Utilizzatori finali, Sesso, potere, sentimenti il lato nascosto degli italiani. Un libro di Riccardo Iacona

Il Libro

Utilizzatori finali_Iacona_piattoUn libro denuncia, da venerdì nelle librerie,  questo di Riccardo Iacona e dei suoi collaboratori di Presadiretta. Tratta della vita parallela e segreta di milioni di maschi italiani. Dopo Se questi sono gli uomini, il libro che ha documentato i tanti casi di violenza sulle donne da parte di mariti, compagni ed ex fidanzati, Riccardo Iacona, giornalista rai,  propone un racconto ancora più crudo e spiazzante, ma necessario.

Che cosa stanno diventando le relazioni di coppia in Italia? Queste pagine registrano la voce più inconfessabile dei maschi italiani. Padri di famiglia, mariti all’apparenza integerrimi, fidanzati premurosi che frequentano abitualmente escort di lusso, prostitute di strada o bordelli oltreconfine.

Milioni di clienti. O ancora uomini che farebbero carte false pur di portarsi a letto una minorenne, fregandosene di rischi, denunce, controlli. Sono loro stessi a parlare, finalmente. Senza filtri. Tra cronaca e testimonianza diretta.

Dal caso delle “baby squillo dei Parioli” alle altre lolite che oggi riempiono le aule dei tribunali. E ancora i tantissimi minorenni, ragazzi e ragazze, incontrati fuori dalle scuole, per i quali il sesso è ormai pura merce di scambio, usa e getta.

Questo libro racconta un’emergenza di cui nessuno si cura. Scomparse le istituzioni, decimati i consultori e i servizi sociali, l’educazione sentimentale e sessuale è diventata un tabù, meglio tacere. Ed è proprio questo silenzio che produce mostri.

Gli Autori

Riccardo Iacona è giornalista da più di vent’anni. È autore e conduttore della trasmissione PRESADIRETTA su Rai3. Per Chiarelettere ha scritto l’italia in presadiretta (2010) e se questi sono gli uomini (2012).

Liza Boschin, Federico Ruffo, Elena Stramentinoli lavorano come inviati della trasmissione PRESADIRETTA.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione di Riccardo Iacona

 Questo libro è strettamente legato all’ultimo che ho scritto,

Se questi sono gli uomini (Chiarelettere 2012). Già

allora, durante le presentazioni in varie parti d’Italia,

avevo annunciato ai lettori che era mia intenzione andare

avanti nel racconto. E soprattutto più in profondità, per

cercare di capire meglio cosa c’è attorno alla questione

della violenza sulle donne. Ora, nessuno mette più in

dubbio il carattere endemico del fenomeno: basta leggere

le statistiche e, purtroppo, anche le pagine dei giornali

che quasi ogni giorno riportano casi di donne uccise dai

propri compagni o dagli ex. Ma i numeri ci dicono che il

territorio in cui questi comportamenti sono consentiti è

vasto, che non solo sono tanti, troppi, gli uomini che usano

concretamente l’arma della violenza, dell’intimidazione,

dell’oppressione psicologica, quelli capaci di «alzare le

mani», ma sono ancora di più i cosiddetti «simpatizzanti»,

quelli che le botte non le danno, ma vorrebbero che la

donna fosse sottomessa e, se potessero, qualche schiaffo

lo mollerebbero anche loro.

 

A questi si aggiungono i «negazionisti», quelli che pensano

che il tema non esista, che anzi la realtà sia radicalmente

diversa – sono le donne a opprimere gli uomini – e che

se si fa chiasso attorno al femminicidio o alla violenza di genere è solo colpa della lobby femminista, aiutata da una serie di maschi traditori, spesso apostrofati come «froci».

Ma rimane la questione: quanto grande è quella parte di

maschi nel nostro paese a cui piace come pazzi «tenere sotto»

le donne, da ogni punto di vista, quello sessuale prima di

tutto? Per rispondere occorre immergersi fin dentro la pancia

dei maschi italiani, sentirne tutti i borbottii e sopportarne

tutti i miasmi.

