In un clima sempre più pesante, sotto molti punti di vista, il Paese s’interroga sulle sue prospettive. Ne parliamo con l’ On. Walter Veltroni. Continua a leggere
Monthly Archives: January 2011
Il Rubygate. Intervista a Peter Gomez
Sul caso Ruby si sta scatenando una grande bufera politica. Ne parliamo con Peter Gomez, giornalista del Fatto Quotidiano e direttore del sito www.ilfattoquotidiano.it. Continua a leggere
“Indignez-vous!”. Un vecchio partigiano indignato scuote la Francia.
Indegnez-vous!
Questo è il titolo di un libretto, uscito per i tipi dell’Indigene édition (€ 3, pagg. 32), che è diventato, in quattro mesi, un vero e proprio caso editoriale e politico. Ad oggi ne sono state vendute più di 650mila copie (si veda la classifica sul sito www.datalib.fr).
Un bestseller, e presto sarà tradotto anche in Italia.
Scritto da un grande di Francia, Stéphane Hessel, a 94 anni, questo resistente e diplomatico francese di origine ebraica tedesca, è riuscito a scuotere le coscienze dei francesi. Si sa che la Francia è terra di grandi passioni civili, di radicalità civiche che emergono sempre nei momenti di grande svolta. Ebbene questo libretto, come scrive l’autorevole recensore di Le Monde Thomas Wieder, “non è certo un programma di governo. Ma è un serio avvertimento al governo”.
Ed è, anche, un monito alla sinistra francese affinché sappia suscitare una speranza, una proposta alternativa , a sedici mesi dalle elezioni presidenziali, al sarkozismo imperante. E l’appello è stato accolto dal numero 2 dei socialisti francesi, Harlem Desir, che in una intervista al quotidiano Liberation definisce il libretto, appunto, come “le contrechamp du sarkozysme”.
Il suo grido d’indignazione muove dai valori profondi della “France combattante”, la Resistenza francese, ovvero da quel programma del 1944 che desiderava una autentica “democrazia economica e sociale” nella piena realizzazione dei diritti universali dell’uomo (a questo riguardo occorre ricordare l’importanza di Stephane Hessel come co-redattore del testo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948).
A questo “ancien normalien”, ha frequentato l’Ecole Normale a Parigi ed è stato allievo di due grandi filosofi francesi Sartre e Merleau-Ponty, i motivi per indignarsi sono tanti: “Le ragioni per indignarsi possono sembrare meno evidenti, il mondo è diventato più complesso (…) ma in questo mondo ci sono cose insopportabili. Per accorgersene bisogna cercare, cercare bene” e l’atteggiamento peggiore, prosegue Hessel, è l’indifferenza, quel cieco individualismo che ci fa chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie grandi e sottili. Così per Hessel il trattamento ostile nei confronti degli immigrati, dei rom, degli extracomunitari deve spingere all’indignazione. Per questo Hessel dice ai giovani “prenez le relais,indignez-vous!”, “prendete il testimone e indignatevi!” .
Il testimone è quello dei valori della Resistenza. “Auguro a tutti voi di trovare il vostro motivo per indignarvi. E’ prezioso. Quando qualcosa è fonte di indignazione, come è successo a me con il nazismo, allora si diventa militanti, forti e impegnati”!
Ed ecco per Hessel che la frontiera del cambiamento passa attraverso una “insurrezione pacifica”, importante è la via della non-violenza, attraverso cui cambiare il sistema economico, che metta fine al conflitto israelo-palestinese (Hessel ha polemizzato fortemente con il governo israeliano sulle vicende di Gaza), e che metta un freno al declino della nostra società.
Quella di Hessel quindi è una visione politica aperto alla speranza: ”Créer, c’est Resister. Resister, c’est créer”!
Cattolici in politica: intervista a Luigi Bobba
I cattolici in politica oggi: Irrilevanti, trasversali, isolati? Intervista all’Onorevole Luigi Bobba.
Questa che si apre è una settimana piena di tensioni. Tensioni sindacali: in settimana si terrà il referendum sul problematico accordo su Mirafiori. Tensioni politiche: c’è attesa per la decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Anche il dibattito politico vive momenti di tensione non solo tra le forze politiche ma anche al loro interno. E’ il caso del PD dove nei giorni scorsi si è aperto l’ennesimo confronto, e scontro, su diverse tematiche (dalle primarie a Mirafiori). Uno dei temi delicati, che sarà messo presto all’ordine del giorno del dibattito, è quello della questione etica sul fine vita. E questo riporterà al centro dell’attenzione il ruolo dei cattolici in politica. Ne parliamo con Luigi Bobba, ex presidente nazionale delle Acli, parlamentare del PD e vice-presidente della Commissione Lavoro della Camera.
