“La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza”. Discorso di Papa Francesco alla Curia romana

Pope Francis speaks during the annual Christmas greetings to the Vatican bureaucracy in the Clementina Hall, at the Vatican, Monday, Dec. 21, 2015. Francis has issued a Christmas-time "catalogue of virtues" for his closest collaborators to follow after having excoriated them last year for a host of sins that he said were compromising the Catholic Church's work. (Alberto Pizzoli/Pool Photo via AP)

Papa Francesco (Alberto Pizzoli/Pool Photo via AP)

Questa mattina, nella Sala Clementina, in Vaticano, Papa ha tenuto il tradizionale discorso natalizio alla Curia Romana e ai dipendenti dello Stato del Vaticano (vedi notizia: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Papa-Riforma-Curia-andra-avanti-con-determinazione-61232905-46a2-4853-a209-18983f4d814e.html?refresh_ce). Un discorso, ancora una volta, esigente. Tutto centrato sulle “virtù” che la Curia, nel suo servizio al Papa e alla Chiesa universale, deve manifestare. Parole dure contro gli scandali e la corruzione. I recenti scandali non fermeranno l’opera di riforma della Chiesa. Esemplarità e umiltà sono tra le virtù necessarie, secondo il Papa, per rendere testimonianza luminosa nei confronti del mondo.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale del discorso del Papa.

Cari fratelli e sorelle,

vi chiedo scusa di non parlare in piedi, ma da alcuni giorni sono sotto l’influsso dell’influenza e non mi sento molto forte. Con il vostro permesso, vi parlo seduto.

Sono lieto di rivolgervi gli auguri più cordiali di un santo Natale e felice Anno Nuovo, che si estendono anche a tutti i collaboratori, ai Rappresentanti Pontifici, e particolarmente a coloro che, durante l’anno scorso, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età.
Ricordiamo anche le persone che sono state chiamate davanti a Dio. A tutti voi e ai vostri familiari vanno il mio pensiero e la mia gratitudine.

Nel mio primo incontro con voi, nel 2013, ho voluto sottolineare due aspetti importanti e inseparabili del lavoro curiale: la professionalità e il servizio, indicando come modello da imitare la figura di san Giuseppe. Invece l’anno scorso, per prepararci al sacramento della Riconciliazione, abbiamo affrontato alcune tentazioni e “malattie” – il “catalogo delle malattie curiali”; oggi invece dovrei parlare degli “antibiotici curiali” – che potrebbero colpire ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale. Malattie che richiedono prevenzione, vigilanza, cura e, purtroppo, in alcuni casi, interventi dolorosi e prolungati.

Alcune di tali malattie si sono manifestate nel corso di questo anno, causando non poco dolore a tutto il corpo e ferendo tante anime, anche con lo scandalo.
Sembra doveroso affermare che ciò è stato – e lo sarà sempre – oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti. La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda.

Tuttavia, le malattie e perfino gli scandali non potranno nascondere l’efficienza dei servizi, che la Curia Romana con fatica, con responsabilità, con impegno e dedizione rende al Papa e a tutta la Chiesa, e questa è una vera consolazione. Insegnava sant’Ignazio che «è proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, porre difficoltà e turbare con false ragioni, per ‎impedire di andare avanti; invece è proprio dello spirito buono dare coraggio ed energie, dare consolazioni e ‎lacrime, ispirazioni e serenità, diminuendo e rimuovendo ogni difficoltà, per andare avanti nella via del ‎bene» [1].

Sarebbe grande ingiustizia non esprimere una sentita gratitudine e un doveroso incoraggiamento a tutte le persone sane e oneste che lavorano con dedizione, devozione, fedeltà e professionalità, offrendo alla Chiesa e al Successore di Pietro il conforto delle loro solidarietà e obbedienza, nonché delle loro generose preghiere.

Per di più, le resistenze, le fatiche e le cadute delle persone e dei ministri rappresentano anche delle lezioni e delle occasioni di crescita, e mai di scoraggiamento. Sono opportunità per tornare all’essenziale, che ‎significa fare i conti con la consapevolezza che abbiamo di noi stessi, di Dio, del prossimo, del sensus Ecclesiae e del sensus fidei.

Di questo tornare all’essenziale vorrei parlarvi oggi, mentre siamo all’inizio del pellegrinaggio dell’Anno Santo della Misericordia, aperto dalla Chiesa pochi giorni fa, e che rappresenta per essa e per tutti noi un forte richiamo alla gratitudine, alla conversione, al rinnovamento, alla penitenza e alla riconciliazione.

In realtà, il Natale è la festa dell’infinita Misericordia di Dio. Dice sant’Agostino d’Ippona: «Poteva esserci misericordia verso di noi infelici maggiore di quella che indusse il Creatore del cielo a scendere dal cielo e il Creatore della terra a rivestirsi di un corpo mortale? Quella stessa misericordia indusse il Signore del mondo a rivestirsi della natura di servo, di modo che pur essendo pane avesse fame, pur essendo la sazietà piena avesse sete, pur essendo la potenza divenisse debole, pur essendo la salvezza venisse ferito, pur essendo vita potesse morire. E tutto questo per saziare la nostra fame, alleviare la nostra arsura, rafforzare la nostra debolezza, cancellare la nostra iniquità, accendere la nostra carità» [2].

