali hanno avuto per i cattolici italiani.

Don Rocco, tra pochi giorni si svolgerà a Taranto un evento importante per la Chiesa italiana : la 49 esima Settimana Sociale dei cattolici italiani. Il tema scelto è quello ambientale : “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. Sul tema torneremo più avanti. Partirei dal dato storico : le Settimane Sociali sono nate nel 1907 (la prima si proprio in quell’anno nella città di Pistoia). Siamo ancora nel periodo del non expedit, i cattolici erano fuori dalla vita politica, e lo scopo era, per usare una terminologia di quel tempo, il “vero Messaggio sociale cristiano”. Sappiamo che con alti e bassi le Settimane hanno segnato la storia del movimento cattolico italiano. Hanno preparato, dato impulso alla azione dei cattolici nella società e nella politica. Le chiedo cosa hanno significato per la Chiesa e il laicato cattolico? 

Quella delle Settimane Sociali è una grande tradizione che va sempre rinvigorita, visti anche i tanti frutti che ha portato, anche nei momenti difficili. Per quel poco che conosco della loro storia direi che i momenti di prova e i momenti di maturità laicale sono state le condizioni per frutti duratori nella Chiesa e nella società italiana. Certo, come ogni incontro di pastori e fedeli laici su temi di attualità c’è sempre la tentazione di essere didascalici e ripetitivi rispetto al magistero, specie papale. Ma è proprio papa Francesco che sprona tutti, pastori e fedeli laici, ad avere coraggio, ad osare di fare reali passi avanti nella riflessione teorica e nel porre gesti concreti. In questo la Chiesa italiana ha fortemente bisogno di uno scossone, che ci auguro venga da questa settimana e dal cammino sinodale appena iniziato.
Abbiamo ricordato, all’inizio, le origini lontane. Appunto era il tempo del non expedit. Inizia allora la marcia di emancipazione dei cattolici (anche grazie al l’impulso della Rerum Novarum) nella vita sociale. Toniolo era uno degli ispiratori. Ma oggi hanno ancora senso? A quali condizioni possono essere uno strumento fecondo? 

Di figure come Toniolo sono sempre stato colpito dal fatto che sono stati generatori di pensiero e di azione, attingendo a un sano e proficuo rapporto pastori-laicato. Non si ricorda laico formato e maturo, nella storia del cattolicesimo italiano, che non abbia avuto, alle sue spalle, un altrettanto pastore, sia prete che vescovo, di uguale o superiore maturità umana e spirituale. In molti casi un autentico profeta. Si pensi ai fulgidi esempi di laici come di Toniolo e tanti altri, in ogni angolo de nostro Paese. Molti politici, professionisti, responsabili di istituzioni, imprenditori, magistrati, giornalisti hanno ricevuto dai loro pastori non solo una solida formazione cristiana, ma anche i mezzi, o almeno lo sprono, ad acquisire la competenza necessaria per operare nel mondo. Molto spesso questa tradizione si è interrotta, in modo particolare quando le nostre comunità si sono chiuse in se stesse e/o hanno scommesso poco sulla formazione, “diluendo” spesso i contenuti di omelie, incontri, catechesi e dialoghi educativi. E’ forse il concetto stesso di discepolato che è entrato in crisi: forse i formatori, per primi, si sentono poco discepoli del Cristo e, di conseguenza, non riescono ad educare veri discepoli. Dall’altra parte spesso ci sono diversi discepoli che non riescono trovare buoni maestri, autentici profeti che li aiutino nel loro cammino di discepolato.
Veniamo alla 49esima Settimana Sociale. Perché Taranto? 
Aristotele – Taranto era Magna Grecia! – descriveva la città (polis) migliore per numero di abitanti (pochissime migliaia), clima, carattere dei cittadini, qualità morali in educazione, leggi fondamentali ed amministrazione quotidiana. Ora le città sono ben lontane dall’ideale aristotelico, le piccole come le grandi. Taranto è… come tutte le città italiane. Credo che la scelta voglia ribadire questa idea fondamentale: ciò che è oggi Taranto è specchio di quello che è l’Italia. A Taranto, come altrove, c’è una storia fatta di bellezza umana e relazionale, culturale e ambientale, una storia di bene e responsabilità. Purtroppo c’è anche una storia di corruzione, omertà, latrocini, danni alla salute e all’ambiente, mancata tutela del lavoro e così via. Il riflettere, il sapersi raccontare e mettere in discussione, il ricercare soluzioni, il legare teoria e pratica, l’interrogarsi su atteggiamenti antropologici ed etici sono oggi indispensabili per ricostruire Taranto, come anche l’Italia.
Veniamo al contenuto. Il tema è affascinante: “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro”. La settimana si svolge sulla scia del magistero di Papa Francesco (in particolare la Laudato Si, Querida Amazonia e Fratelli Tutti). Come viene declinato il tema? Quali punti fermi?