 

C’è un luogo dove le pance si esprimono al meglio ed è

quello della prostituzione, l’unico territorio dove gli uomini

sono contenti delle donne che incontrano. Ci sarà un motivo,

o no? Una cosa è certa: gli uomini italiani che vanno

a prostitute non sono pochi, al contrario sono milioni. I

numeri parlano di nove milioni di prestazioni sessuali a

pagamento all’anno e di una platea di due milioni e mezzo

di clienti. Una stima cui si è arrivati moltiplicando il numero

delle prostitute che operano in Italia per il numero di

clienti al giorno, ma che tiene conto solo delle prostitute

di strada – settantamila secondo il dipartimento per le Pari

opportunità della presidenza del Consiglio – e lascia fuori

dal calcolo quelle che lavorano a casa e quelle che utilizzano

i siti internet per negoziare incontri, tariffe e prestazioni. Di

questa nuova frontiera dello scambio sessuale a pagamento si

sa poco, anche se la cronaca ci dice che si tratta di un mercato

in enorme espansione, parallelo a quello della strada, con

numeri altissimi. Basta andare su internet per rendersene

conto: digitate sul motore di ricerca del vostro computer

la frase «cerco donna» e otterrete più di dieci milioni di

pagine e migliaia di siti specializzati. Adesso siate ancora

più espliciti e digitate «cerco escort»: i risultati saranno un

milione e centinaia i siti specializzati.

C’è un altro limite alle ricerche degli studiosi: prostituirsi

non è un reato e neanche pagare una donna per fare sesso.

Solo l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione lo

sono. Così le statistiche dei reati non ci dicono nulla sulla

dimensione del fenomeno e gli uomini che pagano le donne

rimangono nelle loro macchine, nel buio delle strade,

nelle case, davanti agli schermi dei computer, senza nome

e cognome, consumatori indistinti. È talmente difficile

individuarli che anche chi si occupa di questo fenomeno

da anni ne ha incontrati pochissimi, e tra questi si contano

sulle dita di due mani quelli disposti a raccontare la

loro storia.

Claudio Magnabosco, autore nel 2002 del bellissimo

libro Akara-Ogun e la ragazza di Benin City (Jaca Book),

in cui ha raccontato il suo incontro con una giovane prostituta

nigeriana poi diventata sua moglie, conosce da

vicino i clienti italiani. Nel suo impegno a favore delle

donne prigioniere del mercato sessuale, li ha incontrati

sulle strade o in gruppi di discussione che ha organizzato in

tutta Italia per cercare di sensibilizzare gli uomini sulle loro

responsabilità nella tratta delle giovani donne straniere che

riempiono a migliaia i marciapiedi della penisola. Tuttavia

anche lui, che fa questo lavoro da dieci anni, oggi fatica a

parlare con i clienti: «I gruppi che un tempo riuscivo ad

animare in tutte le regioni, oggi sono diminuiti» mi ha

scritto quando l’ho contattato. «Non ho persone che si

rendano disponibili a parlare in pubblico, come un tempo

succedeva e, quindi, ho pochissime possibilità di trovare

degli uomini che si facciano intervistare in quanto clienti.

Sto cercando di motivarne alcuni, indicando loro l’utilità

dell’intervista, ma è dura.»

Ecco, questo è il buio che avevamo davanti quando

abbiamo iniziato, talmente denso da scoraggiare chiunque

volesse cercare di addentrarsi. Con questo libro abbiamo

provato a squarciarlo un po’ e a intravedere qualcosa oltre.

L’abbiamo fatto con Liza Boschin, Federico Ruffo ed Elena

Stramentinoli, giovani giornalisti che sono cresciuti con

me nella squadra di Presadiretta. Non è un racconto facile

da mandare giù, ma è quello che siamo. E questo è quello

che abbiamo visto.

Riccardo Iacona, Utilizzatori Finali,

Con Lisa Boschin, Federico Ruffo, Elena Stramentinoli

Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 208, €  13, 60

Elezioni: Una vittoria con molte spine per Renzi. Intervista a Giorgio Tonini

UnknownIeri ci sono svolte, in Calabria ed Emilia-Romagna, le elezioni per eleggere i Presidenti di queste due regioni. Il risultato più forte , atteso ma non in quelle dimensioni, è stato l’altissima percentuale di astensione (clamorosa quella dell’Emilia Romagna). A questo si deve aggiungere il boom leghista in terra emiliana. Il Premier Renzi si è detto soddisfatto del risultato, 2-0 per il PD. In realtà questo voto ci consegna una Italia piena di sfiducia nei confronti della politica e della sua capacità di risoluzione dei problemi. Un dato, questo, che non può non preoccupare il Premier. Una vittoria, quindi, con molte spine. Di tutto questo parliamo con il Senatore Giorgio Tonini, vicepresidente del gruppo PD a Palazzo Madama e membro della Segreteria Nazionale del partito.

Senatore Tonini, partiamo dalle elezioni: ha vinto il PD 2-0.  Ma è una vittoria segnata da un dato pesantissimo: l’astensione record in Emilia-Romagna, dove il PD ha perso ben 700 mila voti rispetto alle Europee. Certamente hanno influito, in Emilia-Romagna, le inchieste della Magistratura. Le chiedo: non le sembra che l’astensionismo sia dovuto anche alla politica del governo Renzi sul fronte del lavoro?

