La politica italiana vive ormai da mesi sulla frontiera di una conflittualità permanente. Tutto è centrato sui problemi giudiziari di Silvio Berlusconi. Come è dimostrato dall’approvazione della “legge sul processo breve” e le occasioni di conflitto continueranno ancora nei prossimi mesi. Così assistiamo ad un esodo della politica dai problemi dell’Italia. Come ci guardano all’estero? Come è giudicata la politica italiana in Europa? Ne abbiamo parlato con il professor Marc Lazar, docente di Storia nella prestigiosa facoltà di SciencesPo. (Scienze Politiche) a Parigi e ”visiting professor” alla Luiss di Roma. Continua a leggere
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“C’è un’Italia migliore” . Intervista a Nichi Vendola
Gli avvenimenti del Giappone e della Libia hanno, ciascuno a suo modo, certamente una influenza sulla politica italiana. Ne parliamo con Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Libertà.
Presidente Vendola, Il drammatico terremoto in Giappone ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, per via della Centrale di Fukushima danneggiatea dal sisma, la questione nucleare. Qual è la sua posizione?
Credo che la tragedia giapponese debba suscitare in tutto il mondo una vera, e approfondita pausa di riflessione. L’impressione è che tutti i paesi più grandi, più industrializzati vivano il trauma della catastrofe nucleare nella centrale giapponese, davvero come un punto di cesura rispetto al passato. Noi abbiamo visto la lobby nuclearista affidarsi a dei guru, diciamo così “scientifici”, che basavano la loro sicumera e la loro fede nuclearista sulla rievocazione del calcolo probabilistico; bene , in trentadue anni abbiamo avuto nel mondo tre incidenti rilevanti: Three Mile Island nel 1979 negli Usa, nel 1986 a Chernobyl , in Ucraina e oggi a FukuShima in Giappone. Siamo dinanzi ad un avventurismo pseudo scientifico figlio delle grandi lobbies economiche che si sono arricchite con il nucleare civile e militare (perché ricordo che il nucleare civile è imparentato al nucleare militare entrambi vivono di segreti , di militarizzazione del territorio e di omertà istituzionali) allora io penso che, mentre il mondo riflette sull’avventura nucleare, non è possibile che l’unico governo che dica “andiamo avanti” sia quello italiano con le parole veramente indecenti del Ministro, per così dire, dell’ambiente Stefania Prestigiacomo e con la svagatezza dei vertici dell’Enel che ci raccomanda di non lasciarsi prendere dall’emotività. Francamente se ci lasciassimo prendere dall’emotività avremmo reazioni, diciamo, ben più robuste di quelle dichiarazioni di rottura radicale su questo fronte. L’Italia non potrà mai accettare un ritorno al nucleare. Noi ci batteremo con ogni mezzo contro questa follia voluta da quella che oggi rischia di apparire soltanto una cricca criminale.
Ci sono altri avvenimenti importanti e drammatici: riguardano la sponda sud del Mediterraneo. Come giudica il comportamento dell’ Occidente nei confronti della attuale situazione in Libia?
Noi abbiamo usato la Libia, diciamo, come il nostro docile servitore per i lavori sporchi. Abbiamo affidato alla Libia il compito di costruire dei campi di trattenimento, diciamo degli “universi “concentrazionari in cui tenere rinchiusi migranti, talvolta la sorte di questi migranti la si giocava ai dadi nel deserto, abbiamo coccolato non solo il Rais di Tripoli ma i dittatori di tutto il Nord Africa perché ci faceva comodo questa modalità di esportazione della nostra economia e dei nostri commerci. E’ qui è cascata un po’ l’ipocrisia dell’Occidente, come casca l’asino, perché altrove dovevamo esportare la libertà con i bombardieri e qui abbiamo preferito altro genere di esportazioni non occupandoci della soppressione delle libertà fondamentali in tutti questi Paesi. Per fortuna una nuova generazione, quella che è cresciuta con Internet, è diventata consapevole dei propri diritti ed ha aperto un percorso rivoluzionario in tutto il Mediterraneo, purtroppo questo percorso meriterebbe dall’altra parte del Mediterraneo interlocutori credibili e maturi e non un’Europa esitante tremebonda e un’Italia scopertamente compromessa con gli affari di alcuni di questi dittatori.
