Questo che pubblichiamo sono i punti centrali della famosa lettera pastorale “Camminare insieme” (1971) scritta dal Cardinale Michele Pellegrino , all’epoca Arcivescovo di Torino. Continua a leggere
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L’Etica della complessità del Cardinale Carlo Maria Martini
Nella liturgia ambrosiana c’è scritto: “Signore dona sempre al tuo popolo pastori che inquietino la falsa pace delle coscienze”.
Ebbene in questa frase c’è tutta la testimonianza cristiana del Cardinale Carlo Maria Martini. Per 25 anni arcivescovo di Milano, tra le figure più significative della Chiesa cattolica contemporanea (altri Vescovi ambrosiani, come Montini, sono stati all’apice della cattolicità), ora si trova a Gallarate, dopo un periodo passato a Gerusalemme, nel centro “Aloisianum” dei gesuiti.
Qui è tenuto in cura. Il parkinson, infatti, è una malattia inesorabile, colpisce anche la parola (in questo c’è un destino comune con Papa Wojtila), ma riesce ancora, sia pure lentamente, a parlare. E questo rende prezioso i dialoghi con i suoi interlocutori.
Ora la casa editrice Einaudi ha pubblicato un agile libretto, Credere e conoscere è il titolo, che raccoglie i dialoghi con il senatore Ignazio Marino, medico di fama internazionale e senatore del PD (pagg. 84, € 10,00). Continua a leggere
Cattolici in politica: intervista a Luigi Bobba
I cattolici in politica oggi: Irrilevanti, trasversali, isolati? Intervista all’Onorevole Luigi Bobba.
Questa che si apre è una settimana piena di tensioni. Tensioni sindacali: in settimana si terrà il referendum sul problematico accordo su Mirafiori. Tensioni politiche: c’è attesa per la decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Anche il dibattito politico vive momenti di tensione non solo tra le forze politiche ma anche al loro interno. E’ il caso del PD dove nei giorni scorsi si è aperto l’ennesimo confronto, e scontro, su diverse tematiche (dalle primarie a Mirafiori). Uno dei temi delicati, che sarà messo presto all’ordine del giorno del dibattito, è quello della questione etica sul fine vita. E questo riporterà al centro dell’attenzione il ruolo dei cattolici in politica. Ne parliamo con Luigi Bobba, ex presidente nazionale delle Acli, parlamentare del PD e vice-presidente della Commissione Lavoro della Camera.
Un recente Convegno della Fondazione Giuseppe Lazzati, tenuto a Milano lo scorso dicembre, aveva come titolo: “I cattolici in politica: irrilevanti, trasversali, isolati?”. Quale di queste parole, secondo Lei, indica lo stato della situazione dei cattolici italiani?
Se dovessi sintetizzare la condizione dei cattolici nel sistema politico italiano, indicherei due rischi: quello dell’irrilevanza e quello, ancor più grave, dell’insignificanza. Nel primo caso,molti cattolici italiani non hanno ancora fatto definitivamente i conti con due trasformazioni radicali e non facilmente reversibili del sistema politico: il bipolarismo e la personalizzazione dell’azione politica. Spesso , queste trasformazioni, a sinistra, vengono identificate con la persona di Berlusconi. Ma il cambiamento è ben più profondo ed originato principalmente dall’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia e di regione: l’elettore, anche quello cattolico, ha ormai incorporato nel suo immaginario questi due tratti distintivi dell’azione politica; con essi bisogna farci i conti se non si vuole diventare irrilevanti. Dunque bisogna agire all’interno del sistema bipolare, a meno che si abbiano la forza e i numeri per creare una polarità alternativa capace di scompigliare radicalmente questo bipolarismo. Se così non e’, almeno nel breve periodo,ne consegue che bisogna lavorare per mettere all’angolo le forze più radicali ed estreme del sistema- la Lega e l’Idv- in modo da avere un bipolarismo meno condizionato dalle estreme e dove la competizione si sposti sul centro del sistema politico. Tale auspicabile condizione vedrebbe presumibilmente i cattolici più capaci di incidere sulle scelte , di condizionare i rispettivi schieramenti e di promuovere una nuova classe politica.