Sarà meglio aspettare analisi più approfondite per dirlo, ma è  assai probabile che il voto emiliano abbia registrato una difficoltà nel rapporto tra il governo Renzi e il Pd da una parte, e una parte del mondo del lavoro, in particolare la componente operaia, dall’altra. Credo anche che sia del tutto evidente come non abbia giovato alla partecipazione al voto, di una parte significativa dell’elettorato di centrosinistra, l’asprezza dello scontro tra Pd e Cgil, che ha indubbiamente disorientato molti elettori. E tuttavia, il voto dell’Emilia, con il Pd sopra il 40 per cento e la sinistra alternativa ai minimi storici, ci dice che siamo lontani anni luce da un esito di tipo greco, con la sinistra radicale che, spinta dalla crisi, soppianta, nel consenso popolare, quella riformista. È probabile semmai che del clima di scontro sociale abbia finito per avvantaggiarsi la Lega di Salvini. Più in generale, il dato essenziale è che una vasta area di elettorato di centrosinistra si è messa in stand-by, rifugiandosi nel non voto e non votando altre formazioni politiche: né a sinistra, come ho già detto, ma neppure a destra e neanche più verso Cinque Stelle, che pare aver perso gran parte della sua capacità di attrazione. Per quanto riguarda il governo Renzi e il Pd nazionale, il dato complessivo non è dunque negativo: nel momento di massima difficoltà, quando delle riforme si paga tutto il prezzo dell’impopolarità, mentre il dividendo in termini di miglioramento percepibile è ancora lontano, la crisi di consenso si traduce in non voto, ma senza che sia premiato alcun competitore. Questa situazione rende del tutto aperta la possibilità, per il Pd, di recuperare queste fasce di elettorato, una volta che le riforme avranno dispiegato i loro effetti positivi. Detto tutto questo, resto della opinione che le motivazioni principali del non voto alle elezioni “regionali” dell’Emilia, abbiano a che fare con questioni di carattere, per l’appunto, “regionale”, peraltro tutt’altro che nuove: la crisi del modello emiliano e in particolare la crisi di credibilità delle classi dirigenti di quella come di altre regioni “rosse”. Ma questo è tutto un altro discorso, che richiederebbe ben altro approfondimento.

Veniamo a Matteo Renzi. Insomma Senatore Tonini, sul Jobs Act il Presidente del Consiglio non ha fatto una “politica comunicativa” positiva anzi tutta centrata sulla polemica antisindacale, o meglio anti Cgil. Lei mi dirà: “ma dall’altra parte si continua a guardare a Renzi come un usurpatore”. Lei che viene, per storia personale, dalla Cisl cosa consiglia al Presidente del Consiglio? Non trova giusto il richiamo di Marc Lazar, politologo francese, che ieri su “Repubblica” scriveva “che una operazione di rottura con i sostenitori tradizionali della sinistra è una operazione alto rischio, che presenta vantaggi indiscutibili, ma ha anche i suoi costi. Per la sinistra, e per tutta la politica e quindi per la  democrazia”?

Non so se la rottura con la sinistra conservatrice presenti dei vantaggi. Certamente ha dei costi, del tutto evidenti. Purtroppo, in certi passaggi storici, è inevitabile. Lo è stato in Italia, al tempo del referendum voluto dal Pci contro l’accordo sulla scala mobile (a proposito della mia estrazione cislina), firmato da Craxi con Carniti e Benvenuto. Lo è stato per Felipe Gonzalez, per Tony Blair, per Gerhard Schröder… Per una parte, per fortuna minoritaria, della sinistra, tutti questi nomi appartengono ad altrettanti traditori dei valori della sinistra e degli interessi dei lavoratori, nella più benevola delle versioni, a personalità ingenuamente subalterne al pensiero unico dominante. Per noi riformisti, sono leader che hanno fatto il loro dovere di far vivere in forme sempre nuove i valori antichi della sinistra, anche assumendosi il rischio di sbagliare, ma consentendo alla storia della sinistra di avere un futuro. Uno dei principali meriti di Renzi è quello di aver portato il Pd, superando ogni ambiguità, a far parte a pieno titolo della grande famiglia dei partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti e democratici europei, fino a farne, per certi versi, il partito guida, quello guardato oggi con più attenzione e più interesse. Allo stesso modo, la principale contraddizione della minoranza interna al Pd, quella oggi più sensibile alle posizioni della Cgil e della Fiom, è quella di non avere alcuna sponda possibile in Europa, se non nella sinistra radicale “alla Tzipras”, comunque fuori dall’area del Pse. Questa contraddizione ci dice quanto arretrata sia la cultura politica del sindacato italiano, in particolare dalle parti della Cgil: una cultura politica che, al contrario del Pd, fondato sulla unità politica dei riformisti, ancora si attarda nella coltivazione del mito dell’unità della sinistra, che finisce per assegnare un ruolo egemonico alle posizioni radicali alla Landini. E così, venticinque anni dopo la caduta del muro di Berlino, l’Italia si ritrova ad avere ancora un sindacato diviso, modellato sulla base della geopolitica del 1947, quando la guerra fredda entrò a gamba tesa nella politica italiana. Insomma, si possono sempre moderare i toni, ma le ragioni della rottura tra Pd e Cgil non sono banali, caratteriali. Sono profonde. E tutte politiche.