Parliamo delle vicende di casa nostra. Secondo lei l’Italia è ancora sotto l’ipnosi berlusconiana?
L’Italia vive dentro un clima di censura insopportabile, ed è difficile far vivere la contesa politica quando c’è una specie di falsificazione delle cose che accadono, c’è una manipolazione delle verità, c’è una disinformazione di regime. Se posso fare un esempio le carte della procura di Milano sulla ‘ndrangheta in Lombardia, sulla ‘ndrangheta pesante che controlla il territorio con modalità assai simili alle modalità con cui controlla la Calabria, la n’drangheta che agisce in ospedali importanti come se fosse in Aspromonte o nella Locride, l’a ‘ndrangheta che non viene minimamente contrastata da un apparato di potere che finge di non vedere ciò che tutti possono vedere già da anni, costituisce un grande scandalo nazionale. Se un boss mafioso in un qualunque ospedale pugliese avesse potuto fare le proprie riunioni e scandire i propri ordini, credo che tutta la classe dirigente pugliese sarebbe stata portata presso la “Corte di Cassazione” del Tg1, delle trasmissioni televisive, e invece nulla, un silenzio e un’omertà istituzionale che impressiona. Ecco in questo clima è difficile, diciamo così, costruire una positiva interlocuzione con dei falsari. Siamo, quindi, dentro una fase in cui il berlusconismo che ha perso credibilità e consenso si muove come un animale ferito dando colpi di coda che stanno ferendo l’assetto democratico del Paese, speriamo che si possa riparare il danno, stanno uccidendo la cultura, la scuola pubblica, stanno uccidendo l’anima del Paese.
Cosa manca al Centrosinistra per diventare egemone nella società italiana?
Manca la volontà di fare una grande battaglia politico-culturale, di uscire fuori dai propri accampamenti, dalla gestione dei piccoli sistemi di potere. Il centrosinistra deve sentirsi sfidato dalla crisi che è soprattutto una crisi di prospettiva per le giovani generazioni.E piuttosto che inseguire l’alleato impossibile, quello che da un momento all’altro lascerà il campo berlusconiano e verrà a rafforzare il nostro campo, dovrebbe occuparsi dei soggetti sociali che hanno bisogno di essere rappresentati e che sono il blocco sociale del cambiamento: gli studenti, il lavoro dipendente, la piccola e media impresa, il mondo della cultura, il mondo delle donne. Sono questi i soggetti fondamentali della rivoluzione democratica di cui l’Italia ha bisogno.
Leggendo il suo Manifesto, “C’è un’Italia migliore”, onestamente non trovo molta distanza tra Lei e i valori del PD. Perché non la convince quel partito?
Quel partito talvolta non colpisce i suoi militanti e i suoi dirigenti. Il dibattito sulla natura incerta del PD è aperto dentro al PD. Personalmente il problema non è, diciamo, una condivisione sui temi politico-emozionali, siamo tutti quanti per l’accoglienza degli esseri umani, siamo tutti quanti per il diritto al lavoro, ecc. Il problema è di capire quali sono le politiche di lotta contro leggi che hanno rappresentato un regresso civile, sociale, sono quelle che io vorrei che il centrosinistra avesse nel proprio cantiere. Se il PD avesse questa agenda di propostae probabilmente saremmo nel PD, se siamo in Sinistra Ecologia e Libertà è perché vi è stata una deriva moderata del Partito Democratico.
In una recente intervista ha affermato che, per lei, Rosy Bindi potrebbe essere la candidata a premier per il Centrosinistra. E’ ancora di quell’idea?
Io dicevo, nella misura in cui il centrosinistra si riconosce nella denuncia di una crisi democratica, che è meritevole di essere affrontata da una coalizione democratica la più larga possibile, a quel punto io dico che non si discuta di una figura premiership legata alle virtù della tecnocrazia, perché se la crisi è democratica, non è tecnocratica, non c’è bisogno di un tecnocrate, ma c’è bisogno per una fase transitoria limitata ad alcune riforme come quella della legge elettorale, per il conflitto di interessi, di una figura fortemente caratterizzata in termini politici e democratici. Da quel punto di vista Rosy Bindi, in quella situazione, è stata la mia proposta. Non è incompatibile con il tema prioritario per dare un’anima al centrosinistra delle primarie.