Un bel ultimo libretto di Leonardo Boff (Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale?) contiene una risposta alla sua domanda, che condivido e rilancio. La casa è comune – come insegna papa Francesco – quindi anche l’impegno per la salvaguardarla è comune: chiede a uomini e donne di ogni cultura, religione e territorio di creare sinergie continue perché questo mondo non perisca tra disastri ambientali e uso scellerato. Tuttavia gli appelli continui, se si osserva bene, rimandano a ciò che Boff dice chiaramente: “Sfortunatamente, c’è un deficit di cultura ecologica e di coscienza della gravità della situazione globale sia tra coloro che prendono decisioni, sia a livello collettivo”. Il deficit di cultura ecologica è una costante determinante; non si può ridurre il tutto all’invito a rispettare gli ambienti e praticare la raccolta differenziata! Mi auguro che questa settimana tracci linee di pensiero e di azione efficaci ed efficienti per tutte le realtà ecclesiali italiane.
Abbiamo detto all’inizio che le Settimane hanno preparato l’azione dei cattolici italiani. Ora in questo momento bisogna preparare il mondo post-covid. Un mondo in cui, come dice Papa Francesco “tutto è connesso”. Si avrà il coraggio della denuncia facendo nomi e cognomi delle “strutture di peccato” nel nostro Paese che contrastano con il messaggio che sta alla base di fondo del magistero sociale? Voglio dire la profezia è cosa seria… 

La profezia è sempre una cosa seria! Non ci sono dubbi sul fatto che la nostra fede cristiana, a partire dalla sua radice ebraica, sia sostanzialmente profetica. La profezia è modo con cui il buon Dio rivela il Suo volere. La Scrittura contiene riferimenti precisi sul fatto che Dio non farà mai mancare i suoi profeti(cfr. Gl 3, Am 2, 11-16)Eppure oggi ne lamentiamo la scarsezza. Se Dio non viene mai meno alle sue promesse, come noi crediamo, allora, ad essere onesti, dovremmo piuttosto dire che non mancano i profeti, manca, invece, l’attenzione e l’accoglienza di essi. Da Mosè ai nostri giorni, i profeti, non sono mai mancati. E non mancheranno mai, fino al ritorno di nostro Signore. C’è solo poca accoglienza e, spesso, ostilità e rifiuto nei loro confronti, si pensi all’opposizione forte, da parte di alcuni ambienti cattolici, al magistero di papa Francesco. Oltre al papa, ci sono nel mondo esperienze profetiche, sia di singoli che di piccoli gruppi, che costituiscono una vera e propria eccezione. Per cui, ad essere precisi, la scarsezza di profezia riguarda, più che altro, quei contesti cattolici italiani, che non riescono ad essere contagiati dalla profezia, tanto da poter essere riconosciuti come figlie e figli di quei profeti che hanno servito il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe con tutto se stessi o che hanno annunciato il Cristo con letizia e coerenza, fino al dono della vita.

 

La grande esca: il capitalismo verde . Un testo di Leonardo Boff

 

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, questo intenso testo del teologo brasiliano Leonardo Boff.

Leonardo Boff (LaPresse)

I grandi mega capitalisti stanno riunendo centinaia di economisti e scienziati politici per preparare il mondo al post-pandemia. Sono già usciti vari documenti. Il principale forse è quello pubblicato dal conservatore The Economist (principali azionisti le famiglie Rothschild e Agnelli), con il titolo: “Il futuro che ci aspetta”. Se leggiamo i 20 punti elencati, rimaniamo scioccati: presentano un progetto in cui entrano solo loro, lasciando fuori il resto dell’umanità, sia ogni individuo sia l’intera società, che sarà controllata dall’intelligenza artificiale la cui funzione è quella di disarmare e liquidare qualsiasi reazione contraria. L’espressione introdotta dal principe Carlo (un parassita) nell’ultimo incontro a Davos è questa: “la grande ripartenza” (the Great Reset). Logicamente si tratta della nuova ripresa del sistema capitalista che protegge le fortune di un pugno di miliardari. Il resto sia dannato.

Come afferma la scrittrice britannica Helga Zepp-La Rouche (cfr. Alainet 29/9/21): “In definitiva, si tratta di un’espressione altezzosa, petulante e razzista dell’élite globale, la stessa che, per mantenere i propri privilegi, affama ogni giorno 20mila persone, decreta una guerra di sterminio e può distruggere irresponsabilmente il pianeta”. Guarda in che mani è il nostro destino.