Un recente Convegno della Fondazione Giuseppe Lazzati, tenuto a Milano lo scorso dicembre, aveva come titolo: “I cattolici in politica: irrilevanti, trasversali, isolati?”. Quale di queste parole, secondo Lei, indica lo stato della situazione dei cattolici italiani?
Se dovessi sintetizzare la condizione dei cattolici nel sistema politico italiano, indicherei due rischi: quello dell’irrilevanza e quello, ancor più grave, dell’insignificanza. Nel primo caso,molti cattolici italiani non hanno ancora fatto definitivamente i conti con due trasformazioni radicali e non facilmente reversibili del sistema politico: il bipolarismo e la personalizzazione dell’azione politica. Spesso , queste trasformazioni, a sinistra, vengono identificate con la persona di Berlusconi. Ma il cambiamento è ben più profondo ed originato principalmente dall’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia e di regione: l’elettore, anche quello cattolico, ha ormai incorporato nel suo immaginario questi due tratti distintivi dell’azione politica; con essi bisogna farci i conti se non si vuole diventare irrilevanti. Dunque bisogna agire all’interno del sistema bipolare, a meno che si abbiano la forza e i numeri per creare una polarità alternativa capace di scompigliare radicalmente questo bipolarismo. Se così non e’, almeno nel breve periodo,ne consegue che bisogna lavorare per mettere all’angolo le forze più radicali ed estreme del sistema- la Lega e l’Idv- in modo da avere un bipolarismo meno condizionato dalle estreme e dove la competizione si sposti sul centro del sistema politico. Tale auspicabile condizione vedrebbe presumibilmente i cattolici più capaci di incidere sulle scelte , di condizionare i rispettivi schieramenti e di promuovere una nuova classe politica.
La questione dell’insignificanza ha radici non tanto politiche ma ecclesiali. Ovvero il diffondersi di un cristianesimo self-service o il ricupero di valori cristiani in chiave meramente difensiva e identitaria, hanno indebolito il legame profondo che vi è stato nel nostro Paese tra appartenenza di fede e impegno in politica. Non invoco certo un ritorno indietro, bensì il superamento di una schizofrenia determinata dalla separazione intraecclesiale e politica tra coloro che vivono l’esperienza politica come guidata unicamente da valori di carattere sociale (la pace, la solidarietà, ecc) e coloro che la legano esclusivamente alla questione antropologica (vita , temi etici,ecc.). Solo se, come peraltro ci indica chiaramente la Caritas in veritate, si andra’ oltre questa divaricazione, anche la presenza politica dei credenti potrà meglio esprimere, in modo del tutto laico, il legame essenziale con i valori della fede.
Parliamo un po’ del PD. Lei, qualche tempo fa, scriveva che “Il Pd nasce come formazione plurale in cui trova piena cittadinanza il cattolicesimo sociale e popolare come cultura fondante del partito. Questo rimescolamento di identità diverse costituisce la vera scommessa del Pd per crescere e per non essere soltanto una forza socialdemocratica in cui le altre tradizioni riformiste rimangono schiacciate”. Secondo lei questo rimescolamento c’è stato, oppure è una scommessa persa?
E’ una scommessa che ha forti probabilità di essere persa. C’è stata una evidente sottovalutazione del peso delle identità, delle radici. Direi di più. Una parte rilevante della cultura di sinistra ha totalmente ignorato la critica radicale al relativismo presente in tutti i più recenti documenti della dottrina sociale della Chiesa e dei pronunciamenti del Pontefice. Non ci si è accorti che il diffondersi di un individualismo radicale e una assolutizzazione della cultura dei diritti portano alla scomparsa di qualsiasi legame sociale e alla estinzione di una cultura solidarista , tratti che dovrebbero connotare una forza come il PD. L’aggrapparsi a temi tipici del mondo dei Radicali facendoli assurgere a nuova bandiera della modernità, ci porterà ad un soluzione esiziale. E’ come se la cultura della sinistra, orfana di un’ideologia forte , avesse trovato lì una stampella. Così laicismo, radicalismo e l’invocazione ogni piè sospinto di diritti individuali assoluti- si pensi al dilemma fra diritto alla vita e libertà individuale- non potranno che suscitare un’identità politico-culturale incompatibile con chi ha le sue radici nel cattolicesimo sociale e popolare. In questo ultimo anno tale questione è stata un po’ sopita e rinviata, ma il nodo non può non essere sciolto. Credo che nella recente enciclica di Benedetto XVI, vi sia una fonte d’ ispirazione che potrebbe consentire di trovare i fondamenti di una comune cultura: un singolare equilibrio tra diritti della persone e necessità di legami sociali senza i quali si rischia di compromettere il futuro di un Paese o di una società.
