Il sindacato dopo Mirafiori. Intervista a Tiziano Treu

Divampa la polemica nel mondo sindacale, ed anche politico, sull’accordo siglato a Torino su Mirafiori. Sulla prospettive future per le relazioni industriali e, quindi, del Sindacato Confederale ne parliamo con  il senatore Tiziano Treu, già Ministro del Lavoro nel governo Dini e Ministro dei Trasporti nel governo Prodi, attuale Vice-Presidente della Commissione Lavoro del Senato.

Senatore Treu siamo in presenza, dopo Pomigliano, alla seconda svolta, ad opera dell’Amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne , nelle Relazioni Industriali del nostro Paese. Così  l’intesa per  Mirafiori, siglata da Fim, Uilm e da altre sigle sindacali con l’esclusione della Fiom, ha suscitato grande polemica. Lei ha definito l’accordo una “bomba atomica”, perché?

No, io ho scritto che c’era il rischio di una “bomba atomica”, è stato riportato male. Dico che la sfida di Marchionne è una sfida inevitabile e che bisogna affrontare. Sto guardando adesso in giro per il mondo e sono sfide simili, cioè bisogna che le relazioni industriali siano utili alla competitività e quindi devono cambiare. Però c’è modo e modo di farlo, quindi è stato giusto cogliere questa sfida, però  io credo che questa sfida si possa tenere dentro il quadro dei contratti nazionali. Per questo dicevo che se si il rompe il quadro dei contratti nazionali allora c’è il rischio di essere una “una bomba atomica”. Infatti questo è un punto che nell’accordo di Mirafiori è rimasto aperto, cioè le parti si incontreranno di nuovo il 24 di gennaio per definire come questa nuova compagnia , la Newco, quest’accordo si può inserire in un contratto dell’auto nazionale. Questa è la cosa che si dovrebbe fare, invece se restasse un contratto aziendale solo allora sarebbe una rottura grave del sistema.

Il sociologo Luciano Gallino, in un articolo su Repubblica, ha scritto che Marchionne, con questo accordo, vuole portare l’America a Torino. Quindi non solo le auto ma anche le relazioni industriali. E’ d’accordo con Gallino?

Guardi come ho detto non è così. Io sto guardando decine e decine d’accordi in Germania non in America. L’America non ha mai avuto un contratto nazionale,  ha sempre avuto contratti solo aziendali e questo è un modello che non va bene perché è antiegualitario, rompe il tessuto sociale, mentre la Germania ha avuto, come noi, un “sistema” nazionale e poi anche contratti aziendali. Anche in Germania c’è  una spinta a fare delle deroghe al contratto nazionale che sono necessarie per stare sul mercato e  per mantenere l’occupazione. Quindi io credo che bisogna guardare alla realtà anche in paesi vicini, però, insisto,  si possono fare anche degli accordi in deroga ma sempre in un quadro nazionale che stabilirà delle regole comuni a tutti ma permettendo delle soluzioni specifiche per certe aziende. Per esempio, nel caso dell’automobile, in Germania si fanno turni diversi, pause diverse, una organizzazione del lavoro diverso. Questa è la particolarità. Sui salari non c’è stata nessuna riduzione.

Quindi, allora, non è d’accordo con Gallino?

No, è un modo dire esagerato. O meglio, io temo che possa diventare una cosa completamente slegata dal sistema nazionale allora questo sì che sarebbe americano. Invece, mi auguro, come si è fatto come la Cisl e la Uil dicono: si mantiene un quadro nazionale però si permettono delle deroghe specifiche sull’organizzazione del lavoro, come, ripeto, avviene in un sistema solido come quello tedesco.

C’è stato un “primo Marchionne” sembrava attento agli investimenti tecnologici e alla formazione e alla motivazione del personale. Ora il “secondo” Marchionne parla il linguaggio della globalizzazione spinta:  “Investimenti in cambio della governabilità della fabbrica”. Insomma una lettura dei processi economici mette in conflitto tra loro globalizzazione e diritti del lavoro. Come uscirne fuori?