Predicano il capitalismo verde, un mero occultamento della sua depredazione della natura. Il capitalismo verde di queste mega-corporazioni, che controllano gran parte della ricchezza mondiale, non rappresenta alcuna soluzione. L’ecologia per loro significa piantare alberi nei giardini aziendali, richiamare l’attenzione sull’uso di meno plastica e su inquinare meno l’aria. Non mettono mai in discussione il loro modo di produzione, predatore della natura, vera causa dello sconvolgimento climatico della Terra e dell’intrusione del Covid-19 e, soprattutto, dell’abissale disuguaglianza sociale e mondiale.

Un altro nutrito gruppo di mega-corporazioni ha emesso un documento sulla “responsabilità sociale d’impresa”. Robert Reich, ex segretario al lavoro del governo degli Stati Uniti, ha smascherato questo fuorviante proposito: “si occupano di fare più soldi possibile e non di risolvere i problemi sociali; cercano solo il benessere di tutti i loro azionisti” (cfr Carta Maior 30/9/21).

In altre parole: il disegno delle grandi società banche, delle multinazionali e della società planetaria pensata dall’élite globale si configura secondo le loro convenienze, mai per salvaguardare la vita sulla Terra, per includere i poveri, ma per garantire le loro fortune e il devastante modo di produzione che le produce. I poveri, la stragrande maggioranza dell’umanità, sono totalmente fuori dai loro radar. Saranno contenuti dall’intelligenza artificiale che impedirà loro di alzare la testa.

Se questi propositi andranno a buon fine, si apre la strada che porterà al disastro planetario, come ha avvertito Papa Francesco nelle due encicliche ecologiche: «o si cambia rotta e si salvano tutti o, altrimenti, non si salva nessuno».

Coloro che detengono la decisione di quali direzioni per l’umanità, non hanno imparato nulla dal Covid-19 e dalle crescenti crisi climatiche. Confermano quanto diceva il grande teorico italiano di un marxismo umanista, Antonio Gramsci: “La storia insegna, ma non ha studenti”. Questi non hanno frequentato la storia. Solo (dis)imparano dalla ragione strumentale-analitica divenuta oggigiorno irrazionale e suicida.

Ubriacati dalla loro ignoranza e avidità illimitata (greed is good), verremo condotti come agnelli innocenti verso il macello. Non per volontà del Creatore o per una deviazione dal processo cosmogonico, ma per la loro irresponsabilità e mancanza di consapevolezza degli errori commessi che non vogliono correggere. E così, in modo esilarante e mentre ci godremo ancora la vita, ci obbligheranno – forse – a subire il destino vissuto 65 milioni di anni fa dai dinosauri.

Leonardo Boff è eco-teologo e membro dell’International Earth Charter Initiative e ha scritto recentemente i libri: O Covid-19: a Mãe Terra contra-ataca a humanidade, Vozes, Petrópolis 2020 e Habitar a Terra: vias para a fraternidade universal, in fase di uscita per l’editrice Vozes e già pubblicato in italiano da Castelvecchi, Roma 2021 con il titolo “Abitare la Terra. Quale via per la fraternità universale?”.

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

Dal sito: https://leonardoboff.org/2021/10/11/o-grande-engodo-o-capitalismo-verde/

“Tutto è collegato, nel mondo tutto è intimamente connesso”: la scienza e le fedi, l’uomo e il creato”. Un testo di Papa Francesco

Pubblichiamo il testo integrale del discorso di Papa Francesco, consegnato questa mattina in Vaticano, nell’ Aula della Benedizione, ai partecipanti all’ incontro  “FEDE E SCIENZA VERSO COP26” (qui la notizia)

 DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Capi e Rappresentanti religiosi,

Eccellenze,
cari fratelli e sorelle!

Grazie a tutti per esservi qui radunati, mettendo in luce il desiderio di un dialogo approfondito tra di noi e con gli esperti di scienza. Mi permetto di offrire tre concetti per riflettere su questa collaborazione: lo sguardo dell’interdipendenza e della condivisione, il motore dell’amore e la vocazione al rispetto.

Voi avete la trascrizione di questo che io devo dire adesso e per non usare del tempo che è necessario perché tutti parlino, lascio nelle vostre le mani le trascrizioni, voi potete leggerle, e così andiamo avanti in questa celebrazione. Grazie.

  1. Tutto è collegato, nel mondo tutto è intimamente connesso. Non solo la scienza, ma anche le nostre fedi e le nostre tradizioni spirituali mettono in luce questa connessione esistente tra tutti noi e con il resto del creato. Riconosciamo i segni dell’armonia divina presente nel mondo naturale: nessuna creatura basta a sé stessa; ognuna esiste solo in dipendenza dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio l’una dell’altra. [1] Potremmo quasi dire l’una donata dal Creatore alle altre, perché nella relazione di amore e di rispetto possano crescere e realizzarsi in pienezza. Piante, acque, esseri animati sono guidati da una legge impressa da Dio in essi per il bene di tutto il creato.