Quindi, nel contesto di questo Anno della Misericordia e della preparazione al Santo Natale, ormai alle porte, vorrei presentarvi un sussidio pratico per poter vivere fruttuosamente questo tempo di grazia.

Si tratta di un non esaustivo “catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa.

Invito i Capi dei Dicasteri e i Superiori ad approfondirlo, ad arricchirlo e a completarlo. È un elenco che parte proprio da un’analisi acrostica della parola “misericordia” – padre Ricci, in Cina, faceva questo – affinché sia essa la nostra guida e il nostro faro.

1. Missionarietà e pastoralità. La missionarietà è ciò che rende, e mostra, la curia fertile e feconda; è la prova dell’efficacia, dell’efficienza e dell’autenticità del nostro operare. La fede è un dono, ma la misura della nostra fede si prova anche da quanto siamo capaci di comunicarla [3]. Ogni battezzato è missionario della Buona Novella innanzitutto con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua gioiosa e convinta testimonianza. La pastoralità sana è una virtù indispensabile specialmente per ogni sacerdote. È l’impegno quotidiano di seguire il Buon Pastore, che si prende cura delle sue pecorelle e dà la sua vita per salvare la vita degli altri. È la misura della nostra attività curiale e sacerdotale. Senza queste due ali non potremo mai volare e nemmeno raggiungere la beatitudine del “servo fedele” (cfr Mt 25,14-30).

2. Idoneità e sagacia. L’idoneità richiede lo sforzo personale di acquistare i requisiti necessari e richiesti per esercitare al meglio i propri compiti e attività, con l’intelletto e l’intuizione. Essa è contro le raccomandazioni e le tangenti. La sagacia è la prontezza di mente per comprendere e affrontare le situazioni con saggezza e creatività.

Idoneità e sagacia rappresentano anche la risposta umana alla grazia divina, quando ognuno di noi segue quel famoso detto: “fare tutto come se Dio non esistesse e, in seguito, lasciare tutto a Dio come se io non esistessi”. È il comportamento del discepolo che si rivolge al Signore tutti i giorni con queste parole della bellissima Preghiera Universale attribuita a Papa Clemente XI: «Guidami con la tua sapienza, reggimi con la tua giustizia, incoraggiami con la tua bontà, proteggimi con la tua potenza. Ti offro, o Signore: i pensieri, perché siano diretti a te; le parole, perché siano di te; le azioni, perché siano secondo te; le tribolazioni, perché siano per te» [4].

3. Spiritualità e umanità. La spiritualità è la colonna portante di qualsiasi servizio nella Chiesa e nella vita cristiana. Essa è ciò che alimenta tutto il nostro operato, lo sorregge e lo protegge dalla fragilità umana e dalle tentazioni quotidiane. L’umanità è ciò che incarna la veridicità della nostra fede. Chi rinuncia alla propria umanità rinuncia a tutto. L’umanità è ciò che ci rende diversi dalle macchine e dai robot che non sentono e non si commuovono. Quando ci risulta difficile piangere seriamente o ridere appassionatamente – sono due segni – allora è iniziato il nostro declino e il nostro processo di trasformazione da “uomini” a qualcos’altro. L’umanità è il saper mostrare tenerezza e familiarità e cortesia con tutti (cfr Fil 4,5). Spiritualità e umanità, pur essendo qualità innate, tuttavia sono potenzialità da realizzare interamente, da raggiungere continuamente e da dimostrare quotidianamente.

4. Esemplarità e fedeltà. Il beato Paolo VI ricordò alla Curia – nel ’63 – «la sua vocazione all’esemplarità» [5]. Esemplarità per evitare gli scandali che feriscono le anime e minacciano la credibilità della nostra testimonianza. Fedeltà alla nostra consacrazione, alla nostra vocazione, ricordando sempre le parole di Cristo: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti» (Lc 16,10) e «Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!» (Mt 18,6-7).

5. Razionalità e amabilità. La razionalità serve per evitare gli eccessi emotivi e l’amabilità per evitare gli eccessi della burocrazia e delle programmazioni e pianificazioni. Sono doti necessarie per l’equilibrio della personalità: «Il nemico – e cito sant’Ignazio un’altra volta, scusatemi – osserva bene se un’anima è grossolana oppure delicata; se è delicata, fa in modo di renderla delicata fino all’eccesso, per poi maggiormente angosciarla e confonderla» [6]. Ogni eccesso è indice di qualche squilibrio, sia l’eccesso nella razionalità, sia nell’amabilità.

6. Innocuità e determinazione. L’innocuità che rende cauti nel giudizio, capaci di astenerci da azioni impulsive e affrettate. È la capacità di far emergere il meglio da noi stessi, dagli altri e dalle situazioni agendo con attenzione e comprensione. È il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te (cfr Mt 7,12 e Lc 6,31). La determinazione è l’agire con volontà risoluta, con visione chiara e con obbedienza a Dio, e solo per la legge suprema della salus animarum (cfr CIC, can. 1725).

7. Carità e verità. Due virtù indissolubili dell’esistenza cristiana: “fare la verità nella carità e vivere la carità nella verità” (cfr Ef 4,15) [7]. Al punto che la carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa “giudiziarismo” cieco.