Ritorniamo alle Elezioni: Il dato significativo è Lega che si mangia Forza Italia. Una Lega estremista  alleata dei neofascisti “Casa Pound” e “Forza Nuova”, antiimmigrati, anti euro. Insomma una  Lega dal colore “nero” che strumentalizza la  disperazione sociale. Non le sembra anche questo un monito per Renzi? Lui dice di essere di “Sinistra”, di avere a cuore la “povera gente”, eppure non si ha, nell’opinione pubblica, questa percezione. Per qualcuno è un “travestimento”. Qual è la sua opinione?

Non so se Salvini si sia mangiato Forza Italia, o se si sia limitato a tenere meglio i suoi voti. Aspettiamo per dirlo l’analisi dei flussi elettorali. Certo, lo scontro a sinistra tra il Pd e la Cgil sul Jobs Act ha tolto molto spazio ad un centrodestra moderato, favorendo l’emergere, come in molti altri paesi europei, di un’area trasversale destra-sinistra, accomunata da una medesima spinta antiriformista e antieuropea, ma di fatto egemonizzata dalla destra, che ovviamente ha molte meno remore della sinistra a cavalcare i sentimenti nazionalistici e xenofobi, prodotti dalla crisi economica e sociale. Sul piano strettamente elettorale, per il Pd questa situazione presenta l’indubbio vantaggio di consegnargli una posizione centrale e di farlo coincidere con l’area della governabilità. Da quella posizione il Pd può giocarsi le sue carte nella competizione con le forze antisistema: prima tra tutte quella di essere l’unica forza che non si limita a cavalcare la protesta, con esiti comunque effimeri, come insegna la parabola di Grillo, ma cerca risposte solide e durature, nell’alveo della sinistra riformista. Altro è il discorso di sistema: la mancanza di alternative moderate al Pd può riproporre in Italia, come del resto sta accadendo in molti altri paesi europei, una condizione di democrazia bloccata. Anche per questo abbiamo bisogno di regole elettorali e istituzionali che favoriscano la competizione e la contendibilità elettorale del governo.

Ultima domanda: Alcuni della minoranza del PD non voteranno il Jobs Act, scissione in arrivo?

Non me lo auguro, ma un po’ lo temo. Quando si accumulano ragioni profonde di dissenso, ragioni politiche e perfino ideologiche, prima o poi qualcosa succede. E una parte della nostra minoranza interna ormai vive nel Pd da “separato in casa” e vive ogni cambiamento come un tradimento. Una cosa comunque è certa: non sarà la maggioranza riformista a espellere nessuno. Nel nostro partito a vocazione maggioritaria c’è posto per tutti.

La Massoneria delle Superlogge internazionali. Un libro choc del “gran maestro” Gioele Magaldi

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Il Libro

Questo è un libro assai controverso. E’ il primo volume di una lunga “trilogia” che l’Editore Chiarelettere pubblicherà nei prossimi mesi. Una “trilogia” che vuole offrire un’inedita radiografia del potere. Ieri a Roma c’è stata la presentazione in libreria.

In questo volume TROVATE STORIA, NOMI E OBIETTIVI DEI MASSONI AL POTERE in Italia e nel mondo, raccontati da autorevolissimi insider del network massonico internazionale, che per la prima volta aprono gli archivi riservati delle proprie superlogge (Ur-Lodges).

LE LISTE CHE LEGGERETE SONO SCONVOLGENTI. Lo sapevate che Angela Merkel e Vladimir Putin sono stati iniziati alla stessa Ur-Lodge, la Golden Eurasia? E che l’Isis è manipolato da superfratelli assolutamente indifferenti all’Islam? Da Barack Obama a Xi Jimping, da Mario Draghi a Giorgio Napolitano, da Christine Lagarde a Pier Carlo Padoan, passando per Gandhi, Reagan, Mandela, Agnelli, Clinton e Blair, ecco i grembiulini che hanno segnato la storia del Novecento e dei primi anni Duemila.