Riconoscere che il mondo è interconnesso significa non solo comprendere le conseguenze dannose delle nostre azioni, ma anche individuare comportamenti e soluzioni che devono essere adottati con sguardo aperto all’interdipendenza e alla condivisione. Non si può agire da soli, è fondamentale l’impegno di ciascuno per la cura degli altri e dell’ambiente, impegno che porti al cambio di rotta così urgente e che va alimentato anche dalla propria fede e spiritualità. Per i cristiani, lo sguardo dell’interdipendenza sgorga dal mistero stesso del Dio Trino: «La persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione». [2]

L’incontro di oggi, che unisce tante culture e spiritualità in uno spirito di fraternità, non fa che rafforzare la consapevolezza che siamo membri di un’unica famiglia umana: abbiamo ciascuno la propria fede e tradizione spirituale, ma non ci sono frontiere e barriere culturali, politiche o sociali che permettano di isolarci. Per dare luce a questo sguardo vogliamo impegnarci per un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità.

  1. Questo impegno va sollecitato continuamente dal motore dell’amore:«Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro». [3]Tuttavia, la forza propulsiva dell’amore non viene “messa in moto” una volta per sempre, ma va ravvivata giorno per giorno; questo è uno dei grandi contributi che le nostre fedi e tradizioni spirituali possono offrire nel facilitare questo cambio di rotta di cui abbiamo tanto bisogno.

L’amore è specchio di una vita spirituale vissuta intensamente. Un amore che si estende a tutti, oltre le frontiere culturali, politiche e sociali; un amore che integra, anche e soprattutto a beneficio degli ultimi, i quali spesso sono coloro che ci insegnano a superare le barriere dell’egoismo e a infrangere le pareti dell’io.

È questa una sfida che si pone di fronte alla necessità di contrastare quella cultura dello scarto, che sembra prevalere nella nostra società e che si sedimenta su quelli che il nostro Appello congiunto chiama i “semi dei conflitti: avidità, indifferenza, ignoranza, paura, ingiustizia, insicurezza e violenza”. Sono questi stessi semi di conflitto che provocano le gravi ferite che infliggiamo all’ambiente come i cambiamenti climatici, la desertificazione, l’inquinamento, la perdita di biodiversità, portando alla rottura di «quell’ alleanza tra essere umano e ambiente che dev’essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino». [4]

Tale sfida a favore di una cultura della cura della nostra casa comune e anche di noi stessi ha il sapore della speranza, poiché non c’è dubbio che l’umanità non ha mai avuto tanti mezzi per raggiungere tale obiettivo quanti ne ha oggi. Questa stessa sfida si può affrontare su vari piani; in particolare ne vorrei sottolinearne due: quello dell’esempio e dell’azione, e quello dell’educazione. In entrambi i piani, noi, ispirati dalle nostre fedi e tradizioni spirituali, possiamo offrire importanti contributi. Sono tante le possibilità che emergono, come d’altronde mette in evidenza l’Appello congiunto, in cui si illustrano anche vari percorsi educativi e formativi che possiamo sviluppare a favore della cura della nostra casa comune.

  1. Questa cura è anche una vocazione al rispetto: rispetto del creato, rispetto del prossimo, rispetto di sé stessi e rispetto nei confronti del Creatore. Ma anche rispetto reciproco tra fede e scienza, per «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità». [5]

Un rispetto che non è mero riconoscimento astratto e passivo dell’altro, ma vissuto in maniera empatica e attiva nel voler conoscere l’altro ed entrare in dialogo con lui per camminare insieme in questo viaggio comune, sapendo bene che, come ancora indicato nell’Appello, «ciò che possiamo ottenere dipende non solo dalle opportunità e dalle risorse, ma anche dalla speranza, dal coraggio e dalla buona volontà».

Lo sguardo dell’interdipendenza e della condivisione, il motore dell’amore e la vocazione al rispetto. Ecco tre chiavi di lettura che mi sembrano illuminare il nostro lavoro per la cura della casa comune. La COP26 di Glasgow è chiamata con urgenza a offrire risposte efficaci alla crisi ecologica senza precedenti e alla crisi di valori in cui viviamo, e così a offrire concreta speranza alle generazioni future: desideriamo accompagnarla con il nostro impegno e con la nostra vicinanza spirituale.

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[1] Cfr Cfr Lett. Enc. Laudato si’, 86.

[2] Ibid., 240.

[3] Lett. Enc. Fratelli tutti, 88.

[4] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 50.

[5] Lett. Enc. Laudato si’, 201.