La questione dell’insignificanza ha radici non tanto politiche ma ecclesiali. Ovvero il diffondersi di un cristianesimo self-service o il ricupero di valori cristiani in chiave meramente difensiva e identitaria, hanno indebolito il legame profondo che vi è stato nel nostro Paese tra appartenenza di fede e impegno in politica. Non invoco certo un ritorno indietro, bensì il superamento di una schizofrenia determinata dalla separazione intraecclesiale e politica tra coloro che vivono l’esperienza politica come guidata unicamente da valori di carattere sociale (la pace, la solidarietà, ecc) e coloro che la legano esclusivamente alla questione antropologica (vita , temi etici,ecc.). Solo se, come peraltro ci indica chiaramente la Caritas in veritate, si andra’ oltre questa divaricazione, anche la presenza politica dei credenti potrà meglio esprimere, in modo del tutto laico, il legame essenziale con i valori della fede.
Parliamo un po’ del PD. Lei, qualche tempo fa, scriveva che “Il Pd nasce come formazione plurale in cui trova piena cittadinanza il cattolicesimo sociale e popolare come cultura fondante del partito. Questo rimescolamento di identità diverse costituisce la vera scommessa del Pd per crescere e per non essere soltanto una forza socialdemocratica in cui le altre tradizioni riformiste rimangono schiacciate”. Secondo lei questo rimescolamento c’è stato, oppure è una scommessa persa?
E’ una scommessa che ha forti probabilità di essere persa. C’è stata una evidente sottovalutazione del peso delle identità, delle radici. Direi di più. Una parte rilevante della cultura di sinistra ha totalmente ignorato la critica radicale al relativismo presente in tutti i più recenti documenti della dottrina sociale della Chiesa e dei pronunciamenti del Pontefice. Non ci si è accorti che il diffondersi di un individualismo radicale e una assolutizzazione della cultura dei diritti portano alla scomparsa di qualsiasi legame sociale e alla estinzione di una cultura solidarista , tratti che dovrebbero connotare una forza come il PD. L’aggrapparsi a temi tipici del mondo dei Radicali facendoli assurgere a nuova bandiera della modernità, ci porterà ad un soluzione esiziale. E’ come se la cultura della sinistra, orfana di un’ideologia forte , avesse trovato lì una stampella. Così laicismo, radicalismo e l’invocazione ogni piè sospinto di diritti individuali assoluti- si pensi al dilemma fra diritto alla vita e libertà individuale- non potranno che suscitare un’identità politico-culturale incompatibile con chi ha le sue radici nel cattolicesimo sociale e popolare. In questo ultimo anno tale questione è stata un po’ sopita e rinviata, ma il nodo non può non essere sciolto. Credo che nella recente enciclica di Benedetto XVI, vi sia una fonte d’ ispirazione che potrebbe consentire di trovare i fondamenti di una comune cultura: un singolare equilibrio tra diritti della persone e necessità di legami sociali senza i quali si rischia di compromettere il futuro di un Paese o di una società.
Torniamo alla situazione di quello che una volta si chiamava “mondo cattolico”. Gianfranco Brunelli, editorialista della prestigiosa rivista Il Regno di Bologna, scriveva circa un anno fa queste parole assai impietose : “Sconfitti i cattolici democratici e smarrita la possibilità della linea clerico-moderata, rimane ben poco del cattolicesimo politico italiano. Quello che prevale è la linea concordataria”. Linea “neo concordataria” gestita dalla Segreteria di Stato, o comunque dalla gerarchia. Scusi la provocazione: come si fa ad auspicare un rinnovato impegno dei cattolici in politica e poi mettere i paletti al protagonismo laicale? Ma esiste davvero questa nuova classe dirigente politica cattolica? Ovvero esiste una classe dirigente capace di parlare all’intero Paese?