Torniamo alla situazione di quello che una volta si chiamava “mondo cattolico”. Gianfranco Brunelli, editorialista della prestigiosa rivista Il Regno di Bologna, scriveva circa un anno fa queste parole assai impietose : “Sconfitti i cattolici democratici e smarrita la possibilità della linea clerico-moderata, rimane ben poco del cattolicesimo politico italiano. Quello che prevale è la linea concordataria”. Linea “neo concordataria” gestita dalla Segreteria di Stato, o comunque dalla gerarchia. Scusi la provocazione: come si fa ad auspicare un rinnovato impegno dei cattolici in politica e poi mettere i paletti al protagonismo laicale? Ma esiste davvero questa nuova classe dirigente politica cattolica? Ovvero esiste una classe dirigente capace di parlare all’intero Paese?
C’è stata un’eccessiva prudenza della Chiesa nel comprendere che il solo impegno volontario e nel sociale potesse bastare, sguarnendo così il campo decisivo della politica. Ma le parole del Papa, nel settembre 2008 al santuario della Madonna di Bonaria, hanno segnato una svolta: serve “una nuova generazione di laici cristiani impegnati capaci di creare con coerenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”. Cosa è accaduto dopo queste parole così chiare e impegnative? Non direi molto, quasi che la chiesa nella sua dimensione popolare e parrocchiale fosse prigioniera di una certa paura della politica. Ovvero, per il timore di importare dentro la comunità cristiana le divisioni della politica, la si tiene fuori dalla porta, lasciando i singoli fedeli laici privi di orientamenti valoriali incisivi anche per le scelte di voto e tenendo ben distanti dalle porte della chiesa coloro che assumono responsabilità politiche. Questo timore ha bloccato anche la capacità di elaborazione politica; perché non basta più solo invocare i sacri principi del cattolicesimo democratico. Bisogna misurarsi con le questioni nuove -dalla crisi demografia al fenomeno migratorio; dall’espandersi della globalizzazione all’irruzione della scienza nel sacrario della vita- per trovare risposte politicamente convincenti, cioè capaci di interpretare l’interesse generale di un popolo e di una Nazione. Anche le stesse Settimane sociali, recentemente celebrate a Reggio Calabria, pur avendo segnato una novità non trascurabile nella preparazione, risultano essere un’occasione persa o di scarso rilevo per il futuro. Imprigionate in una formula ormai datata,non sono riuscite a dare uno sbocco a quel vitalismo sociale e culturale che pure avevano suscitato e interpretato. Il presunto interventismo della Segreteria di Stato non va confuso con la questione precedentemente enunciata: la chiesa, oltreché popolo di Dio , è anche istituzione che si confronta con le istituzioni del Paese. E se è vero che i rapporti tra chiesa e stato conoscono una stagione duratura di sostanziale collaborazione,manca però nelle forze politiche, e anche nel Pd, una “politica ecclesiastica”. Non certo nel senso di piegarsi o adeguarsi ai voleri della Chiesa, bensì di non ignorare e semmai valorizzare, anche con l’azione politica, quello straordinario patrimonio di presenze , opere sociali ,educative e di carità che sono parte integrante di ciò che è il tessuto connettivo della nostra Italia. Il lavoro che sta facendo l’Istituto Sturzo ,sotto la guida del prof. Mauro Magatti ,per cercare di rintracciare quella densità sociale tipica del nostro Paese, forse potrebbe diventare un utile riferimento anche per dei credenti che vogliono promuovere un’azione politica non segnata da sudditanze ecclesiastiche ma neppure ignara della storia e delle istituzioni che il cattolicesimo ha generato nel corso dei 150 anni della unità della nostra Nazione.
Alla ripresa dell’attività politica, in un mese che sarà decisivo per la legislatura, i cattolici del PD saranno sotto l’offensiva di un governo che , per sopravvivere, metterà, “machiavellicamente”, al centro della politica la questione etica del “fine vita”. Come pensate di affrontare questo?