8. Onestà e maturità. L’onestà è la rettitudine, la coerenza e l’agire con sincerità assoluta con noi stessi e con Dio. Chi è onesto non agisce rettamente soltanto sotto lo sguardo del sorvegliante o del superiore; l’onesto non teme di essere sorpreso, perché non inganna mai colui che si fida di lui. L’onesto non spadroneggia mai sulle persone o sulle cose che gli sono state affidate da amministrare, come il «servo malvagio» (Mt 24,48). L’onestà è la base su cui poggiano tutte le altre qualità.

Maturità è la ricerca di raggiungere l’armonia tra le nostre capacità fisiche, psichiche e spirituali. Essa è la meta e l’esito di un processo di sviluppo che non finisce mai e che non dipende dall’età che abbiamo.

9. Rispettosità e umiltà. la rispettosità è la dote delle anime nobili e delicate; delle persone che cercano sempre di dimostrare rispetto autentico agli altri, al proprio ruolo, ai superiori e ai subordinati, alle pratiche, alle carte, al segreto e alla riservatezza; le persone che sanno ascoltare attentamente e parlare educatamente. L’umiltà invece è la virtù dei santi e delle persone piene di Dio, che più crescono nell’importanza più cresce in loro la consapevolezza di essere nulla e di non poter fare nulla senza la grazia di Dio (cfr Gv 15,8).

10. “Doviziosità” – io ho il vizio dei neologismi – e attenzione. Più abbiamo fiducia in Dio e nella sua provvidenza più siamo doviziosi di anima e più siamo aperti nel dare, sapendo che più si dà più si riceve. In realtà, è inutile aprire tutte le Porte Sante di tutte le basiliche del mondo se la porta del nostro cuore è chiusa all’amore, se le nostre mani sono chiuse al donare, se le nostre case sono chiuse all’ospitare e se le nostre chiese sono chiuse all’accogliere. L’attenzione è il curare i dettagli e l’offrire il meglio di noi e il non abbassare mai la guardia sui nostri vizi e mancanze. San Vincenzo de’ Paoli pregava così: “Signore, aiutami ad accorgermi subito: di quelli che mi stanno accanto, di quelli che sono preoccupati e ‎disorientati, di quelli che soffrono senza mostrarlo, di quelli che si sentono isolati senza volerlo”.

11. Impavidità e prontezza. Essere impavido significa non lasciarsi impaurire di fronte alle difficoltà, come Daniele nella fossa dei leoni, come Davide di fronte a Golia; significa agire con audacia e determinazione e senza tiepidezza «come un buon soldato» (2 Tm 2,3-4); significa saper fare il primo passo senza indugiare, come Abramo e come Maria. Invece la prontezza è il saper agire con libertà e agilità senza attaccarsi alle cose materiali che passano. Dice il salmo: «Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore» (Sal 61,11). Essere pronto vuol dire essere sempre in cammino, senza mai farsi appesantire accumulando cose inutili e chiudendosi nei propri progetti, e senza farsi dominare dall’ambizione.

12. E finalmente affidabilità e sobrietà. Affidabile è colui che sa mantenere gli impegni con serietà e attendibilità quando è osservato ma soprattutto quando si trova solo; è colui che irradia intorno a sé un senso di tranquillità perché non tradisce mai la fiducia che gli è stata accordata. La sobrietà – ultima virtù di questo elenco non per importanza – è la capacità di rinunciare al superfluo e di resistere alla logica consumistica dominante. La sobrietà è prudenza, semplicità, essenzialità, equilibrio e temperanza. La sobrietà è guardare il mondo con gli occhi di Dio e con lo sguardo dei poveri e dalla parte dei poveri.

La sobrietà è uno stile di vita [8] che indica il primato dell’altro come principio gerarchico ed esprime l’esistenza come premura e servizio verso gli altri. Chi è sobrio è una persona coerente ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare e vivere con il senso della misura.

Cari fratelli,

la misericordia non è un sentimento passeggero, ma è la sintesi della Buona Notizia, è la scelta di chi vuole avere i sentimenti del Cuore di Gesù [9], di chi vuol seguire seriamente il Signore che ci chiede: «Siate misericordiosi come il Padre vostro» (Lc 6,36; cfr Mt 5,48). Afferma padre Ermes Ronchi: «Misericordia: scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, consolazione per noi debitori. Il debito di esistere, il debito di essere amati si paga solo con la misericordia».

Dunque, sia la misericordia a guidare i nostri passi, a ispirare le nostre riforme, a illuminare le nostre decisioni. Sia essa la colonna portante del nostro operare. Sia essa a insegnarci quando dobbiamo andare avanti e quando dobbiamo compiere un passo indietro. Sia essa a farci leggere la piccolezza delle nostre azioni nel grande progetto di salvezza di Dio e nella maestosità e misteriosità della sua opera.

Per aiutarci a capire questo, lasciamoci incantare dalla preghiera stupenda che viene comunemente attribuita al Beato Oscar Arnulfo Romero, ma che fu pronunciata per la prima volta dal Cardinale John Dearden:

Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.
Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.
Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio.
Niente di ciò che noi facciamo è completo.
Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.
Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.
Nessuna preghiera esprime completamente la fede.
Nessun credo porta la perfezione.
Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.
Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.
Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.
Di questo si tratta:
noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Una opportunità perché la grazia di Dio entri e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento, ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri, servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

E con questi pensieri, con questi sentimenti, vi auguro un buon e santo

Natale, e vi chiedo di pregare per me. Grazie.

—————

[1]‎ Esercizi Spirituali, 315.

[2] Serm. 207, 1: PL 38, 1042.