 

Dal sito: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/october/documents/20211004-religione-scienza-cop26.html

Francesco di Roma e Francesco d’Assisi: la fraternità universale secondo Leonardo Boff. Un testo di Andrea Grillo

Pubblichiamo, per gentile concessione, questa bella recensione del libro di Leonardo Boff , uscito recentemente per Castelvecchi,   “Abitare  la terra. Quale via per la fraternità universale?”. Andrea Grillo è docente di teologia al Pontificio Ateneo S.Anselmo di Roma.

 Un gustoso libretto, introdotto da una ricca Prefazione di Pierluigi Mele – L. Boff, Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale? Roma, Castelvecchi, 2021, pp.76 – offre una rilettura appassionata del “magistero fraterno” di papa Francesco, in una forte sintonia con la tradizione francescana. E lo fa collocandolo nell’ambito delle reazioni contro la crisi ecologica e culturale, economica e politica, che sta minacciando la vita umana e il sistema complessivo di esistenza del nostro pianeta.

Di fronte alle gravi minacce che vengono elencate nelle prime pagine del volume, le grandi reazioni “pubbliche” sono state soprattutto tre: la Carta della Terra (2003) e poi le due encicliche Laudato sì (2016) e Fratelli tutti (2020) di papa Francesco. Di fronte a questo allarme, che gli ultimi venti anni hanno potentemente sollevato alla attenzione comune, la reazione è stata spesso quella che Boff trova bene rappresentata da un apologo di Kierkegaard, ripreso da J. Ratzinger all’inizio del suo libro forse più famoso, Introduzione al cristianesimo: le grida di allarme vengono spesso interpretate come il trucco di un clown, come uno scherzo, e così il circo brucia! La radice di questa indifferenza, simile a quella dei tempi di Noé, è il capitalismo liberista e neo-liberista: la aggressione alla natura e all’uomo, in nome di una libertà-dominio, determina progressivamente una ingiustizia ecologica e una ingiustizia sociale che arriva a giustificare l’assassinio. In tal modo “la razionalità analitico strumentale si è rivelata assolutamente irrazionale” e votata alla autodistruzione.

Al cospetto di questa situazione, l’enciclica Fratelli tutti propone una rilettura della tradizione fondata sul concetto di “fraternità”, come condizione per incidere davvero sulla questione ecologica. Si tratta, in sostanza, di passare, nella comprensione dell’uomo, dalla figura del dominus alla figura del frater. Questo è il sogno e il progetto di Fratelli tutti, come proposta di un “nuovo paradigma per la società mondiale”. Per arrivare a questo nuovo paradigma, occorre anzitutto mettere in questione il modello attuale di sviluppo, basato su quattro pilastri assai fragili, ossia quelli del mercato, del neoliberismo, dell’individualismo e della devastazione della natura: il profilo economico, politico, culturale ed ecologico sono strettamente connessi e devono essere discussi in modo unitario.

Come si risponde a questa deriva, che anche la pandemia globale rischia solo di accentuare, con una concentrazione ancora più forte di tutto il potere effettivo nelle mani di pochissimi? La risposta viene da ciò che di più tipico c’è nell’uomo e nella donna: l’amore, un amore liberato dalla sua dimensione solo individuale, e che si fa amicizia, fraternità, istituzione di cura, principio di assistenza, cooperazione. Si tratta di “generalizzare e universalizzare ciò che era soggettivo e individuale”: questa è la novità proposta da papa Francesco. Qui L. Boff trova la radice di un “nuovo paradigma”, quello del frater, per illustrare il quale procede ad un confronto con il modello classico, quello del dominus.

Il modello dell’uomo-dominus appare autocentrato e indifferente agli altri e all’ambiente. Al di là delle radici a cui attinge – che secondo Boff vanno sorprendentemente da Descartes alla Scuola di Francoforte – può essere rappresentato da un “pugno chiuso che sottomette”, mentre il modello dell’ uomo-frater si lascia intendere come una “mano che accarezza e che si intreccia con le altre”. Va detto, tuttavia, che il primo modello ha strutturato moltissime esperienze politiche e sociali, non solo in Europa, mentre il secondo resta in larga parte una utopia, un sogno, con poche realizzazioni confinate o in regioni isolate del mondo o in forme limitate di esperienza religiosa.

Che fare, allora? Con una serie di virtù – tenerezza, gentilezza, solidarietà – che hanno nella parabola del Buon Samaritano la loro figura narrativa, si tratta di “partire dal basso”. Dimensione locale, regionale, nazionale e mondiale si susseguono in questo ordine. Ma la ispirazione di questo “nuovo paradigma”, che esige forme concrete assai innovative, riposa comunque sul contributo che le grandi religiosi potranno dare a questa rivoluzione. Universalità di Dio e particolarità degli ultimi sono l’orizzonte di senso primario della fratellanza, che solo può sorreggere questo impegno. Francesco papa, ispirato da Francesco poverello, ci indica la strada e ci dà speranza.