Solo, appunto se si facciano da tutte e due le parti  dei cambiamenti. Marchionne deve dimostrare di essere veramente innovativo. Perché uno dei guai della Fiat è che ha pochi modelli nuovi, quindi deve dimostrare lui di essere competitivo, perché la competitività non è solo del lavoro ma anche dell’organizzazione, del prodotto. Secondo deve essere più partecipativo, non autoritario.  Molte di queste cose, che sono difficili, si fanno con il consenso. Anche in Italia, come in Germania, ci sono molte Aziende che hanno fatto cose innovative e che competono sui mercati internazionali senza rompere i rapporti perfino con la Cgil, vedi il caso di Luxottica. Innovative ma partecipate. Da parte del Sindacato che si fronteggi questa sfida e si accettino quelle condizioni organizzative che sono essenziali per competere e quindi per salvare i posti di lavoro. Le due cose si possono tenere insieme, naturalmente non è facile. La stessa Fiom di Torino era disponibile perché ha capito che se non si accettano queste innovazioni, da tutte e due le parti, in modo anche partecipato si perde la città, una città come Torino, senza Mirafiori sarebbe tragica.

Sulle ultime vicende sindacali  quello che emerge, purtroppo, è  un certo bipolarismo sociale. Il governo italiano cerca la divisione sindacale per schiacciare a sinistra la Cgil, ed il Pd, per attrarre a sè Cisl e Uil. Così facendo si fa un danno gravissimo al movimento sindacale italiano. Lei non vede questo pericolo?

Anche qui il governo dovrebbe svolgere un ruolo di mediazione positiva, perché la sfida è difficile. bisogna tenere insieme le ragioni della produttività, dei lavoratori e del consenso, in questa direzione il governo  dovrebbe adoperarsi come hanno fatto tanti ministri del lavoro in passato e dei Paesi vicini. Invece, questo governo, su Pomigliano è stato assente. Spesso fa un’opera che non aiuta o addirittura favorisce le divisioni, questo non va bene perché è un male per tutti. Se adesso noi continuiamo  ad affrontare questi problemi con il conflitto, con la Fiom che sta fuori, che fa male, lo ha detto anche Susanna Camusso, se non riusciamo a rimettere assieme i “pezzi” questo è un guaio per tutti.

Tornando all’accordo su Mirafiori e sulle prospettive del sindacato italiano. La Cgil mette in evidenza il problema dei diritti, la Cisl e la Uil di come non perdere l’investimento. E così si consuma la divisione. Certo poi le accuse reciproche tra leader sindacali non favorisce la “riconciliazione”. Da dove partire per trovare un minimo di unità?

Anzitutto l’unità, nel merito, la devono cercare le parti stesse, che si parlino, devono parlarsi, come altre volte, quando nel passato ci sono state divisioni poi si sono cercati i modi per superarle. Il governo non deve sostenere la divisione ma favorire delle mediazioni positive. Poi la cosa urgente, a proposito dei diritti, questo lo ripeto, occorre che ci siano delle regole sulla rappresentanza. Queste, purtroppo, non ci sono, generali, quelle che ci sono, sono superate. Perché la stessa norma dello Statuto dei Lavoratori dice che in Azienda hanno diritti solo quelli che firmano gli accordi. E questa è una norma vecchia che va cambiata perché in questo modo la Fiom se non firma gli accordi sta fuori. E questo non va bene perché, è chiaro che secondo me la Fiom sbaglia a non accettare la sfida, però i diritti per un sindacato come la Fiom, sicuramente rappresentativo, i diritti ci devono essere. Quindi bisogna riprendere in mano le regole, fare, anzitutto, magari un accordo tra le Confederazioni che ripristini una possibilità, una agibilità per tutti e poi, se necessario, fare una legge che confermi l’accordo. La stessa Susanna Camusso ha lanciato un appello, adesso, alla Marcegaglia per riprendere il tavolo delle regole, perché questo interessa tutti anche alla Confindustria,  perché una Confindustria con la Fiat che esce non è certo legittimata ,rischia di essere in crisi anche la rappresentanza degli imprenditori. Tanto è vero che gli imprenditori nella Confindustria non sono favorevoli, come ho detto anch’io, che ci sia una “bomba atomica” sono per mantenere il quadro.