[3] «La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini” della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna, Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2013, 2).

[4] Missale Romanum, ed. 2002.

[5] Discorso alla Curia Romana, 21 settembre 1963: AAS 55 (1963), 793-800.

[6]‎ Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali 349.

[7]‎ «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, ‎con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e ‎dell’umanità intera […] È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta» (Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, ‎‎1: AAS 101 [2009], 641). Perciò occorre «coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della ‎‎“veritas in caritate” (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della “caritas in ‎veritate”. La verità va cercata, trovata ed espressa nell’“economia” della carità, ma la carità a sua ‎volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità» (ibid., 2).‎

[8] Uno stile di vita improntato alla sobrietà restituisce all’uomo «quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37); cfr AA.VV., Nuovi stili di vita nel tempo della globalizzazione, Fondaz. Apostolicam actuositatem, Roma 2002.

[9] Giovanni Paolo II, Angelus del 9 luglio 1989: «L’espressione “Cuore di Gesù” richiama subito alla mente l’umanità di Cristo, e ne sottolinea la ricchezza dei sentimenti, la compassione verso gli infermi; la predilezione per i poveri; la misericordia verso i peccatori; la tenerezza verso i bambini; la fortezza nella denuncia dell’ipocrisia, dell’orgoglio, della violenza; la mansuetudine di fronte agli oppositori; lo zelo per la gloria del Padre e il giubilo per i suoi disegni di grazia, misteriosi e provvidenti… richiama poi la tristezza di Cristo per il tradimento di Giuda, lo sconforto per la solitudine, l’angoscia dinanzi alla morte, l’abbandono filiale e obbediente nelle mani del Padre. E dice soprattutto l’amore che sgorga inarrestabile dal suo intimo: amore infinito verso il Padre e amore senza limiti verso l’uomo».

 

Dal sito: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/december/documents/papa-francesco_20151221_curia-romana.html

La Leopolda della palude autoreferenziale. Intervista ad Alessandro De Angelis

Alessandro De Angelis (@deangelispost : Twitter)“La Leopolda? Ha dato l’immagine del renzismo come di una palude autoreferenziale”. Alessandro De Angelis, giornalista dell’Huffington Post, ha seguito la Leopolda per il suo giornale online. Di eventi politici ne ha seguiti parecchi. Nella kermesse che si è appena svolta a Firenze, vede un “cambio di fase del renzismo”.
Spiegati meglio.
C’è un elemento che rende questa Leopolda diversa dalle altre. Ed è l’autoreferenzialità della tre giorni, autoreferenzialità di cui il discorso finale di Renzi è un esempio straordinario. Te la dico senza girarci attorno: è ovvio che queste occasioni servono a gasare i militanti, a rafforzare l’orgoglio di appartenenza, appartenenza che i renziani vivono in modo quasi clanico e pre-politico. Ciò detto, al netto dell’autocelebrazione, è mancato il respiro, la progettualità.

Insomma ti dici: quella che doveva essere la celebrazione del renzismo al governo, con le sue “magnifiche” riforme, si è rivelata, al di là della propaganda renziana, come una manifestazione dei limiti del “renzismo”.
Diciamo che è emerso quello che, a mio giudizio, è il limite vero. Domando: perché Renzi replica con stizza e quasi arroganza ai critici? Perché è insofferente verso la stampa e verso i giornali sgraditi al punto da esporli alla gogna? Perché porta al parossismo la ricerca del nemico vedendo ovunque gufi e sciacalli? A mio giudizio perché la sua narrazione e la sua politica non fa i conti col principio di realtà e dunque risulta autoreferenziale. Quando parlo di principio di realtà mi riferisco, in questo caso, alle banche e al conflitto di interessi della Boschi denunciato da Saviano. Sono stati gli eventi di cui gli organizzatori non sono riusciti a liberarsi né ad esorcizzare. E alla fine gli eventi sono stati più forti della narrazione del “va tutto bene”. Guarda che la ferita che sanguina nel cuore del Pd – mi riferisco ai risparmiatori truffati nelle zone rosse – mica la rimargini con gli effetti speciali dal palco.

Un paradosso, non credi? Non ha funzionato la comunicazione che dovrebbe essere il terreno di maggiore forza del renzismo.
Vero: l’esitazione sulla presenza della Boschi dopo la denuncia di Saviano ha aggravato la situazione, per non parlare del discorso di bandiera della ministra, con tre fan a fare domande. I renziani, alla prima vera criticità, hanno mostrato di essere fragili nel reggere alla pressione. Conclusione: la realtà, questa volta scomoda e cruda ha ucciso l’evento. Infatti si continua a parlare di banche e di conflitto di interessi, non del messaggio di Renzi dal palco, appunto perché non ha affrontato la realtà. Questa volta il giovane premier mi ha fatto venire in mente Bettino Craxi, quando ringhiava contro i suoi avversari ammaliando la base socialista ma aveva perso il contatto con la realtà.