Per comprendere questo testo intenso di L. Boff, come interprete di papa Francesco, occorre rammentare che l’uno, come l’altro, sono figli dell’america latina. Dove la storia moderna inizia, in qualche modo, con una “shoah anticipata”. Il terribile dato che si legge a p. 47 – in 70 anni la popolazione del Messico, all’inizio della conquista, passò da 20 milioni a 1,7 milioni! – fa comprendere come il “sogni di fraternità” venga dal primo papa americano. Ma questo conferma anche la tendenza intrinseca, nell’uomo, alla “volontà di potenza”, che annulla l’amore. Un discorso “ecologico” e un discorso “antropologico” sono così strettamente legati.

Per frenare in un modo efficace questa inclinazione distruttiva e autodistruttiva, Boff indica la via offerta da Francesco di Assisi: “umiltà radicale e pura semplicità” (52). L’ultima parte del testo è una meditazione accorata, segnata anche da una componente autobiografica, in cui l’autore medita a lungo sulle svolte nella vita di Francesco di Assisi, per comprendere a fondo come la possibilità di una “fraternità universale” passi per una conversione dello sguardo dell’uomo, per una singolare sintonia con tutto il creato. Già in lui la tensione tra carisma e potere non tardò ad emergere. Francesco accettò questa come una necessità. Ma gli sviluppi della sua esperienza furono in larga parte di carattere personale, non sociale. La condizione per un tale sviluppo – che sarebbe appunto il nuovo paradigma di Fratelli tutti – è “ che ogni persona si metta in una posizione di umiltà, di prossimità con l’altro e la natura, superando le disuguaglianze e vedendo in ciascuno un fratello e una sorella con i quali condividiamo lo stesso humus, la terra delle nostre comuni origini” (58).

Occorre allora “scommettere sulla fraternità”. Questo si può fare solo a certe condizioni, ossia riconoscendo che:

  1. a) la “condizione umana” è di essere in equilibrio tra sapiens e demens, tra ordine e caos.
  2. b) la rinuncia al potere-dominio è il solo spazio per l’incontro fraterno
  3. c) occorre amare il prossimo non solo “come”, ma “più” di se stessi.

La sintesi che Francesco di Assisi ha offerto come un grande profeta nel cuore del Medioevo diventa oggi di una nuova ed esigente attualità, soprattutto dopo la crisi pandemica, che ha mostrato in modo nuovo e sorprendente la correlazione radicale in cui vivono tutti gli uomini e le donne anche oggi: di fronte ad essa la parola del Francesco medievale e quella del Francesco contemporaneo risuonano non anzitutto come proposta ascetica, ma come ispirazione ad un nuovo ordine mondiale, che ha condizioni istituzionali e personali. Questo è il sogno che Boff presenta nel suo “picciol libro”, ad un tempo libro spirituale e libro politico, che non solo da Pierluigi Mele è introdotto con accurata dedizione, ma a Pierluigi Mele è anche dedicato con fraterna amicizia.

Dal sito: http://www.cittadellaeditrice.com/munera/francesco-di-roma-e-francesco-dassisi-la-fraternita-universale-secondo-leonardo-boff/

Con droni armati e missili Cruise l’Italia cambia faccia. Intervista a Maurizio Simoncelli

Missili Cruise (LaPresse)

Missili Cruise – immagine d’archivio (LaPresse)

In questi ultimi giorni sono uscite due notizie, nell’ambito delle dotazioni dei sistemi d’arma delle nostre Forze Armate, che faranno cambiare il profilo militare dell’Italia. Ci riferiamo ai droni armati e ai missili Cruise. Dotazioni che pongono problemi di ordine tattico-strategico e di controllo politico assai rilevanti. Cerchiamo di approfondire, in questa intervista con Maurizio Simoncelli, alcuni di questi nodi.


Maurizio Simoncelli è Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.
Storico ed esperto di geopolitica, oltre ad aver realizzato numerose ricerche sull’industria militare, sulle forze armate italiane e sulla geopolitica dei conflitti, ha collaborato come docente in diversi master universitari e corsi d’istruzione superiore. E’ membro del CISRSM – Centro interuniversitario di studi e ricerche storico–militari e coordina l’attività documentaria del sito www.archiviodisarmo.it.