Una battuta su Bonanni, come lo giudica?

Bonanni in generale ha vari atteggiamenti, ma in questo caso non credo che potesse fare diversamente perché, ripeto, la sfida andava colta. Naturalmente mi auguro che adesso anche lui contribuisca a rimettersi al tavolo delle trattative per fare le regole e non invece lasciare peggiorare la situazione.

L’Italia è un paese per giovani?

“(…) Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio. (…) Quello che puoi vedere è che tutto ha sempre meno valore in una società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. (…) Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, del merito e dei risultati (…) Dammi retta questo è un Paese che non ti merita”.

Ecco questi sono alcuni passaggi della “lettera aperta” al figlio scritta da Pier Luigi Celli, top manager di lungo corso (già direttore generale della Rai), apparsa su “Repubblica” l’anno scorso, proprio di questi tempi, che ha scatenato poi una vera e propria bufera sui media. Certo quelle parole di Celli sono dure e fanno male, non lasciano scampo agli illusionisti di ogni sorta. Ed a ben guardare anche gli avvenimenti recenti forse, in un certo modo, ne sono la conferma (in primis la fuga dei cervelli, un fenomeno triste per il nostro paese).

Ora, dopo un anno, Celli torna sull’argomento con questo libro, La generazione tradita (pagg. 144), uscito per i tipi della Mondadori. Un libro schietto, come è l’autore, dove non si risparmiamo critiche, ed autocritiche, alla classe dirigente italiana per non essere stata all’altezza delle sfide storiche a cui doveva rispondere. Una “classe” incapace di costruire futuro per esempio ad una domanda di una giovane laureata che cosa dovesse fare per uscire da un futuro di precarietà, L’illusionista per antonomasia (lasciamo indovinare chi è) gli risponde che deve sposare un ricco. Una risposta cinica, crudele, da irresponsabile).

Il libro denuncia, senza mezzi termini, una struttura sociale, quella della società italiana, in cui gli “adulti sono contro i giovani”. I termini della questione sono noti. Non passa anno che gli indicatori economici e sociali non fanno che confermare questo. Ecco alcuni dati: oggi, in Italia, un terzo della popolazione giovanile è senza lavoro, con un aumento del 4,9%. Le assunzioni a tempo indeterminato, in questo periodo, sono calate del 30%, e le assunzioni sono quasi tutte fatte con contratti temporanei: contratti a progetto, finte partite Iva, ecc. E’ la precarietà, scambiata per flessibilità, un lavoro sottopagato e senza garanzie. Con il risultato che il 90% dei posti di lavoro cancellati dalla crisi è lavoro a tempo determinato. Così il 60 % dei disoccupati in Italia ha oggi meno di 34 anni. Peggio. di così…

Questa è la “generazione tradita” cui questo Paese continua a negare un futuro. Ed è quella senza rappresentanza (dai partiti al sindacato passando per le imprese). L’analisi di Celli apre uno squarcio su questa amarissima realtà. All’autore non fa difetto la passione civile, ed anzi con il suo lavoro, è Direttore generale della Luiss, è a stretto contatto quotidiano con il mondo giovanile.

E dei giovani troppo spesso si parla a sproposito, con grande banalità. E il tanto sbandierato merito è diventato una ideologia stucchevole. “La logica del merito – scrive Celli – gode di un consenso persino imbarazzante, talmente generalizzato da divenire una sorta di giaculatoria stucchevole. Ne parlano i politici, che si guardano bene dall’applicarlo nella scelta di collaboratori e di futuri colleghi. Ne fa uso abbondante la logica parlata della pratica manageriale, salvo poi convenire che è forse più utile sulla base delle fedeltà esibite di quanto non serva puntare su competenza e affidabilità”.