C’è stata un’eccessiva prudenza della Chiesa nel comprendere che il solo impegno volontario e nel sociale potesse bastare, sguarnendo così il campo decisivo della politica. Ma le parole del Papa, nel settembre 2008 al santuario della Madonna di Bonaria, hanno segnato una svolta: serve “una nuova generazione di laici cristiani impegnati capaci di creare con coerenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”. Cosa è accaduto dopo queste parole così chiare e impegnative? Non direi molto, quasi che la chiesa nella sua dimensione popolare e parrocchiale fosse prigioniera di una certa paura della politica. Ovvero, per il timore di importare dentro la comunità cristiana le divisioni della politica, la si tiene fuori dalla porta, lasciando i singoli fedeli laici privi di orientamenti valoriali incisivi anche per le scelte di voto e tenendo ben distanti dalle porte della chiesa coloro che assumono responsabilità politiche. Questo timore ha bloccato anche la capacità di elaborazione politica; perché non basta più solo invocare i sacri principi del cattolicesimo democratico. Bisogna misurarsi con le questioni nuove -dalla crisi demografia al fenomeno migratorio; dall’espandersi della globalizzazione all’irruzione della scienza nel sacrario della vita- per trovare risposte politicamente convincenti, cioè capaci di interpretare l’interesse generale di un popolo e di una Nazione. Anche le stesse Settimane sociali, recentemente celebrate a Reggio Calabria, pur avendo segnato una novità non trascurabile nella preparazione, risultano essere un’occasione persa o di scarso rilevo per il futuro. Imprigionate in una formula ormai datata,non sono riuscite a dare uno sbocco a quel vitalismo sociale e culturale che pure avevano suscitato e interpretato. Il presunto interventismo della Segreteria di Stato non va confuso con la questione precedentemente enunciata: la chiesa, oltreché popolo di Dio , è anche istituzione che si confronta con le istituzioni del Paese. E se è vero che i rapporti tra chiesa e stato conoscono una stagione duratura di sostanziale collaborazione,manca però nelle forze politiche, e anche nel Pd, una “politica ecclesiastica”. Non certo nel senso di piegarsi o adeguarsi ai voleri della Chiesa, bensì di non ignorare e semmai valorizzare, anche con l’azione politica, quello straordinario patrimonio di presenze , opere sociali ,educative e di carità che sono parte integrante di ciò che è il tessuto connettivo della nostra Italia. Il lavoro che sta facendo l’Istituto Sturzo ,sotto la guida del prof. Mauro Magatti ,per cercare di rintracciare quella densità sociale tipica del nostro Paese, forse potrebbe diventare un utile riferimento anche per dei credenti che vogliono promuovere un’azione politica non segnata da sudditanze ecclesiastiche ma neppure ignara della storia e delle istituzioni che il cattolicesimo ha generato nel corso dei 150 anni della unità della nostra Nazione.
Alla ripresa dell’attività politica, in un mese che sarà decisivo per la legislatura, i cattolici del PD saranno sotto l’offensiva di un governo che , per sopravvivere, metterà, “machiavellicamente”, al centro della politica la questione etica del “fine vita”. Come pensate di affrontare questo?
Non vedo cosa vi sia di “machiavellico” nel portare in Aula alla Camera il provvedimento sul fine vita: la commissione Sanità e Affari sociali ne ha concluso l’esame ormai da sei mesi e dunque non c’è alcuna buona ragione per non far giungere a conclusione un provvedimento che è stato già per tanto tempo in stand-by. Semmai bisognerà capire se i cattolici del pd ,che hanno detto un chiaro no all’eutanasia ma anche all’accanimento terapeutico, sapranno trovare il modo per migliorare questa legge che risente di un impianto eccessivamente rigido nel normare situazioni difficilmente regolabili per via legislativa. Vale dire che, nell’assoluta chiarezza dei principi, ci può essere lo spazio per una normativa più efficace e maggiormente centrata sull’alleanza medico,famiglia e paziente. Se invece la discussione diventerà semplicemente un altro atto del regolamento di conti tra Fini e Berlusconi, meglio lasciarla ancora dormire nel cassetto.