 

SIMONCELLI, l’uso dei droni armati, in recenti scenari di guerra, ha fatto sempre discutere l’opinione pubblica per molteplici ragioni che approfondiremo tra poco. Intanto guardiamo all’Italia. Pare, secondo un comunicato della Rete Italiana Pace e Disarmo, che il Ministero della difesa sia intenzionato ad investire su questo sistema d’arma. Su che basi si può affermare questo? 
L’Italia si è già dotata da oltre un quindicennio di 6 droni militari, utilizzati in missioni di intelligence, sorveglianza, ricognizione e acquisizione del bersaglio in diversi contesti, soprattutto in varie missioni all’estero (Iraq, Afghanistan, Libia, Corno d’Africa ecc.). I droni sono in dotazione al 32° Stormo di Amendola (Foggia). Il Documento Programmatico Pluriennale 2021 del Ministero della Difesa prevede un investimento di 168 milioni di euro con una prima tranche finanziata di 59 milioni distribuiti in 7 anni.

Che tipo di drone?
I droni che l’Italia acquistò a suo tempo dagli Stati Uniti sono gli Apr classe Male (Medium Altitude Long Endurance), Mq-1A Predator e Mq-9 Reaper, prodotti dalla General Atomics, e nel Parlamento si parlò allora solo di un utilizzo non armato. Successivamente nel 2011 si è richiesto agli USA l’autorizzazione ad armarli ed ora lo stiamo facendo con la loro approvazione, dato che servivano determinati componenti tecnologici per questo utilizzo aggressivo.
Il Reaper (mietitore), capace di operare per 27 ore da un’altezza di 15 km in ogni condizione di tempo in ambiente diurno o notturno, è lungo 11 metri ed ha un’apertura alare di 20 metri, potendo viaggiare ad una velocità di 450 km all’ora, guidato satellitarmente senza rifornimenti per 2.000 km in missioni di ricognizione e per 1.200 qualora fosse armato di missili. Può portare quattro missili aria-terra Agm Hellfire, nonché due bombe a guida laser GBU-12 Paveway o due bombe a guida Gps CPU 38 Jdam. Il costo unitario si aggira sui 10,5 milioni di dollari.

C’è un progetto di LEONARDO? Come si svilupperebbe il programma? Con quali costi?
In ambito europeo è stata lanciata sin dal 2013 una cooperazione industriale e politica in questo ambito tra Germania, Francia , Italia e Spagna per un drone europeo per sorveglianza e difesa, detto «Male Rpas» o «Eurodrone». Capofila è la Germania con Airbus, poi la Francia con la Dassault e l’Italia con la Leonardo, che ha una quota del 25%. Airbus opera nell’ambito della struttura, mentre Dassault si occupa del sistema e Leonardo dell’equipaggiamento. Oltre alle funzioni di ricognizione e di controllo, sarà anche armato e dotato di doppio motore. Dovrebbe essere capace di operare ognitempo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il programma dovrebbe costare sui 7 miliardi di euro. All’Italia dovrebbero giungere cinque di questi sistemi, ognuno composto da 3 velivoli e 2 stazioni di controllo a terra.

L’utilizzo di questo Sistema d’arma ha cambiato parecchio il volto della guerra. Quali sono le opacità e rischi nel loro utilizzo?
Attraverso l’uso militare dei droni è possibile monitorare il territorio, sorvegliarlo rispetto ad eventuali pericoli ed evitare determinati rischi per le nostre truppe, usufruendo di un vantaggio significativo rispetto ad un eventuale avversario che non ne sia dotato. In tal modo si evita l’esposizione fisica dei soldati e si controlla, anche a notevole distanza, comunque uno spazio critico. Se poi si ha l’utilizzo armati dei droni, si può condurre un attacco senza alcun rischio vitale per le nostre truppe, dato che l’equipaggio che li controlla risiede lontano in una plancia di comando, utilizzando anche informazioni provenienti da altre fonti (satelliti, intelligence ecc.). Si possono condurre azioni di guerra senza intervenire fisicamente con proprie truppe sul territorio interessato, potendo evitare di conseguenza anche di rendere noto all’opinione pubblica e ai mass media l’intervento stesso. Gli Stati Uniti, che da anni li stanno usando massicciamente, sono un esempio di questa opacità anche rispetto alle conseguenze letali. Non si sa ufficialmente il numero esatto né delle missioni né delle vittime, tra le quali non di rado sono coinvolti civili innocenti, dato che i cosiddetti bombardamenti chirurgici non sono innocui per chi ne è estraneo. Nello studio Droni militari: proliferazione o controllo? che abbiamo condotto nel 2017 con l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo avevamo già rilevato da un lato la difficoltà enorme nel determinare il numero esatto di vittime civili e dall’altro la quasi totale assenza d’informazione ufficiale sul loro uso. Per di più a volte vengono usati in situazioni non di guerra per eliminare supposti avversari senza che vi sia stata una condanna a morte da parte di un tribunale regolare, cioè si hanno veri e propri omicidi extragiudiziali, estremamente discutibili dal punto di vista del diritto.