Certo queste pagine sono amare. Lasciano un poco di sfiducia. Ma forse una delle vie da percorrere è certamente quella della ripresa del dialogo tra le generazioni.

Il compito per una società davvero “aperta” è quello di riannodare i fili del rapporto tra le generazioni. In particolare questo è il compito principale per gli adulti. “Tornare a parlare avendo ripreso l’abitudine ad ascoltare; fermarsi, guardare con occhi finalmente caldi e complici . Rianimare uno ‘spirito di simpatia, di finezza, di discernimento’ che rimetta in circolo una sensibilità generosa. Forse è questo l’unico modo per riconciliarsi con quanti non capiamo e non ci capiscono più”.

Intervista a Padre Alex Zanotelli

Da Korogocho a Napoli sulla frontiera dei poveri  proclamando il Dio della Vita”. Intervista a Padre Alex Zanotelli.

Padre Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, è stato per anni in Africa sulla frontiera dei più poveri della Terra. E’ stato direttore della rivista Nigrizia. Ora è da qualche anno a Napoli impegnato nel Rione Sanità.

Padre Alex, sei ritornato da qualche anno in Italia dopo l’importantissima esperienza vissuta in Kenia. Da Korogocho (una delle baraccopoli che circondano Nairobi) al rione Sanità a Napoli, qual è il filo rosso che tiene unite queste esperienze?

Penso che siano stati i poveri di Korogocho a rivelarmi la connessione. L’ultimo giorno che ho passato a Korogocho , il 17 aprile del 2002, mi hanno convocato per un momento di preghiera; è stato un momento bellissimo, durato tre ore, e alla fine mi hanno chiesto di inginocchiarmi in mezzo a loro e mi hanno imposto le mani sulla testa. Ad un certo punto un reverendo africano ha incominciato una lunghissima preghiera d’invocazione allo Spirito dicendo queste parole:”Papà dona a Padre Alex il tuo Spirito Santo, donaglielo con forza perché adesso possa tornare a convertire la sua tribù bianca”. Ora quello che lega le mie due esperienze è il fatto che io sono tornato per fare missione e convertire la mia “tribù bianca”. Cioè aiutare la mia “tribù bianca”, il popolo italiano, a capire che le decisioni che prende in campo politico, economico, finanziario ecc. hanno enormi ripercussioni sui poveri, cioè rendono la gente sempre più povera, sempre più schiacciata. E ho scelto di vivere qui. Ho scelto il Sud d’Italia perché è la zona più svantaggiata d’Italia, ho scelto Napoli perché è la città che ha più pasticci in Italia oggi. Ed ora vivo al Rione Sanità. E sono presente su tematiche tipo i rifiuti. Così sono passato dalla discarica di Nairobi, che è a fianco di Korogocho, alle discariche della Campania. Ed è la stessa logica, in fondo, con cui stiamo lottando. Io credo, sono un credente nel Dio della vita che mi ha inviato ad annunciare la buona novella ai poveri, i poveri non avranno mai buone novelle se davvero la “tribù bianca” non si converte.

Come si sviluppa il tuo nuovo impegno missionario sulla frontiera napoletana?

Mi sento profondamente missionario qui sulla frontiera napoletana, prima di tutto il luogo che ho scelto: il Rione Sanità. Un Rione del centro di Napoli pieno di problemi. Sono presente sulla frontiera dei Rom, degli immigrati. E’ davvero drammatica la situazione di questa gente e lavoro con loro. Mi dedico a tutto quello che rappresenta il problema dei rifiuti. Qui, come stanno ammazzando il pianeta, qui stanno ammazzando i campani con la politica dei rifiuti tossici e dell’incenerimento, cioè producendo tumori ecc. In questo senso io sono presente come prete e come missionario. L’altra grande frontiera missionaria è quella dell’acqua. Perché se passa la privatizzazione dell’acqua avremo, domani, cento milioni di morti di sete. Quindi sono davvero frontiere missionarie partendo anche da Napoli.