UNA BATTAGLIA PER LA DEMOCRAZIA. Tra le Ur-Lodges neoaristocratiche, che vogliono restaurare il potere degli oligarchi, e quelle progressiste, fedeli al motto Liberté égalité Fraternité, è in corso una guerra feroce. L’ultimo atto è già iniziato, come rivela Magaldi per la prima volta, con la rottura della PAX MASSONICA stilata nel 1981: il patto UNITED FREEMASONS FOR GLOBALIZATION. UNA RILETTURA ESPLOSIVA del Novecento nei suoi momenti più drammatici – la guerra fredda, gli omicidi dei fratelli Kennedy e di M.L. King, gli attentati a Reagan e a Wojtyla – arrivando fino al massacro dell’11 settembre 2001 e all’avanzata dell’Isis in questi giorni.

Insomma sono “Superlogge sovranazionali che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali” in cui “nessuno sfugge a questi cenacoli”.

Gli Autori

Gioele Magaldi (14 luglio 1971), storico, politologo e filosofo, ex Maestro Venerabile della loggia “Monte Sion di Roma” (Goi), già membro della Ur-Lodge “Thomas Paine”, è Gran Maestro del movimento massonico “Grande Oriente Democratico” (God). Fautore di un impegno solare e progressista della massoneria, ha dato vita anche a “Democrazia Radical Popolare” (Drp) e al Movimento Roosevelt (Mr).
Tra le sue pubblicazioni: UT PHILOSOPHIA POESIS (Pericle Tangerine) e ALCHIMIA. UN PROBLEMA STORIOGRAFICO ED ERMENEUTICO (Mimesis).

Laura Maragnani, giornalista (“Europeo”, “Panorama”), ha scritto LE RAGAZZE DI BENIN CITY (Melampo), ECCE OMO (Rizzoli), I RAGAZZI DEL ’76 (Utet).

Per gentile concessione della Casa Editrice pubblichiamo questa nota editoriale, che spiega il senso di questo libro

Un mondo tutto da scoprire, quello delle superlogge (Ur-Lodges), davvero l’altra faccia, la più nascosta e la più importante, del mondo che conosciamo: una prospettiva che ci mancava. Questo libro, la cui stesura ha comportato un lavoro di almeno quattro anni, arriva direttamente dall’interno del network massonico internazionale ed è stato reso possibile grazie all’accesso ad alcuni archivi privati e finora segretissimi. Non era mai accaduto. Le liste e i nomi dei massoni che leggerete sono esplosivi. Ma il libro non intende rispondere solo alla curiosità di chi vuole sapere chi c’è o non c’è negli elenchi degli affiliati, non è un’inchiesta giornalistica bensì un contributo testimoniale, un’occasione straordinaria per guadagnare una prospettiva inedita con cui guardare l’Italia e gli equilibri mondiali, dalla metà del Novecento a oggi.
Una nuova puntata di Chiarelettere sul potere e le sue trame. Una puntata certamente controversa perché i documenti su cui si basa non sono pubblicati all’interno ma, per un accordo tra le parti coinvolte nella stesura, sono depositati in vari studi legali (di Londra, Parigi e New York) con il patto esplicito di renderli pubblici solo in caso di contestazioni.
I brani di autori inseriti in pagina dipendono da una scelta di Magaldi, motivata dalla necessità di offrire un quadro complessivo del dibattito che negli anni si è sviluppato intorno al mondo massonico. Suoi i giudizi e le osservazioni critiche. Laura Maragnani ha collaborato all’intero progetto e ha firmato il capitolo Il potere in grembiulino, frutto di un lungo dialogo con Magaldi dal quale emergono i nodi centrali del volume. L’ultimo capitolo propone un confronto tra Magaldi e quattro autorevolissimi rappresentanti della massoneria internazionale, con riferimenti sorprendenti all’attualità (crisi dell’euro, attacco alle democrazie, conflitto mediorientale, Isis…). Per la novità dell’impianto (bastino le Dediche iniziali, i Presupposti dei vari capitoli, i lunghi elenchi di nomi di massoni) e l’eccezionalità dei contenuti (il libro è una dichiarazione di guerra all’ala più reazionaria della massoneria), Massoni. Società a responsabilità illimitata, di cui leggete qui il primo volume, La scoperta delle ur-Lodges, ci pare un unicum a livello mondiale. Ma, come sempre, sarà il lettore a giudicare: a lui l’ultima parola.