La “stella” di Maria Elena Boschi continuerà a brillare?
Dipende da come la gestisce. Per ora la sta gestendo malissimo. È stata la prima ad ammettere che c’era un conflitto di interessi non partecipando al cdm dove si varava il decreto che toccava la banca Etruria. Perché allora si arrabbia con chi parla di conflitto di interessi. Sarebbe bastato che qualcuno della famiglia desse una spiegazione per fugare ogni sospetto, cosa che una figura di spicco di governo dovrebbe fare. Invece, nel comportamento mi ha ricordato Berlusconi quando uscì Noemi. Prima ha evitato la realtà, poi andò da Vespa a fare un’intervista compiacente. E si beccò le dieci domande di Repubblica che lo inchiodarono. Lei ha evitato la realtà, poi è andata da Vespa a fare un’intervista compiacente e si è beccata Saviano… Questa vicenda fa molto male al renzismo perché getta una macchia sulla narrazione, rompe il mito della novità e della diversità. Il nuovo potere, come i vecchi poteri, ha i suoi intrighi, il suo familismo amorale, i suoi conflitti di interesse.

Nello stesso giorno le minoranze del Pd organizzavano una “convention” : linea politica “ulivista”, anche sulla scia dell’appello dei sindaci, linguaggi differenti. Un partito con gravi problemi indentitari.
Non c’è dubbio. Direi che pure la minoranza ha bisogno di Freud a proposito di realtà. Invece di parlare di banche e di offrire al paese un punto di vista sul sociale hanno dato i titoli sulla necessità di separare il ruolo di premier da quello di segretario, perché non hanno uno da contrapporre a Renzi…

Intanto le sezioni chiudono, il tesseramento langue. Il Pd è un partito svuotato?
Ti chiedo: il Pd è ancora un partito? A me pare che più che una comunità che sta assieme sulla base di valori, programmi, obiettivi di cambiamento il Pd sta diventando una macchina di potere che attrae trasformismi.

Se vogliamo fare una “previsione” per il prossimo anno per Renzi: quali saranno i “nodi” politici?
Vediamo come vanno i botti di fine anno… Nel senso di questa storia sulla Boschi. C’è un’inchiesta della procura di Arezzo, mi pare che il quadro sia in evoluzione. È un dato cruciale perché la Boschi è il volto dell’epoca renziana, del governo e delle riforme. Te la dico con un titolo: quando ci sarà il referendum un conto è se le riforme sono figlie del governo che “cambia verso” un conto è se hanno il volto di un ministro legato a una questione imbarazzante. Aspettiamo…

Ultima domanda: Il Movimento Cinque Stelle conferma, stando ai sondaggi la sua consistenza elettorale, ma il punto è un altro. Pensi che abbia acquisito anche  consistenza politica?
È in una fase di crisi di crescita. Nel senso che non c’è dubbio che rispetto all’inizio ci sia una maggiore consapevolezza, ma adesso siamo a un punto cruciale, perché come ricordavi tu, hanno i numeri per rappresentare una vera alternativa. E pare abbiano paura di vincere. Lo vedi sulle amministrative dove evitano di candidare i big, sulla guerra che è un tema divisivo non hanno preso una posizione. E poi ci sono amministrazioni, come a Livorno, dove stanno fallendo la prova del governo. Intendo questo per crisi di crescita. I numeri dicono che sono l’alternativa, ma trasmettono l’idea di non essere pronti. Anche in questo caso, stiamo a vedere.

Costruire il Giubileo della pace, profezia di nuova umanità.
Un appello di Pax Christi.

Logo Paxchristi

Domani mattina a Roma, alle 9.30 in Piazza San Pietro, Papa Francesco aprirà la “Porta Santa” della basilica vaticana. Inizierà così il Giubileo della Misericordia. Un evento voluto fortemente dal Papa. Un evento nelle intenzioni del pontefice da vivere, non solo sul piano spirituale dal singolo credente,  ma anche come evento di giustizia e di pace. Va in questa direzione l’appello, che pubblichiamo integralmente, dell’associazione “Pax Christi”. Sono parole profetiche che invitano la comunità ecclesiale ad una chiara testimonianza di verità sul momento drammatico in cui viviamo.

Pax Christi Italia, presente in questi giorni a Parigi per la Cop21 con una nutrita delegazione giovanile armata dell’enciclica Laudato si’, propone questo appello all’inizio del Giubileo della misericordia che, come ha evidenziato papa Francesco in Africa, diventa per tutti un Giubileo del disarmo, della giustizia e della riconciliazione.

Pax Christi Italia si oppone alla generale chiamata alle armi promossa in tutta Europa da organi di stampa, governi e forze politiche che pensano di bloccare le guerre del terrorismo col terrorismo di guerre che, come si è visto (e come è stato riconosciuto anche dai loro promotori), hanno alimentato nuove violenze e nuove guerre.

Cosa è rimasto di tante iniziative belliche? Morti, rovine, sfollati, profughi, migrazioni forzate, tratta delle persone, milizie armate, terrorismo diffuso e “tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi”, ha esclamato il papa il 19 novembre.

“Nel contesto della comunicazione globale”, ha detto il papa a Sarajevo nel giugno scorso, “si percepisce un clima di guerra. C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi”. Per questo, giorni fa ha esclamato: “coloro che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti”, aggiungendo, poi: “le guerre sono un’industria, un affare di armi, un peccato, distruggono l’umanità… Si devono fermare” .

Quella che stiamo vivendo non è una guerra dell’Islam contro l’Occidente. Il terrore è da tempo pane quotidiano per milioni di persone in Medio Oriente e in varie parti del mondo, e colpisce soprattutto i musulmani. Il 90% delle vittime del terrorismo islamista si verifica in Iraq, Siria, Pakistan, Afghanistan, Nigeria, Somalia, Tunisia, Mali, Libia, Libano, Egitto, nel centro e nel nord d’Africa dove l’Europa manda armi e dove l’Italia coi suoi traffici sta violando la legge 185/90, ormai depotenziata e svuotata di significato. Lo testimoniano i dati della Rete Italiana Disarmo e di altre istituzioni.