Lei è stato Presidente delle Acli, una associazione in prima linea sul fronte del lavoro. Non le sembra che stiamo vivendo, in Italia, un periodo buio per la cultura del lavoro?
Più che sulla cultura del lavoro, ci sono pesanti ombre sul futuro dei nostri giovani. Solo l’altra settimana l’Istat ci ha detto che un giovane su tre è senza lavoro e questo è il segno più pesante del declino del nostro Paese. Una parte rilevante di un’intera generazione è condannata a rimanere fuori dal mercato del lavoro , ancora peggio, a restare tra color che stan sospesi. Sempre l’Istat ci dice che sono circa due milioni i giovani che né studiano né lavorano ,in attesa di un futuro che non lascia molte speranze. Molto del dibattito si concentra giustamente sulla questione Fiat e sicuramente anche lì è in ballo parte del futuro dell’industria del nostro Paese. Ma il legislatore non può più consentire che la “bolletta della flessibilità”venga quasi interamente pagata dai giovani in termini di minor salario, più precarietà e pensioni future piuttosto misere. Io stesso ho presentato alla Camera un disegno di legge ispirato dal prof. Tito Boeri per introdurre nel nostro ordinamento il “contratto unico d’impiego” per i giovani. Un tentativo di sconfiggere la precarietà , di penalizzare le imprese che abusano dei contratti flessibili e di offrire un percorso di stabilizzazione con garanzie crescenti nel tempo. Più in generale, c’è un ritardo gigantesco delle forze che dicono di voler promuovere il lavoro, nel trovare e sperimentare strumenti nuovi di tutela per quella fetta ormai quasi maggioritaria delle forze di lavoro che ha protezioni scarse o del tutto inadeguate. Il mondo si è fatto più competitivo e nessuno ci aspetta. Possiamo solo investire sulle giovani generazioni , sulla scuola e sulla ricerca come via per non arrenderci al declino. Ma la politica del governo sembra andare in direzione opposta. Così i giovani più brillanti se ne vanno e gli altri riducono sempre di più il raggio delle loro aspettative. Su questo punto servirebbe un ‘apposita sessione dei lavori parlamentari con la possibilità di approvare provvedimenti anche in forma bipartisan. Un esempio: finalizzare i maggiori contributi versati da coloro che , pur essendo già in pensione di anzianità continuano a lavorare, ad un fondo da destinare ai giovani che invece si trovano ad avere regimi contributivi molto sfavorevoli. Infine è ormai matura una stagione per discutere di una partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle imprese; se si vuole che le aziende restino in Italia, occorre una singolare alleanza tra lavoratori e imprenditori che consenta a tutti di partecipare responsabilmente al destino delle aziende, a fare i sacrifici quando è necessario ma anche a godere degli utili quando arrivano i risultati.
Tornando, infine, alle ragioni profonde per un cattolico d’impegnarsi in politica. Qual è la parola chiave che sintetizza tutte le altre?
Lo posso dire riprendendo le parole del card. Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente dei vescovi di gennaio; parole nelle quali mi ritrovo pienamente e che spero diventino un indirizzo impegnativo per tutti i cattolici italiani. “Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una nuova generazione di italiani e di cattolici, che pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentano la cosa pubblica come importante e alta,in quanto capace si segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri ,dei loro progetti, dei loro giorni; italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico. So che per riuscire in una simile impresa ci vuole la Grazia abbondante di Dio,ma anche che si accetti di lasciarsi da essa investire e lavorare”.
