Il “Parlamento dei Capi”. Intervista a Fabio Martini.

FABIO MARTINI (Contrasto)

La cronaca politica degli ultimi giorni ci ha consegnato forze politiche attraversate da un grande malcontento. Infatti la composizione delle liste elettorali, come era scontato, ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche. Le più forti hanno riguardato il PD. Un partito che non conosce pace. Per molti osservatori Renzi, con la composizione delle liste parlamentari, ha sigillato la nascita del PdR (il partito di Renzi). E con questo, per alcuni, il PD ha compiuto la sua mutazione “genetica” (per Enrico Letta, in una intervista alla Stampa, così, si corre verso l’abisso ). Ma le polemiche non sono mancate nemmeno nella coalizione di destra e nelle altre forze politiche (vedi “Liberi e Uguali” e Movimento 5stelle). Un dato sicuramente è emerso: la centralizzazione delle decisioni sulla composizione delle liste. Così sempre più le forze politiche si personalizzano. Quali conseguenze? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini , editorialista e cronista parlamentare del quotidiano torinese “La Stampa”. Continua a leggere

Bilancio di una Legislatura tra le più “sociali” di sempre. Interviste a Luigi Bobba e Antonio Palmieri.

Ci è sembrato utile fare un bilancio di una legislatura, quella appena conclusa, che è stata molto significativa sul piano sociale e dei diritti. Un bilancio con due voci a confronto: Luigi Bobba (PD-Sottosegretario al Lavoro) e Antonio Palmieri (deputato cattolico di Forza Italia).

 

LUIGI BOBBA (PARTITO DEMOCRATICO)

 Sottosegretario Bobba, questa legislatura sul fronte sociale è stata assai significativa. Ricordiamo la riforma del cosiddetto TERZO SETTORE. Partiamo da questo ambito. Un ambito nel quale lei è stato, per la sua competenza, molto impegnato. A che punto siamo nella messa in ordine, diciamo così, del “terzo Settore”? Quali elementi mancano?

Al momento stiamo lavorando alacremente alla predisposizione degli atti amministrativi conseguenti ai decreti attuativi della Legge Delega. Dei primi passi verso la concreta attuazione della Riforma sono già stati fatti, a dicembre abbiamo infatti firmato un protocollo d’intesa assieme ad Anci, all’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata e all’Agenzia del Demanio che costituisce il primo tassello per l’implementazione della misura del “Social Bonus” contenuta nel Codice del Terzo Settore. In aggiunta, di recente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha concluso la procedura di raccolta dei progetti a rilevanza nazionale per lo svolgimento di attività di interesse generale in attuazione di quanto previsto dall’ articolo 72 del Codice del Terzo Settore e sono stati finanziati 78 progetti per 34 milioni di Euro. Ancora, sono stati ripartiti tra le Regioni altri 26 milioni di Euro da destinare alle Associazioni che operano a livello locale. Si tratta di ingenti risorse che abbiamo messo a disposizione per sostenere quelle realtà associative che decidono di investire sull’innovazione sociale. In particolare, i progetti di rilevanza nazionale sono incentrati, tra l’altro: sul contrasto dello sfruttamento del lavoro nero e del fenomeno del caporalato; sullo sviluppo della cultura del volontariato tra i giovani; sull’integrazione dei migranti; sullo sviluppo e al rafforzamento delle reti associative del Terzo settore; sull’inserimento lavorativo delle fasce deboli della popolazione, nonché sulla creazione di forme di welfare di comunità. Infine, nel mese di febbraio, nascerà il Consiglio Nazionale del Terzo Settore, partirà la riforma dei Centri di Servizio del Volontariato e prenderà il via anche la nuova Fondazione Italia Sociale.

Il “Terzo Settore”, che tocca diversi ambiti, ha conosciuto, negli anni della crisi, stando   all’ultima statistica dell’Istat una crescita sia per quanto riguarda il numero dei volontari e sia, nel “no profit”, di dipendenti. Questo significa che c’è stata una risposta significativa alla crisi? Si può migliorare questa risposta?