Dal punto di vista strategico per l’Italia cosa significherebbe questo Sistema d’arma? È necessario?
L’uso di questi sistemi d’arma presuppone l’intervento armato a grande distanza nell’ambito di una proiezione di forza su scenari sempre più ampi, coerentemente con l’assetto che da anni le nostre FF.AA. stanno prendendo con sistemi d’arma non difensivi ma aggressivi come le nuove portaerei, i cacciabombardieri nucleari F35 e quant’altro, per operare a distanza dal nostro territorio nazionale, nonostante il famoso articolo 11 della Costituzione. D’altronde il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” del Ministero della Difesa nel 2015 confermava questa crescente proiezione della nostra azione su teatri anche assai lontani (l’Afghanistan lo conferma, peraltro con risultati disastrosi).

Una scelta del genere dovrebbe essere analizzata dal Parlamento. Vi sono infatti grossi problemi di trasparenza e di controllo che l’utilizzo (del drone) pone. In particolare per le morti illegali e gli impatti negativi. È così?
In effetti l’utilizzo di questi sistemi d’arma pone numerosi problemi e servirebbero delle precise linee guida determinate dal Parlamento: dove usarle, come, perché, contro chi, ecc. Analogamente è necessaria una massima trasparenza nell’uso affinché si conoscano gli eventuali danni collaterali. Si potrebbero condurre azioni di guerra in teatri anche lontani e con conseguenze negative nella totale insaputa dell’opinione pubblica e dei mass media, nonché del Parlamento stesso. I paesi utilizzatori non di rado hanno compiuto per errore o per sottovalutazione stragi di civili, esacerbando ulteriormente l’ostilità della popolazione locale e avvantaggiando gli oppositori, terroristi compresi: vedi il recente caso del raid statunitense del 29 agosto a Kabul in cui sono stati uccisi 3 adulti e 7 bambini in cui è stata chiesta semplicemente “scusa per l’errore”!

Come controllare la proliferazione? Un controllo ONU?
Si calcola che attualmente siano oltre 100 i paesi che utilizzano droni militari di varie dimensioni e con varie capacità. Anche formazioni terroristiche e la criminalità organizzata ne dispongono, data la tecnologia ormai ampiamente diffusa e relativamente poco costosa. Il controllo che si può esigere nei paesi democratici, come già detto, può essere su due piani: il Parlamento deve indicare alle forze armate le linee guida fondamentali per il loro utilizzo in caso d’attacco e contemporaneamente esigere un’adeguata trasparenza ed informazione sul loro uso, affinché anche l’opinione pubblica e i mass media ne siano al corrente. Per questo si sta muovendo da tempo anche la società civile che nel nostro continente ha costituito il Forum europeo sui droni armati (EFAD), una rete di organizzazioni della società civile che lavorano per promuovere i diritti umani, il rispetto dello stato di diritto, il disarmo e la prevenzione. L’ONU, sistematicamente depotenziata e emarginata nel corso di questi anni, può far poco, se non approvare delle norme generali circa la responsabilità dell’uso nei confronti dei civili. Ma è difficile che le grandi potenze e i loro alleati le approvino e le rispettino.

Ultima domanda. È uscita, nei giorni scorsi, la notizia che la nostra Marina vuole dotarsi di missili Cruise. Un sistema d’arma assai particolare. Cosa significa questo e soprattutto se era così necessario?
I missili Cruise non seguono una traiettoria balistica (dal basso verso l’alto e poi i nuovo verso il basso contro l’obiettivo), ma viaggiano seguendo l’orografia dello spazio terrestre mediante un apparato GPS coordinato con sistemi satellitari, divenendo di difficile intercettazione con conseguenze significative sul clima d’insicurezza internazionale. Dal costo stimato di un milione di dollari ognuno, possono essere armati convenzionalmente o nuclearmente, con un raggio d’azione che negli ultimi modelli supera i 1.500 km. La collocazione su navi e sottomarini aumenta enormemente il raggio d’azione e la nostra proiezione di potenza militare cresce in modo significativo. Sarebbe utile sapere se il nostro Parlamento e il nostro Governo abbiano discusso di questa ulteriore dotazione di armamenti utile per una presenza armata in teatri sempre più lontani e per quali scopi. Ci stiamo preparando per uno scontro con il nostro alleato turco per le acque cipriote, per un’azione nel quadrante asiatico o altro? Non siamo più all’interno di un quadro di difesa costituzionale, ma di palese attacco. Sarebbe opportuno avere queste risposte prima che le FF.AA. acquistino tali missili evitando che il Parlamento abdichi al suo ruolo politico d’indirizzo in questo settore così importante.