Angelicamente Anarchico
Intervista a Don Andrea Gallo
Mi accoglie nel suo studio, che è l’archivio parrocchiale, nella Chiesa di San Benedetto di fronte al Porto di Genova. Un luogo molto amato da Don Gallo e, da un altro anarchico nello spirito, Fabrizio de André. Certe atmosfere del posto, infatti, rievocano alcune canzoni del grande Faber. Ecco perché lui è “Angelicamente Anarchico”. Il che vuol dire esprimere un atteggiamento interiore, profondo, di libertà. Così per circa un’ora mi sono gustato la saggezza evangelica, e umana, di Don Andrea Gallo.
Don Andrea parliamo un pò di te: ti definisci come un “prete da marciapiede” , amico e fratello della gente che vive ai margini della società. Sono quarant’anni che fai questa vita e non molli, da dove ti viene questa carica?
“Prete da marciapiede” perché questa è la mia storia, è dove ho imparato la vita. Lo diceva pure Don Lorenzo Milani: “Io a questi figli di operai e contadini ho insegnato a leggere e a scrivere, a far di conto. Loro mi hanno insegnato la vita”. Il mio marciapiede è la vita. Così quando mi chiedono: “Don Gallo in quale Università ti sei laureato?” Rispondo: “La strada è stata la mia università”. Quindi sono quarant’anni che sono qui nella Chiesa di San Benedetto. La mia carica? Questa viene perché sento l’appartenenza alla famiglia umana, la laicità. Una volta ho chiesto ad un teologo: “mi vuoi dire se i non credenti, gli agnostici, quelli di altre religioni sono figli di Dio secondo il dogma di Santa romana Chiesa, o no? Lui risponde: si!”. Quindi la carica è l’appartenenza all’umano, alla famiglia umana. I teologi lo dicono: “gratia supponit natura!”. Siamo figli di Dio tutti.
La tua partecipazione alla trasmissione di Fazio e Saviano ha suscitato critiche nell’opinione pubblica ufficiale cattolica. Come ti sei sentito a leggere certe reazioni ?
Tu pensa l’Avvenire, il mio quotidiano cattolico, che scrive: “si trova sempre un prete vanitoso disposto a fare da scendiletto”. Ora dico se un giornale cattolico deve scrivere così, non citando il nome. Quindi questo non mi ha manco sfiorato. E’, invece, una amarezza per chi mi è amico e mi conosce, ma per me no. Perché quelli li conosco, questo è clericalismo,loro non sanno cos’è la mitezza di Gesù, è arroganza, è volere imporre a tutti i costi i principi evangelici e così facendo li annullano completamente perché non sono corrispondenti a quello che dice Gesù. Per questo mi sento di dire:io continuo. Quante volte mi sento dire: “tu ormai in questa Chiesa sei troppo stretto, ti dò una villetta, ti ritiri, vai con qualche ragazzo se vuoi continuare a seguire le comunità”. E io: “ma io nella Chiesa Cattolica sono a casa mia, vuoi che me ne vada di casa?”. Ancora, perché continuo? Perché l’appartenenza al popolo di Dio, alla Chiesa Cattolica me l’han trasmessa i miei vecchi, la mia famiglia povera. L’essenzialità del Vangelo e l’appartenenza alla Chiesa anche con la sua struttura. Quante volte ho detto ai vescovi: “la correzione fraterna nella nostra Chiesa addirittura risale alle prime comunità cristiane, quindi Eminenza Lei non faccia tanti discorsi dia degli ordini ,perché conosco anche il Codice di Diritto Canonico e non mi interessa neppure che mi dica le motivazioni, io almeno per un anno obbedisco” . A Siri, che era il mio primo cardinale, ho detto: “Eminenza se lei mi dice che Don Gallo deve uscire con la pentola in testa, io esco con la pentola in testa, ma il suo ordine deve essere coram ecclesia, coram populo”.
Sempre per parlare della trasmissione “Vieni via con me” i “movimenti pro life” avevano reclamato di poter partecipare per bilanciare la presenza di Peppino Englaro e di Mina Welby. Confesso che ho trovato esagerata la reazione di certi opinionisti. Il risultato è stato un manicheismo insopportabile. Qual è il tuo pensiero?