Ultima domanda: A 150 anni dall’Unità possiamo ancora emozionarci per quell’evento?
Devo dire che abbiamo rispolverato il Risorgimento, l’avevamo per decenni messo sotto naftalina e oggi il Risorgimento torna come una questione della nostra attualità, perché abbiamo il sentimento diffuso di un processo di fuoriuscita dall’Unità del Paese, sentiamo la minaccia della cultura leghista, sentiamo l’avanzata di un federalismo che non è solidale, ma è la fotografia dell’egoismo sociale di una parte del Paese e sappiamo che i fenomeni di disgregazione nazionale possono essere molto più rapidi di quanto non si immagini e sono sempre alimentati dalle sottoculture del localismo e delle identità etnoterritoriali.
Siamo al finale del “Caimano”? Intervista ad Enrico Letta
politica italiana vive momenti di altissima tensione. Facciamo il “punto” della situazione con Enrico Letta, Vice segretario nazionale del PD.
Onorevole Letta, stiamo assistendo ad uno scontro istituzionale senza precedenti. Per molti osservatori siamo al finale del film “Il Caimano” di Nanni Moretti. È così?
R. Quando vidi il film pensai che fosse esagerato. Mi scuso con Moretti, perché la realtà supera la fantasia. Continua a leggere
“E’ ora di cambiare strada”. Intervista a Walter Veltroni
In un clima sempre più pesante, sotto molti punti di vista, il Paese s’interroga sulle sue prospettive. Ne parliamo con l’ On. Walter Veltroni. Continua a leggere
“Salviamo l’Italia”. Intervista allo storico Paul Ginsborg
L’Italia sta per celebrare i suoi 150 anni. L’anniversario dovrebbe essere l’occasione per un ripensamento sulla storia d’Italia e sul contributo italiano alla costruzione del mondo del XXI secolo.
Per parlare di questo abbiamo intervistato il Prof. Paul Ginsborg, docente di Storia dell’Europa contemporanea all’Università di Firenze. Paul Ginsborg ha dedicato a questi argomenti il suo ultimo libro, “Salviamo l’Italia”, pubblicato da Einaudi.
Professore l’anno prossimo festeggeremo i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ora nei primi decenni dell’Ottocento la domanda era, tra i nostri patrioti, “se si potesse fare l’Italia”, oggi, invece, la domanda è “si può salvare l’Italia”? Lei dà, nel suo ultimo libro, Salviamo l’Italia, una risposta affermativa. Perché?
Io cerco nel mio libro di esplorare gli elementi non predominanti nella storia d’Italia, di vedere cioè quanto sono presenti e quanto “incapsulano” anche della speranza di un’Italia migliore. Questo perché, spiego subito, la storia di questi 150 anni è fatta, certamente, di una storia, diciamo, ufficiale, quello che è in qualche modo è la storia nel senso maggioritario del termine. C’è, poi, anche una storia minore. Minore ma che è una costante nella storia italiana. Ecco Io sono molto interessato a queste espressioni di minoranze ma che sono, anche, espressioni di idee diverse. Idee che sono fortemente presenti nella storia d’Italia. Nel libro seguo queste espressioni per vedere in che modo possono diventare idee dominanti invece che rimanere idee subalterne.
Lo spettacolo di questi anni italiani non è esaltante: corruzione, populismo, cultura dell’apparenza, egoismi regionali, xenofobia, scarso senso civico. Insomma, professore, non è troppo ottimista sull’Italia?
Bisogna vedere, non credo che sia una questione di ottimismo o pessimismo, anche perché il pessimismo porta alla paralisi e anche al cinismo. Dunque essere pessimista è anche essere sconfitto, mentre l’ottimista non è scontato che vincerà ma almeno pensa alle alternative. Per questo il mio libro è anche un libro di idealità, di elementi utopici, cerca di rimettere in discussione i grandi temi.
Ora è verissimo quello che lei dice, che gli ultimi anni sono stati anni molto brutti, è anche vero, però, che ci sono responsabilità per questa situazione. Responsabilità anche politiche, cioè è stato fatto troppo poco per limitare i danni o per ribaltare la situazione.