Gioele Magaldi (Con la collaborazione di Laura Maragnani), Massoni società a responsabilità illimitata. La scoperta delle ur-lodges, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 672 , € 19,00

Papa Bergoglio, un sovversivo contro il “disordine stabilito”. Intervista a Nello Scavo

tlYCj9Qf“I sommersi e i salvati da Bergoglio” è l’ultima fatica di Nello Scavo, il bravo giornalista d’inchiesta del quotidiano cattolico Avvenire. Il libro, uscito da pochi giorni per la casa editrice Piemme, ci racconta la lotta di Padre Bergoglio contro la dittatura di Videla. Un libro che ci offre molte informazioni sulla personalità di Jorge Bergoglio e sulla sua lunga lotta contro l’ingiustizia. Lotta che sta continuando come Papa della Chiesa Cattolica.

Nello Scavo, il suo ultimo libro ci offre una visione profonda del coraggio e dell’astuzia di Padre Jorge Bergoglio contro la dittatura militare argentina, allora giovane Padre Provinciale dei Gesuiti. Quale era il “metodo” Bergoglio capace di aggirare un regime militare sanguinario come quello di Videla?

Padre Bergoglio  aveva realizzato una rete informativa molto sicura e difficilmente individuabile dalla polizia politica. Grazie a queste informazioni spesso riusciva a prevenire i sequestri dei ricercati, ma in generale aveva stabilito presso il Collegio Maximo, a San Miguel de Buenos Aires, una sorta di quartier generale delle operazioni clandestine con cui venivano nascosti i ricercati e organizzati i piani di fuga verso l’estero.

E’ possibile fare una stima di quante persone (credenti e non credenti) ha salvato la vita Padre Bergoglio?

Ad oggi ho raccolto testimonianze dirette che possono farci dire che il futuro pontefice si occupò di almeno un centinaio di persone. Tutto questo in un contesto politico internazionale molto complesso. Molti ex studenti dell’università argentina del Salvador, considerato ateneo gesuita, mi hanno poi raccontato di come grazie all’attività di prevenzione messa in campo da padre Bergoglio, si sono evitate numerose altre retate. Se uno di quei giovani fosse stato arrestato e torturato, avrebbe potuto fare i nomi di decine di compagni di lotta politica. Grazie alle cautele dell’allora superiore provinciale dei Gesuiti, questo non avvenne.

Nei suoi incontri argentini, necessari per scrivere il libro, lei ha incontrato tanti amici di Bergoglio. Quale di questi incontri l’ha colpita? 

E’ difficile sceglierne uno in particolare. Mi ha molto colpito però il desiderio di tanti argentini i quali hanno voluto raccontarmi episodi personali, anche molto privati, della loro amicizia con il Papa. In generale, però, è viva una sincera gratitudine da parte di chi oggi, grazie a padre Bergoglio, può raccontare da vivo la propria storia.

Il suo libro non è solo un’opera su Bergoglio è anche la storia di quegli anni terribili per l’Argentina, lei, tra l’altro, ha messo in evidenza le ipocrisie e le colpe del mondo occidentale (in particolare degli Usa con la famosa “operazione Condor”) e anche il ruolo nefasto della P2 di Licio Gelli . Le chiedo a distanza di tanti anni dalla fine della dittatura, possiamo noi occidentali ritenersi “riconciliati” con quel Paese?

Nel nuovo libro, fra l’altro, ricostruisco il ruolo della massoneria italiana, in particolare della P2 di Licio Gelli, in Argentina e in altri Paesi dell’America Latina. Ho anche pubblicato documenti dei serivizi segreti inglesi e del Dipartimento di Stato Usa, nei quali emerge il ruolo controverso degli Stati Uniti e in particolare dell’allora capo della diplomazia statunitense, Henry Kissinger, nelle operazioni di “pulizia” che il regime di Jorge Mario Videla aveva messo a punto, facendo sparire circa trentamila persone, eliminandone altre ventimila durante presunti conflitti a fuoco, e rubando almeno cinquecento bambini a donne condannate alla desaparicion. Non credo, perciò, che i conti con la storia siano stati fatti. Tante omissioni, molti silenzi (anche da parte della Chiesa argentina di alcuni apparati vaticani di allora) hanno impedito a lungo di poter ricostruire i fatti. Ed oggi, ancora una volta per merito di Bergoglio, vengono aperti archivi e messi a disposizione documenti che potranno aiutarci a capire di più. Come è già avvenuto nel caso del processo per l’assassinio del vescovo Enrique Angelelli. Solo a luglio si è arrivati alla condanna di mandanti ed esecutori, dopo che il Papa aveva messo a disposizione della magistratura argentina documenti riservati custoditi in Vaticano.