Parlando della triste vicenda dei rifiuti a Napoli hai detto che “la menzogna diventa verità”, perché?

Perché la cosa gravissima è che i mezzi di comunicazione, i media, parlano di tutto ma non dicono la verità delle cose. E difatti quello che è passato in Italia che cosa è stato? Che è arrivato Mago Merlino, due anni fa, con la bacchetta magica ha risolto il problema dei rifiuti a Napoli. Non ha risolto assolutamente nulla, anzi li ha aggravati. Terzigno, la lotta che c’è adesso, ma anche su altri fronti come Giugliano, Chiaiano ecc. ho detto parlando alla popolazione: “Guardate che lo scopo vostro, non è soltanto la difesa del vostro territorio, ma il far scoppiare questo bubbone dei rifiuti di Napoli, questa menzogna che è stata detta al popolo italiano”. Io dico che ci stanno ammazzando prima di tutto con i rifiuti tossici, cioè per vent’anni la Campania è stata lo sversatoio nazionale dei rifiuti tossici. C’è stato un accordo tra mondo industriale del Nord e Camorra, la camorra ha fatto il lavoro sporco di seppellire i rifiuti tossici in Campania. I rifiuti tossici producono diossina e questa produce tumori e malformazioni. Seconda cosa: la menzogna è stata sui rifiuti ordinari. Cioè quello che ci è stato imposto con il decreto 90 di Berlusconi, ma non era meglio il centrosinistra forse son tutti uguali, la legge 123 del 2008 impone alla Campania dodici megadiscariche, quattro inceneritori. Se i quattro inceneritori verranno mai costruiti, uno solo è stato costruito ad Acerra, se mai verranno costruiti ed entreranno in funzione noi campani dovremmo importare i rifiuti da fuori (non ne consumiamo abbastanza) per fare funzionare quattro inceneritori, e questo ci è imposto con la forza dell’esercito. Gli inceneritori producono altrettanto diossina, producono tumori. In un disastro come quello campano, imporre questo alla Campania, già martirizzata per i rifiuti tossici, per me è criminale.

Dal tuo “osservatorio” come vedi la Chiesa e la società italiana? Non ti sembra che entrambe siano attraversate da una “stanchezza” che impedisce a loro di fare dei percorsi di cambiamento?

Uso le parole di un grande Vescovo dell’America Latina Mons. Ramazzini, che è vescovo in Guatemala, che quando è stato a Napoli è venuto a trovarci. A lui ho chiesto: “Cosa pensi di noi cristiani d’occidente?” e lui ha risposto tranquillamente: “ma mi sembra che la vostra vita sia una vita schizofrenica: in Chiesa dite determinate cose, fuori vivete in tutt’altra maniera”. Quello che io sto vivendo a livello di Chiesa italiana è che siamo una Chiesa schizofrenica, cioè diciamo determinate cose es. che crediamo nel Dio della vita e giu e giu…poi su tante cose stiamo zitti. Cioè c’è una incapacità di tradurre la fede in scelte concrete economiche, sociali, ecologiche che mi spaventa. Il problema che poi vedo che è gravissimo è che davvero in questo senso la Chiesa non sta dando quello che dovrebbe dare in questo paese. C’è la Chiesa chiamata ad essere coscienza critica e purtroppo mi sembra che in questo momento non lo sia.

Quando eri direttore di Nigrizia hai denunciato più volte il traffico del commercio delle armi e la gestione affaristica della cooperazione allo sviluppo. Oggi punti il dito contro la menzogna di “O sistema”. Da chi è composto questo “sistema”?