Non vedo cosa vi sia di “machiavellico” nel portare in Aula alla Camera il provvedimento sul fine vita: la commissione Sanità e Affari sociali ne ha concluso l’esame ormai da sei mesi e dunque non c’è alcuna buona ragione per non far giungere a conclusione un provvedimento che è stato già per tanto tempo in stand-by. Semmai bisognerà capire se i cattolici del pd ,che hanno detto un chiaro no all’eutanasia ma anche all’accanimento terapeutico, sapranno trovare il modo per migliorare questa legge che risente di un impianto eccessivamente rigido nel normare situazioni difficilmente regolabili per via legislativa. Vale dire che, nell’assoluta chiarezza dei principi, ci può essere lo spazio per una normativa più efficace e maggiormente centrata sull’alleanza medico,famiglia e paziente. Se invece la discussione diventerà semplicemente un altro atto del regolamento di conti tra Fini e Berlusconi, meglio lasciarla ancora dormire nel cassetto.
Lei è stato Presidente delle Acli, una associazione in prima linea sul fronte del lavoro. Non le sembra che stiamo vivendo, in Italia, un periodo buio per la cultura del lavoro?
Più che sulla cultura del lavoro, ci sono pesanti ombre sul futuro dei nostri giovani. Solo l’altra settimana l’Istat ci ha detto che un giovane su tre è senza lavoro e questo è il segno più pesante del declino del nostro Paese. Una parte rilevante di un’intera generazione è condannata a rimanere fuori dal mercato del lavoro , ancora peggio, a restare tra color che stan sospesi. Sempre l’Istat ci dice che sono circa due milioni i giovani che né studiano né lavorano ,in attesa di un futuro che non lascia molte speranze. Molto del dibattito si concentra giustamente sulla questione Fiat e sicuramente anche lì è in ballo parte del futuro dell’industria del nostro Paese. Ma il legislatore non può più consentire che la “bolletta della flessibilità”venga quasi interamente pagata dai giovani in termini di minor salario, più precarietà e pensioni future piuttosto misere. Io stesso ho presentato alla Camera un disegno di legge ispirato dal prof. Tito Boeri per introdurre nel nostro ordinamento il “contratto unico d’impiego” per i giovani. Un tentativo di sconfiggere la precarietà , di penalizzare le imprese che abusano dei contratti flessibili e di offrire un percorso di stabilizzazione con garanzie crescenti nel tempo. Più in generale, c’è un ritardo gigantesco delle forze che dicono di voler promuovere il lavoro, nel trovare e sperimentare strumenti nuovi di tutela per quella fetta ormai quasi maggioritaria delle forze di lavoro che ha protezioni scarse o del tutto inadeguate. Il mondo si è fatto più competitivo e nessuno ci aspetta. Possiamo solo investire sulle giovani generazioni , sulla scuola e sulla ricerca come via per non arrenderci al declino. Ma la politica del governo sembra andare in direzione opposta. Così i giovani più brillanti se ne vanno e gli altri riducono sempre di più il raggio delle loro aspettative. Su questo punto servirebbe un ‘apposita sessione dei lavori parlamentari con la possibilità di approvare provvedimenti anche in forma bipartisan. Un esempio: finalizzare i maggiori contributi versati da coloro che , pur essendo già in pensione di anzianità continuano a lavorare, ad un fondo da destinare ai giovani che invece si trovano ad avere regimi contributivi molto sfavorevoli. Infine è ormai matura una stagione per discutere di una partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle imprese; se si vuole che le aziende restino in Italia, occorre una singolare alleanza tra lavoratori e imprenditori che consenta a tutti di partecipare responsabilmente al destino delle aziende, a fare i sacrifici quando è necessario ma anche a godere degli utili quando arrivano i risultati.
Tornando, infine, alle ragioni profonde per un cattolico d’impegnarsi in politica. Qual è la parola chiave che sintetizza tutte le altre?
Lo posso dire riprendendo le parole del card. Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente dei vescovi di gennaio; parole nelle quali mi ritrovo pienamente e che spero diventino un indirizzo impegnativo per tutti i cattolici italiani. “Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una nuova generazione di italiani e di cattolici, che pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentano la cosa pubblica come importante e alta,in quanto capace si segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri ,dei loro progetti, dei loro giorni; italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico. So che per riuscire in una simile impresa ci vuole la Grazia abbondante di Dio,ma anche che si accetti di lasciarsi da essa investire e lavorare”.