La trasmissione potrà essere criticata, approvata ma non era una trasmissione pro-morte, e allora dovevano venire quelli pro-vita. Allora potrei dire che a questo punto, potete criticare, potete lamentare, ma lì c’è un inno alla vita. Ancora una volta, vedi, è una difesa del proprio potere. Ormai, secondo me, non ci saranno più scontri di civiltà, di religione, ci sono gli scontri contro gli enigmi della vita , e uno degli enigmi è la morte. Enigma vuol dire che non si capisce mai fino in fondo. Il male, la sofferenza, la sessualità. Vedi tutte le crociate ma il messaggio evangelico è proposta e non è imposizione, quindi senza arroganza e senza intolleranza. Partendo proprio dalla dottrina della Chiesa, di cui tutti sono figli di Dio, dobbiamo riconoscere che qualunque persona, donna, uomo ha il suo ethos e soprattutto dobbiamo ringraziare il Concilio Vaticano II che dopo secoli è il primo Concilio che difende i diritti di ciascuna creatura umana, dove finalmente è assodato da nostra Santa Madre Chiesa il primato della coscienza personale. Pio IX addirittura alla fine dell’800 dice che chi sostiene il primato della coscienza è scomunicato immediatamente. Ma come facevano ad insegnare il Padre Nostro? Questo rapporto personale, Babbo, Papà! Quindi chi dice il contrario è eretico. E’ chiaro, me l’ha scritto un Cardinale: è vero quello che vai dicendo che la coscienza personale è dottrina certa nella nostra Santa Madre Chiesa tuttavia, caro figliolo, una coscienza si può dire retta se fa riferimento alla verità. A quell’eminentissimo ho detto: finalmente siamo in sintonia, perché Eminenza – è solo Gesù che dice che io sono la via, la verità – non la cerchiamo insieme? Non mi ha più risposto.
Parliamo della tua amata Chiesa. Ripeti spesso che il “Tempio può crollare”. In che senso Don Andrea?
Quando io dico il “tempio può crollare” è vero. Anzi sta crollando. A mio avviso la Chiesa è sede vacante. Noi crediamo ai vescovi, i successori degli apostoli, crediamo al Vescovo di Roma, mi piace dire come gli orientali del secolo X, primus inter pares. Nel Vangelo “tu sei Pietro, ama, pasci i miei agnelli”. Abbiamo uno scisma ancora più terrificante del secolo X. Quindi direi che il crollo è già in atto e non è mia l’espressione, lo dice da decenni Arturo Paoli, grande scrittore di spiritualità e testimone . La traccia che il Concilio dava di uscire dalla piramide verticale era creare la chiesa circolare: al centro Gesù, il popolo di Dio. E allora ecco la Lumen Gentium, ecco il popolo di Dio in cammino dove c’è l’ordine degli episcopi, dei presbiteri e dei diaconi con mediatore Gesù. Oggi chi governa? Le lobbies e in primis l’Opus Dei, è incredibile che addirittura si definiscono l’Opera di Dio. Lo Ior, Istituto per le opere religiose, la Compagnia delle Opere, di questa spiritualità di don Giussani, anticomunismo viscerale, una interpretazione gravissima del principio di sussidiaretà, S. Egidio, le nunziature Che cos’è tutto questo? Lo dirò con una battuta: un Cardinale per il mio cammino sul marciapiede, dove s’incontrano gli ultimi, mi richiamava alla prudenza al che io gli posi una domanda sincera: “Eminenza come si comporterebbe Gesù? E lui era molto seccato mi rispose: “ma se la metti su questo piano!” Su che piano la devo mettere? La mia non è una contestazione alla Chiesa ma un dono d’amore, la mia soprattutto non è mormorazione, glielo dico coram populo. Vorrei ribadire a questa domanda dei concetti fondamentali: Ecclesia, parlo della Chiesa Cattolica nel rispetto di tutte le altre Chiese, è sempre gloriosa. Pensa a quanti testimoni, soprattutto anonimi, martiri anche. Finché ci sarà un povero ci sarà sempre un testimone. Siate chicco di grano, cioè il cristiano per testimoniare la verità accetta il martirio. Ecclesia semper reformanda, anche in campo pedagogico deve trovare un nuovo linguaggio antropologico. Quindi una ,proposta nel rispetto di tutti auspico con il Cardinale Martini un Concilio Vaticano III con pochi temi: io metterei quello del linguaggio, un linguaggio nuovo.