Torniamo a Bergoglio: nel libro lei raccoglie la testimonianza del teologo gesuita Juan Carlos Scannone, che lo definisce come un “Rivoluzionario della tenerezza”. Perché questa definizione?

Semplicemente perché con generosità e tenerezza ha guidato la Chiesa argentina, e con lo stesso piglio, che non esclude affatto la fermezza e la determinazione, sta guidando la “Chiesa di Roma”.

Lei ha incontrato, in Argentina, un giornalista molto critico nei confronti di Bergoglio:  il famoso Horacio Verbitsky, come  spiega la sua diffidenza?

Proprio in queste ore Verbitsky ha fatto sparire per sua stessa ammissione dall’archivio del giornale Pagina12 il suo dossier contro il Papa. Bergoglio è stato ed è un personaggio scomodo. Perciò qualcuno si è sentito in dovere di attaccarlo per tentare di indebolire la forza della sua testimonianza e delle sue denunce. Nelle ultime settimane sono avenuti fatti nuovi. Estela Carlotto, leader delle Nonne di piazza di Maggio, si è recata dal Papa con il nipote ritrovato dopo 36 anni (era stato sottratto a Laura, la figlia di Estela sequestrata e uccisa dopo il parto; poi il bambino venne fatto adottare illegalmente da una famiglia di contadini), ebbene Estela si è scusata per avere diffidato di Bergoglio a causa di una “disinformazione” confezionata ad arte contro il Papa. Un’accusa neanche tanto velata proprio a Verbitsky. Quando nello scorso maggio avevo incontrato il giornalista a Buenos Aires,  egli mi aveva spiegato, come riportato nel libro, di non aver mai pensato che Bergoglio fosse stato complice del regime, ma di avere dubbi su alcuni comportamenti. Dubbi  che ho fugato nella mia inchiesta, che va avanti dal giorno dell’elezione di Francesco. Anche prestigiose testate internazionali, dall’Ap al Washington Post, a El Pais – solo per citarne alcuni-, hanno controllato i contenuti de “I Sommersi e i salvati di Bergoglio”, trovando solo conferme che hanno definitivamente spento la “macchina del fango”.

Nell’ultima parte del libro lei parla di un suo incontro con un agente dei nostri Servizi di Intelligence. Secondo questo agente, impegnato in operazioni delicatissime contro il riciclaggio di denaro sporco, Papa Francesco si è fatto tanti nemici. Nomi non ne fa , ma sicuramente questi nemici fanno parte establishment mondiale. Che idea si è fatto di questi nemici del Papa?

In realtà nel libro non spiego a quale Paese e per quale agenzia lavori questa fonte di intelligence. Posso dire che si tratta di uno 007 europeo che insieme ad altre fonti riservate a cui ho avuto accesso mi ha permesso di raccogliere informazioni e spunti per una nuova inchiesta giornalistica. E quando sarà conclusa si leggeranno nomi importanti non solo del gotha finanziario e politico mondiale.

Il primato dell’Italia nell’export mondiale di “armi comuni”. Intervista a Carlo Tombola

Nei giorni scorsi Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia) , ha presentato il nuovo Annuario sulle armi leggere fabbricate in Italia. Il titolo del rapporto è significativo: Commerci di armi proposte di pace. Ricerca, attualità memoria per il controllo degli armamenti.
Come si vede un rapporto dettagliato che contiene novità rilevanti sul commercio di armi leggere. Ne parliamo con il professor Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal.

Professore, qualche giorno fa voi di Opal avete presentato la nuova edizione dell’Annuario sulle armi leggere. L’Italia detiene il primato dell’Export mondiale di questo tipo di armi. Può fornirci qualche cifra significativa?

“È la novità più importante del nostro Annuario. Lo studio pubblicato dal nostro ricercatore Giorgio Beretta sui dati statistici dell’Onu (qui una sintesi e alcune Tabelle), mostra che nell’ultimo decennio l’Italia ha superato Germania e Stati Uniti nell’esportazione di “armi comuni”, cioè di armi non militari (fucili, carabine, pistole, rivoltelle, e relative parti) ed è leader mondiale di questo specifico mercato con una quota di quasi il 20%. Questo dato si conferma anche prendendo in considerazione solo gli ultimi cinque anni, nonostante si stiano prepotentemente affacciando nuovi produttori, Cina, Brasile e Turchia in testa: il mercato è in crescita, e anche lo è anche la quota italiana, sebbene più lentamente rispetto ai principali concorrenti. In dieci anni si è trattato di poco meno di 3,2 miliardi di dollari di esportazioni (Germania 2,4; USA 2,1), per armi destinate non solo alla caccia e al tiro sportivo ma anche alla difesa personale e alle forze dell’ordine, che non rientrano tra i destinatari specificamente “militari” e che dunque non sono sottoposte al regime di autorizzazioni a cui sono sottoposte invece le armi fornite alle forze armate.