L’Italia vende e permette la vendita di armi, ad esempio, all’Arabia Saudita (che sta bombardando lo Yemen e che ospita finanziatori del sedicente stato islamico), al Qatar, alle monarchie del Golfo, al Kuwait, alla Siria, all’Iraq, alla Turchia, all’Algeria, all’Egitto, al Marocco, alla Libia…ed è alleata di regimi vicini ai terroristi.

Ora, ai bombardamenti di Usa, Russia e Francia (e al sostegno armato dell’Italia), si aggiungono quelli della Germania e dell’Inghilterra. Molti, troppi sono corresponsabili delle violenze di una guerra mondiale che sembra inarrestabile e che è diventata parte integrante dell’economia e della politica.

Una politica di pace con mezzi di pace non è passiva ma è lotta per il bene e per la civiltà del diritto, è gestione e superamento dei conflitti.

Si può vincere il male con il bene.

Occorre, anzitutto, eliminare ogni complicità con i terroristi.

Non si può nutrire il male che si dice di combattere.

E non si spegne il fuoco gettandovi benzina in continuazione.

  1. Smettiamo di armare le guerre con gli “affari insensati” delle armi. Diamo inizio a un embargo planetario o a una moratoria internazionale che imponga il divieto assoluto di vendere armi.
  2. Scardiniamo l’architettura finanziaria del califfato e dei suoi alleati. Blocchiamo il commercio clandestino di petrolio (che frutta all’Isis 1 milione e mezzo di dollari al giorno). Fermiamo le elargizioni di denaro e i flussi di armi e denaro.
  3. 
 Ridiamo all’Onu un ruolo centrale nel processo di pace in Siria e Iraq e affidiamo al Tribunale penale internazionale la valutazione e il giudizio dei crimini contro l’umanità.
  4. Costruiamo una politica euro-mediterranea di vera cooperazione e di sicurezza comune.
  5. Promuoviamo un’opera di educazione ai conflitti nelle scuole e nelle città preparando anche le condizioni per una Difesa civile nonviolenta.
  6. Sviluppiamo il dialogo interreligioso senza diplomazie generiche ma con buone pratiche sociali e momenti di festa, curando una spiritualità dell’incontro che faccia emergere la sostanza disarmata e disarmante della propria fede.
Non lasciamo solo papa Francesco nella sua denuncia! All’inizio del “Giubileo della misericordia”, seguiamo il suo invito a “chiedere la grazia del pianto per questo mondo che non riconosce la strada della pace. Che vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla”.

Dopo il convegno ecclesiale di Firenze, le comunità cristiane possono vivere il Giubileo della misericordia come Giubileo della giustizia e della pace, come profezia di nuova umanita’.

 


Pax Christi Italia
Firenze 2 dicembre  2015

Papa Francesco, tra Vatileaks e Giubileo della Misericordia. Intervista a Marco Politi


Marco-Politi-300x225

Tra pochi giorni, a Roma, si aprirà, con l’apertura della “Porta Santa, il Giubileo della misericordia. Un evento importante per il Pontificato di Papa Bergoglio. Un evento che vuole segnare una svolta per tutta la Chiesa cattolica. E sempre la prossima settimana, in Vaticano, riprende il processo Vatileaks. Come procede il cammino riformatore di Papa Francesco? Ne parliamo, in questa intervista, con il vaticanista Marco Politi. Di Politi, in questi giorni, è uscita la nuova edizione aggiornata e ampliata del libro, pubblicato dall’Editore Laterza, Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione. (pagg. 280, € 16, 00).

cop.aspxPoliti,  si è concluso da poco il viaggio di Papa Francesco in Africa, che sigilla in modo definitivo direi, la sua ecclesiologia delle “periferie” (estreme). L’apertura della Porta Santa nella Chiesa di Bangui (Repubblica Centroafricana ) è stato l’emblema di questa ecclesiologia. Per te è così?

La Repubblica Centroafricana, così ricca di petrolio, diamanti e uranio, è uno dei paesi più sfasciati e degradati dell’Africa. E’ ‘ultima’ nel vero senso della parola e Francesco, aprendo a Bangui la Porta Santa, ha mostrato da un lato la decentralizzazione della Chiesa e dall’altro – e soprattutto – che gli ultimi sono i primi. In un certo senso questo è stato il suo secondo viaggio in Africa, perché il suo primo viaggio a Lampedusa era già l’incontro con i migranti che vengono dal Maghreb e dal Continente Nero”

Una domanda sul “Giubileo della Misericordia” che si aprirà il prossimo 8 dicembre: quali gli obiettivi del Papa Francesco? Ti aspetti un gesto fortemente significativo di Francesco, ovvero il Giubileo della Misericordia segnerà uno  spartiacque per la Chiesa cattolica?
Il Giubileo straordinario è in fondo un appello speciale al popolo di Dio, per marciare insieme sulla strada della riforma della Chiesa. L’esito del Sinodo, che non è riuscito a votare un documento chiaro sulla comunione ai divorziati risposati, ha portato alla luce forti resistenze all’interno degli episcopati del mondo e ha rivelato l’esistenza di una spaccatura tra chi – come Francesco – vuole una Chiesa ospedale da campo e chi si arrocca nella dottrina: i “dottrinari” come li chiama il pontefice argentino, che sono sordi ai drammi di tanti uomini e donne. Francesco vuole predicare, come ha detto all’incontro con Comunione e liberazione, che la via della Chiesa è di non condannare eternamente nessuno“.