Voglio solo citare, come esempio, la mancanza di una legge sui conflitti d’interesse. Lì vediamo che ottimismo o pessimismo c’entrano pochissimo, c’entra, invece, la chiarezza delle idee e poi l’azione che deriva da quella chiarezza.
Nel suo libro parla anche, oserei dire con coraggio, delle virtù italiane. Quali sono?
Penso che sia necessario questo. In particolare, mi sembra, importante riflettere sulla questione della mitezza. Infatti comincio il capitolo del libro dedicato alla mitezza con Addis Abeba nel 1937. Cioè nel momento del più orribile massacro portato avanti non solo dalle truppe italiane occupanti, ma anche dei civili italiani a danno della popolazione locale. Allora non c’è nulla di mite in quello, io dico che particolarmente nell’età fascista troviamo il trionfo terribile della violenza, di una idea di mascolinità virile e violenta contro qualsiasi altro paradigma per il comportamento della popolazione. Ma Adis Abeba nel ’37 è un momento della storia italiana, ci sono anche molti altri che possiamo guardare con interesse per quello che ci insegnano, non solo momenti ma anche idee. E’ questo molto importante. Ad esempio il fatto che nella Costituzione abbiamo nell’articolo 11 una straordinaria dichiarazione in favore della cultura della pace, questo non è da dimenticare. Poi bisogna vedere, nel libro cerco di farlo, quelle figure interessanti che propongono una idea diversa di modernità non basata sulla violenza ma sulla cooperazione e sul rispetto reciproco.
Chi sono questi personaggi?
Senz’altro Altiero Spinelli e Giorgio La Pira. Due figure importanti per l’Italia. Ma si può, anche, ricordare che quando Rifondazione Comunista (io non sono di Rifondazione comunista), agli inizi degli anni 2000, ha deciso, sotto l’influenza di Fausto Bertinotti, di rigettare la violenza come strumento politico, bisogna riconoscere che quella è stata una scelta della mitezza molto importante in un clima esasperato di violenza.
Professor Ginsborg, nel libro, un libro che Gustavo Zagrebelsky ha definito un “libro combattente”, ricorda l’Italia di Canova in lacrime sulla tomba di Vittorio Alfieri, situata in Santa Croce a Firenze, può essere una “metafora” dell’ Italia “piangente” di oggi?
Si io lo credo profondamente che sia una metafora giusta dell’Italia odierna. Abbiamo tutta l’Europa che ci prende in giro, che guarda con orrore alle figure della più recente politica. Se guardiamo, poi, al modo in cui la donna e il corpo della donna è trattato sullo strumento mediatico più importante, la televisione, credo che l’Italia di oggi abbia tutto il diritto di piangere. Per questo credo che Zagrebelsky sia nel giusto quando definisce il mio libro come “combattente”. Perché io propongo altri valori sperando che possano diventare, in tempo, maggioritari: l’autogoverno municipale, l’autogoverno come processo di auto-educazione. Un altro valore è quello dell’uguaglianza, e sappiamo quanto l’Italia sia un paese terribilmente diseguale. Poi c’è il valore dell’Europa, per citare Spinelli. Infine il valore della mitezza e fermezza, quell’amore della pace e il rispetto dell’altro che deve essere la base un nuovo contratto nazionale.
Allora, per finire, chi salverà l’Italia?
Io penso che non è solo una classe sociale che può salvare l’Italia. Per troppo tempo la sinistra italiana ha pensato al ruolo, come dire, liberatorio della classe operaia. Io non ci credo, non ci ho mai creduto nella superiorità di una classe necessariamente. Io penso che sarà un’alleanza di figure diverse, oso dire che quando Zagrebelsky sabato scorso ha parlato con i metalmeccanici della Fiom non era alla manifestazione ma era al convegno sul berlusconismo a Firenze. Lui ha parlato a loro, ha espresso solidarietà, ed anche la necessità dell’azione mite, pacifica in difesa dei diritti dei cittadini. Questo era un ponte. Credo che i ponti, in questa stagione, siano importantissimi. Un ponte diciamo tra i ceti medi istruiti e una piazza pienissima di operai. Ecco ci vuole questo tipo di “construction of bridges”.