Sei stato amico fraterno di Fabrizio De André. Tra “anarchici” v’intendevate bene: lui a cantare le storie degli emarginati e tu a operare per la solidarietà nei loro confronti. Perché parli dell’opera del grande Faber come del “Quinto Vangelo”?
Si quella del “Quinto Vangelo” è stata una risposta che ho dato a una domanda che mi fece, scherzando, il mio Cardinale su quanti sono i Vangeli canonici. Li sai? Risposi: quattro, ma Eminenza io ne ho un quinto. E lui: e lo so i Vangeli apocrifi. Ma quali apocrifi, la strada! Il quinto Vangelo secondo De André. Eminenza non le sembra che la strada in direzione “ostinata e contraria” sia la sintesi del cammino del cristiano? De André parla all’uomo e sveglia il dubbio che Dio esista, questo è un Vangelo, una buona notizia. Tutta l’opera di De André la sua poesia, la sua musica, il suo canto viaggia su due binari: il primo è l’ansia per la giustizia sociale, lui educato dai borghesi. Il secondo è che un nuovo mondo è possibile. Allora che città vogliamo? La polis greca che esclude o la Civitas Dei di Sant’Agostino? Sant’Agostino dice che la “civitas è semper augescens”. Ma non militarmente. Allora ecco la conversione. C’è un documento dell’81 della Conferenza Episcopale Italiana, “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese” In questo documento si afferma che bisogna ripartire dagli ultimi. I Figli di Abramo hanno avuto il compito di abolire gli idoli: il potere, il denaro. “Non nominare il nome di Dio invano, sono Io l’unico Dio”. Allora ecco che si riscoprono i valori della tolleranza, dell’accoglienza, della condivisione, della partecipazione. Quindi il Fabrizio ha questo senso, che non traccia una strada, ma dice a tutti che hanno un dono, che ciascuno può trovare la propria emancipazione, il proprio riscatto. Come avviene? Ripartendo dagli ultimi. Ecco qui il mio camminare sul marciapiede. Che cos’è, quindi, Fabrizio se non un cristiano?
L’ultimo rapporto Censis parla di una società italiana “appiattita” e senza “desiderio”. Insomma una società spenta. Da dove ripartire, secondo te, per “rinascere” come Paese?
Siamo in caduta. Non lo dico solo io. Come ogni anno al Monumentale di Milano l’Arcivescovo celebra la messa per i caduti, quest’anno c’era un suo delegato. Il quale ha parlato di “eutanasia della democrazia”, che siamo tutti responsabili: singoli, istituzioni, tutti. Ora noi abbiamo una bussola: che è la nostra Costituzione Repubblicana, non c’è altro, che oltretutto è una conquista. La Costituzione non è solo riferimento alla Resistenza ma anche, come ricorda Dossetti, alla seconda guerra mondiale. La sintesi della Costituzione è questa: l’Italia è una Repubblica, Res pubblica, casa di tutti e non di pochi, Democratica, deve nascere dalla partecipazione dal basso, Laica, dove ci si rispetta, infine Antifascista. Questo non è un optional. Il fascismo è l’empietà. Quindi la bussola l’abbiamo, si tratta di prendere coscienza e di riscoprire quelli che sono i valori della democrazia. E’ fatica quotidiana che però porta alla letizia, al gusto della vita.