Nel tuo libro, dal titolo emblematico “Francesco tra i lupi”, tra l’altro, analizzi e fai il punto dell’Azione riformatrice di Papa Bergoglio. Quali sono stati i frutti, finora, dell’opera di Francesco?
Il papa ha già portato molta pulizia nella banca e negli affari finanziari vaticani. Sono stati chiusi migliaia di conti, è stato creato un comitato anti-riciclaggio in Vaticano, sono stati firmati accodi di cooperazione giudiziaria con molti Stati, è stato creato un Segretariato per l’economia, che vigilerà sugli appalti fonte di corruzione, è stato potenziato il ruolo dell’Autorità di informazione finanziaria. Le sacche di malaffare che resistono – ed è meritoria da questo punto l’opera di informazione dei libri di Fittipaldi e Nuzzi – dimostrano che ogni riforma si scontra con interessi opachi poderosi. Francesco ha cominciato a dare al Sinodo dei vescovi un reale potere propositivo, ha creato un organo di consultazione internazionale al suo fianco: il Consiglio dei nove cardinali. E ha cominciato a decentralizzare , dando la facoltà ai vescovi locali di decidere autonomamente in certi casi sulla nullità dei matrimoni religiosi Francesco ha riaperto il dialogo tra Chiesa e società pluralistica moderna: oggi sono tanti gli appartenenti ad altre religioni o gli agnostici e gli atei che ascoltano con interesse il suo messaggio. Infine Francesco sta dicendo parole chiare sullo sfruttamento di una massa enorme di uomini e donne e sul degrado ecologico, che a sua volta comporta gravi costi sociali”.

Ci sono dei limiti in quest’azione? Se si quali sono?
C’e da fare la riforma della Curia. C’è da realizzare l’inserimento di donne nei posti dove si decide e si esercita autorità (per citare le sue parole). C’è da dare forma codificata a tanti suoi impulsi”.

Parli anche della “solitudine” del Papa. Eppure è un Papa che gode di un immenso amore nel “popolo di Dio”. Dove nasce questa  solitudine?
Lo hanno detto in molti: il vescovo Bregantini, il segretario della Cei mons. Galantino: non basta applaudire il pontefice, bisogna aiutarlo fattivamente nella sua opera di cambiamento. Troppi vescovi, troppi sacerdoti, troppi fedeli stanno fermi. A volte per inerzia, a volte per paura, a volte per sabotare passivamente”.

E veniamo ai “nemici” di Papa Francesco. Nel libro ne parli diffusamente, fa impressione vedere un pontefice circondato da “nemici”. Qual è il più pericoloso?
Gli avversari sono coloro che nella gerarchia hanno impedito al Sinodo di pronunciare una parola definitiva sull’accoglimento dei divorziati risposati e sul riconoscimento del vaolre affettivo e solidale di una coppia omosessuale. Gli avversari sono quanti continuano a fare un cattivo uso dei beni economici della Chiesa, quanti voltano la testa dall’altra parte quando si tratta di stabilire meccanismi concreti per contrastare gli abusi sessuali. Coloro che fanno finta di non sentire che le donne devono essere chiamate a ruoli decisionali . Soprattutto su internet si assiste in Italia e nel mondo ad una campagna sistematica di denigrazione del pontefice. E anche il caso Vatileaks-2 dimostra che suoi collaboratori in Curia fanno operazioni destabilizzanti e rompono i più elementari patti di lealtà, registrando gli interventi del Papa in riunioni riservate e poi li diffondono all’esterno “.

E nella Chiesa italiana com’è l’atteggiamento, nei confronti di Papa Francesco, dopo il Convegno di Firenze?
Francesco chiede alla Chiesa italiana una grande svolta di conversione, lasciandosi alle spalle interventismi politici e chidendo grande rigore finanziario a tutti i livelli. Pensiamo allo scandalo dell’abate di Montecassino e alle centinaia di migliaia di euro dilapidati da un uomo che avrebbe dovuto salvaguardare la grande tradizione di san Benedetto”.

Ultima domanda: nel libro, nelle pagine finali, scrivi che “Francesco non ignora la clessidra invisibile posta accanto al suo seggio papale”. Cosa intendi?
Papa Francesco lo ha detto e lo ha ripetuto: anche lui a un certo momento sarà disponibile a dimettersi. Il giorno del secondo anniversario della sua lezione ha dichiarato alla Tv messicana di immaginare che il suo pontificato durerà quattro o cinque anni. Due anni e mezzo sono già passati!”.

La guerra di Anonymous all’Isis. Intervista ad Antonino Caffo

 

ANSA

(ANSA)

Il sedicente stato islamico si combatte anche via web. Dopo il tragico venerdì di sangue, quello delle stragi di Parigi, gli hacker di Anonymous hanno dichiarato guerra all’Isis. Si calcola che migliaia di siti vicino all’Isis siano stati oscurati dall’attacco dei paladini mascherati. Inoltre secondo Anonymoys, i jihadisti stanno preparando la “giornata mondiale del terrore”. Si tratterebbe di otto attacchi contemporanei in altrettanti Paesi: tra questi ci sarebbe l’Italia, e ancora la Francia.  Come si svolge questa cyberwar? Quali gli obiettivi di Anonymous? Ne parliamo, in questa intervista, con Antonino Caffo, giornalista del settimanale Panorama ed esperto di social network.