Io punto il dito davvero contro “O sistema”. “O sistema” è come la camorra è chiamata qui a Napoli, ma secondo me è la definizione che possiamo applicare al sistema mondiale, che è un sistema economico-finanziario, più finanziario che economico che permette a pochi di vivere da nababbi: massimo il 20% si pappa l’83% delle risorse di questo mondo. Praticamente quest’anno la Fao ci dice che abbiamo oltrepassato il miliardo di affamati, non era mai successo nella storia. Quindi la profonda ingiustizia che c’è in questo sistema: che pochi stanno consumando tutto e per difendere il nostro stile di vita, noi stiamo spendendo somme incredibili in armi. L’anno scorso i dati del Sipri dice che abbiamo speso 1540 miliardi di dollari nel solo 2009. Perché questo? Perché ci armiamo fino ai denti per difendere che cosa? Il nostro stile di vita. Il nostro stile di vita e le spese in armi stanno pesando incredibilmente sull’eco-sistema, a tal punto che molti scienziati ci dicono che la situazione è gravissima, molti ci danno una cinquantina di anni per cambiare altrimenti dopo sarà troppo tardi. Cioè se a questo mondo tutti vivessero come viviamo noi avremmo bisogno di due pianeti Terra come risorse e di altri due pianeti Terra come pattumiera per buttare i nostri rifiuti. Questo sistema è insostenibile proprio per lo sperpero di energia che pochi fanno a questo mondo, per le armi che costruiamo per difendere il nostro stile di vita del 20% del mondo, che sta pesando enormemente sul nostro sistema. Stiamo andando adesso a Cancun, una città immensa, dove si troveranno tutti i ministri del mondo, agli inizi di dicembre, per tentare di risolvere il dramma dei cambiamenti climatici. Stiamo vivendo un momento incredibile, ecco perché io parlo di “O sistema”, è “O sistema” che ammazza e uccide, ammazza i poveri, ammazza con le guerre e sta ammazzando il pianeta.

Per finire: una volta scrivendo della situazione assurda di sofferenza che i poveri di Korogocho patiscono, hai , affermato che “Dio è malato”. Cosa intendi con questa espressione?

Non è espressione mia, io l ’ho usata in alcune mie lettere citando un poeta peruviano. Questo autore racconta di un bambina talmente disastrata che dice che : “quando io sono nata forse Dio era malato”. E’ un po’ una poesia. Quando si vivono momenti di sofferenza incredibile come quelli che ho vissuto a Korogocho, davanti ai drammi della gente, quando mi trovo davanti a questi drammi che viviamo in chiave mondiale, ecco la domanda che mi viene: “Ma Dio dov’è?”, “Dove sei?”, cioè se Dio è un papà, è una mamma allora dov’è questo Dio. Ma perché non reagisce? E’ chiaro, questa è la domanda. Io ho dovuto anche tentare una risposta camminando con i poveri, ma non ho risposte da dare , ma penso che non è certamente il Dio che pensiamo noi, cioè non è il Dio che con la bacchetta magica ci risolve i problema. Ricordo che il Papa visitando Auschwitz ha chiesto: “Dio dov’è?”. Penso che il Papa, secondo me, avrebbe dovuto aggiungere “Chiesa dov’eri?” “uomini dove eravate?” cioè se questi disastri avvengono, non puntiamo il dito su Dio, Lui punta il dito su di noi, questi sono problemi nostri, ecco la risposta che tenterei di dare. Il grande miracolo dobbiamo farlo noi e Dio ha fiducia in noi.

Lo show di Gheddafi

Abbiamo assistito allo Show gheddafiano con duecento ragazze, “stipendiate” diciamo così, per partecipare alle “lezioni” (!?) del “colonnello” libico sulla religione del Profeta Maometto (“auspicando” che l’Islam diventi la religione dell’Europa). E “Papi”Gheddafi, così lo ha definito Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, le ha invitate tutte alla conversione all’Islam ed a recarsi in Libia per sposarsi, bontà sua, con gli uomini libici (è sottinteso che lì troveranno prosperità e felicità). Si prova un senso di tristezza a vedere un simile spettacolo di strumentalizzazione della bellezza femminile. Continua a leggere