Quali sono le principali zone geo-politiche di destinazioni di questa produzione?
Nell’insieme, nell’ultimo decennio le armi comuni italiane hanno raggiunto 127 paesi di tutti e cinque i continenti. I mercati principali si trovano tradizionalmente nell’Unione Europea (34%) e soprattutto negli Stati Uniti (37%). Qui negli ultimi anni l’effetto-annuncio di legislazioni restrittive – poi mai adottate a livello federale – ha “drogato”il mercato delle armi e delle munizioni leggere, facendo registrare un’impennata degli ordini mai registrata.

In quali Paesi si registrano dati di crescita dell’export armiero?
Oltre che negli Stati Uniti – e a differenza che nell’Unione Europea, area in declino soprattutto per un’attività venatoria ormai invecchiata e“di nicchia” – l’export di armi comuni italiane si è rafforzato nel Centro e Sudamerica, e nei paesi del Medioriente e dell’Africa settentrionale, cioè in aree fortemente interessate dalla violenza politica o della malavita organizzata, e i cui governi risultano coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani. È anche in forte crescita l’export verso l’Asia sud- ed estremo-orientale, dove India e Cina stanno diventando clienti importanti. Persino nell’Africa sub-sahariana, mercato “povero”e secondario per le armi italiane, il 2013 ha rappresentato un anno record.

Il distretto bresciano ha il primato assoluto in questa produzione, in particolare con la Fabbrica Beretta. Le chiedo il governo riesce a controllare l’export di questa multinazionale italiana? Ovvero vi sono affari della “Beretta” con i regimi repressivi?
I governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno alcun interesse a controllare severamente un’azienda florida come Beretta, fiore all’occhiello del made in Italy e capofila della lobby nazionale delle armi. Soltanto il governo Letta, anche grazie alla presenza di Emma Bonino agli Esteri, intervenne per sospendere l’export di armi (anche di Beretta) verso l’Egitto, durante la sanguinosa repressione dei “fratelli musulmani”, caso però rimasto isolato.
Le “armi comuni” italiane vengono prodotte da aziende che si sono nel tempo fortemente concentrate, tanto sul territorio che nella composizione del capitale. Il “distretto armiero” bresciano è oggi dominato da una multinazionale come il gruppo Beretta, che ha importanti impianti produttivi in Italia (Gardone Val Trompia e Urbino) e all’estero (in Finlandia, negli Stati Uniti e soprattutto in Turchia) e che è anche produttore in proprio di ottiche di precisione e controlla numerose aziende commerciali in tutti i continenti. Beretta può facilmente eludere le legislazioni restrittive spostando semilavorati e prodotti finiti all’interno del proprio gruppo e decidendo di esportare da altri paesi: per esempio, dalla Turchia il gruppo Beretta fornisce clienti in altri 40 paesi del mondo.

Non c’è solo il caso della Beretta, c’è anche la Fiocchi di Lecco (azienda leader per le munizioni leggere). Quali sono le anomalie nell’export di quest’ azienda?
Nel settore delle munizioni leggere, Fiocchi ricopre un ruolo simile a quello di Beretta nelle armi leggere. È molto presente sul mercato USA, dove ha una controllata industriale, ed esporta tutte le aree geografiche del mondo grazie a elevati standard di qualità. Anche Fiocchi è da sempre impegnato nell’export militare, tuttavia nelle Relazioni della legge 185/90 le registrazioni relative a Fiocchi sono stranamente carenti, come se le forniture non fossero state effettuate, mentre risultano invece regolarmente pagate.

Ultima domanda: Come giudica il livello di controllo politico del Parlamento italiano su tutta questa rilevantissima materia? Cosa andrebbe fatto per garantire maggior trasparenza?
Lo giudico colpevolmente distratto, dal momento che sono pochissimi i parlamentari che prestano attenzione alla materia, e la maggior parte è espressione della lobby armiera che è fortemente avversa a ogni trasparenza. Basti pensare che da ben otto anni il parlamento non esamina le Relazioni della legge 185/90, e che nel frattempo gli esperti governativi hanno silenziosamente operato cambiamenti “tecnici”che rendono sempre meno leggibili i dati stessi.