Anonymous, dopo i drammatici fatti di Parigi, ha dichiarato guerra all’Isis: “Il web non è posto sicuro per voi!” hanno detto i paladini mascherati ai nemici dell’Isis. Insomma siamo in piena cyberwar. Quali gli obiettivi?

Dimostrare alle milizie cibernetiche del sedicente stato islamico che la battaglia oggi si combatte anche sul web, attraverso Facebook e Twitter. Internet è diventato un luogo privilegiato per far passare informazioni particolari, aumentare la propaganda e, in generale, arruolare possibili nuovi adepti. Non è un caso se alcuni europei convertiti all’Islam “comunicato” dall’Isis siano giovani, cresciuti a pane e social network e dunque più facili da agganciare.

 

Puoi spiegarci come opera Anonymous? Il” deep web” è la frontiera del conflitto?

Il metodo principale finora era stato il DDoS, ovvero un tipo di attacco hacker con cui si crea un blackout di un determinato sito web o servizio. Dopo la dichiarazione di guerra all’Isis le cose sono cambiate. Con un distributed denial of service non si possono mandare ko Facebook o Twitter, e non sarebbe nemmeno giusto. Gli sforzi degli Anonymous si concentrano allora sull’individuazione di persone possibilmente legate ai terroristi. Le ricerche si svolgono soprattutto sul deep web, ovvero in quella parte di internet non direttamente accessibile ai motori di ricerca come Google, ma navigabile con strumenti particolari, tra cui il browser Tor. Qui ci sono forum di discussione, chat e portali nascosti dove è possibile scambiarsi informazioni restando il più anonimi possibile. Si tratta di un luogo a metà strada tra il legale e l’illegale, tant’è è vero che il deep web rappresenta il giardino di fioritura privilegiato per negozi digitali di droga o di scambio materiale pedo-pornografico. Ovviamente il lato oscuro della rete non è solo nelle mani dei criminali ma è chiaro che se c’è qualcuno che vuole sfruttare internet per compiere azioni non proprio etiche è qui che va ad operare.

 

Ci sono stati, in questi giorni, attacchi di Anonymous verso l’Isis. Quali risultati concreti hanno realizzato gli “Anon”?

Spegnere migliaia di account Twitter ritenuti molto vicini ai terroristi. Quando gli hacker “buoni” dicono che per l’Isis non c’è posto su internet intendono proprio questo: qualunque persona attiva in rete, soprattutto sui social network, riconosciuta come divulgatore della jihad, verrà smascherata e cancellata dal web. Ma sappiamo benissimo che l’eliminazione di un account da internet non è per nulla definitiva. Tutti possono aprire decine di account fasulli con cui riprendere discorsi interrotti prima. Il compito degli Anonymous non è semplice ma ha un valore assoluto, perché li pone in una posizione di assoluto valore agli occhi degli occidentali, sia privati che interni governi, certi  di aver trovato un aiuto fondamentale nella lotta all’Isis.

 

Come guardano i Servizi di intelligence l’opera degli attivisti? C’è collaborazione tra loro e i servizi?

Non direi collaborazione ma un certo dialogo si. Fin quando gli Anonymous pensavano a stuzzicare aziende o governi, le loro azioni restavano in un limbo ben circoscritto agli addetti ai lavori. Quando invece hanno lanciato il guanto di sfida all’Isis è ovvio che la loro notorietà sia aumentata e per questo anche le responsabilità. Gli Anon non sono più una caricatura di una tipologia di utente di internet, quello più smanettone che si oppone all’ordine costituito delle cose, ma diventano un supporto decisivo nella lotta al terrorismo, una sorta di ramo digitale del governo statunitense e degli alleati. Ogni organo militare nazionale ha un settore specializzato nella cyberwar ma è ovvio che l’appeal e l’interesse verso gli Anonymous sia maggiore, e sotto un certo punto di vista più interessante.

 

Ultima domanda: Il web si sta sempre più militarizzando?

– In realtà non ha mai smesso. Internet nasce come strumento di comunicazione extra per i militari e tale è sempre rimasto. Che poi sia stato creato un internet “commerciale”, ovvero disponibile a tutti, è solo una conseguenza. Anche oggi molte delle innovazioni tecnologiche vengono prima testate a livello militare e poi introdotte sul mercato. Ne sono un esempio le telecamere di sicurezza connesse ad internet, i sistemi di crittografia digitale l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale in dispositivi portatili. In tal senso il deep web è ciò che è stato Intranet all’inizio: uno spazio condiviso ma solo ad alcuni; non una rete aperta e liberamente navigabile come quella a cui siamo abituati oggi. Molte delle attività quotidiane si svolgono su piattaforme connesse alla rete; quando un’azione militare, come gli attentati terroristici, scuotono le coscienze di tutto il mondo è ovvio che anche il popolo del web si mobiliti per chiedere più sicurezza e protezione. Vita digitale e vita organica hanno oramai intrapreso un percorso di crescita simbiotica che probabilmente non potrà più essere scisso.