“Esiste ancora la ‘classe operaia’? La ‘lotta di classe’ si è conclusa con il Novecento? Non c’è, forse, una risposta univoca a queste domande: quel che è certo, però, è che in Italia gli operai esistono ancora”.
Con questi interrogativi inizia il bel libro di Antonio Sciotto, bravo giornalista del Manifesto, “Sempre più blu. Operai nell’Italia della grande crisi.” (Ed. Laterza, 2011, pagg. 145, € 12,00).
Un libro prezioso, tanto che qualcuno lo ha paragonato alla famosa inchiesta di Gad Lerner (“Operai”, recentemente riproposto dalla Feltrinelli) sulla vita degli operai Fiat di Mirafiori. Allora, eravamo alla fine degli anni Ottanta, la classe operaia incominciava il suo declino, dopo la grande sconfitta sindacale del 1980, ma era ancora la classe “generale” quella su cui tutta la società faceva riferimento per “misurare” il grado di giustizia raggiunto da un Paese.
Oggi, invece, esistono i “post-operai”, come li ha definiti Paolo Griseri sul Venerdì di Repubblica, quelli che vivono dopo le ideologie, “gli operai che non vanno di moda” (P. Griseri).
Operai dimenticati anche dalla Sinistra.
Così ci è voluto il drammatico rogo della ThyssenKrupp (dicembre 2007) per farci ricordare della dura realtà operaia del nostro Paese (le cui vittime, sette operai bruciati, hanno ottenuto giustizia con la recentissima, e giustissima, sentenza di condanna per omicidio, nei confronti dei dirigenti Thyssen , pronunciata dal Tribunale di Torino).
Così il libro di Sciotto ci aiuta a conoscere la geografia della sofferenza, della solitudine operaia in questa Italia della grande crisi. Un viaggio che lo ha portato dal Nord al Sud Italia, passando per la Sardegna.
Esce fuori un panorama attraversato da nuove forme di lotte:”tanti operai scelgono di rendersi visibili ai media inventando forme originali di protesta, affiancando alla piazza o al blocco delle strade, l’occupazione di tetti e monumenti. C’è chi è salito sulla porta antica della sua cittadina, chi su una torre medievale, e altri ancora su una ‘fiaccola’, la ciminiera della fabbrica, alta centocinquanta metri” ed altri che “occupano” un isola. Così incontriamo i casi degli operai della Innse di Milano (quelli rimasti in cima al carroponte contro la dismissione della loro fabbrica), quelli della Fiat di Melfi e degli operai della Vinylis di Porto Torres (un vero e proprio caso mediatico con l ‘ utilizzo anche di Internet) auto reclusi sull’Isola dell’Asinara, e diversi altri. Senza dimenticare Termini Imerese, Pomigliano e, naturalmente, Mirafiori.
Così oggi gli operai sono diventati un “caso” mediatico, perfino qualcuno è diventato un “divo” del circo mediatico : cioè si parla di loro solo quando si crea un caso. “Che si parli delle loro vertenze – osserva Sciotto – non vuol dire affatto che esse vengano poi risolte” (ed è il caso ad esempio della Vinylis di Porto Torres).
Il libro ci fa conoscere anche la grande solitudine delle tute blu: i diversi casi di suicidi avvenuti nel Nord-Est del Paese (questi episodi hanno investito anche piccoli imprenditori). Così lasciati soli, segno di un grande scollamento collettivo, qualcuno di loro tenta una via di fuga nella droga (la cocaina in particolare).
Poi c’è la vita quotidiana delle donne operaie e delle famiglie. Carmen cassaintegrata di Pomigliano afferma: “Altro che terza settimana, io finisco i soldi già la prima. Con 920 euro al mese devo pagare un affitto di 540”. E via di questo passo.
Così va avanti l’economia di sopravvivenza.
Così, per finire, alcune considerazioni. Molti davano per scomparso “Cipputi”. Invece il libro, ci ha dimostrato quanto il lavoro, quello duro, sia ancora la misura profonda per la giustizia sociale di un Paese. E quanto bisogno di un grande sindacato unitario c’è in questa Italia ubriacata dal niente della politica.
Condividi su Facebook