I dati dell’ultimo Censimento Istat ci confermano chiaramente come il Terzo settore in questi anni sia stato in grado di generare nuove forme di risposta a bisogni sociali che la crisi ha contribuito ad accentuare. In questo senso i dati dell’ISTAT ci parlano di una “resilienza” del non profit che, in controtendenza rispetto al trend generale, riesce ad incrementare il numero dei volontari, degli addetti e anche del volume delle entrate. L’obiettivo della Riforma è stato non solo quello di riordinare la normativa civilistica e fiscale del Terzo settore ma soprattutto di creare un quadro di opportunità e sviluppo per tutte le organizzazioni che popolano questo variegato universo. E’ necessario proseguire in questa direzione perché un Paese che ha un crescente numero di persone che si dedicano ad un impegno civico e volontario mettendosi in gioco per dei beni comuni, è un Paese che costruisce reti e legami di solidarietà più forti per creare una forte inclusione sociale.

Un altro ambito del suo impegno è stato quello del Servizio Civile. Un ambito di “frontiera” non solo per i giovani coinvolti, dove possono maturare competenze utili anche per il lavoro, ma a che sul fronte caldo della immigrazione. Lei afferma che il Servizio Civile diventa un “veicolo” per costruire l’appartenenza. In che modo?

Il Servizio civile in questi anni – dal 2013 al 2017 – ha conosciuto un vero e proprio balzo: dai 1000 giovani in servizio nel 2013, siamo passati ai più di 53000 nel 2017. Il nuovo Servizio civile – che diventa ora “universale”- permetterà a tutti i giovani che lo desiderano di poter intraprendere questa importante esperienza “volontaria” di indubbio valore formativo e civile, ma anche in grado di dare loro competenze utili a migliorare la propria occupabilità. Il decreto prevede, tra le altre cose, l’ampliamento dei settori di intervento in cui sarà possibile svolgere l’attività: dall’assistenza alla promozione ambientale e culturale, fino all’agricoltura sociale; la durata, ora variabile tra gli otto e i dodici mesi; la possibilità di partecipazione estesa anche agli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese. Ulteriore importante novità è l’inserimento di una norma dedicata ai ragazzi più svantaggiati, i NEET. Questo nasce dalle rilevazioni sui partecipanti che hanno svolto il Servizio civile all’interno del programma Garanzia Giovani e che mostrano come questa misura sia stata un buon strumento di inserimento lavorativo. In questa direzione, il nuovo decreto legislativo n. 40/2017 prevede   il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite durante l’espletamento del Servizio in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo. L’ampliamento del numero dei giovani che potranno fare il Servizio civile rappresenterà un importante investimento in termini di motivazioni e di valori, nella vita delle persone, sviluppando sia il senso di appartenenza al proprio Paese, che l’appassionamento a qualche buona causa.

Torniamo per un attimo al “sociale”. Sul fronte delle politiche familiari si è scelto di continuare le politiche del “bonus bebè “. Per la famiglia andrebbe fatto molto di più…Volete lasciare questo tema alla destra? Lei, con il suo partito, quale proposta ha?

Questo Governo è stato uno dei più attivi sotto il profilo delle misure a sostegno della famiglia, della genitorialità e della conciliazione vita-lavoro. Indubbiamente si può e si dovrà fare di più per creare delle condizioni che favoriscano la natalità e la genitorialità. Un primo passo in questa direzione è stato fatto anche con l’ultima legge di bilancio nella quale abbiamo confermato il bonus bebè per il 2018 per un importo annuo di 960 euro fino al primo anno di vita del bambino, nato o adottato nel 2018, per famiglie con ISEE familiare entro i 25mila euro annui. Al contempo, abbiamo anche aumentato le detrazioni fiscali per i figli a carico di età non superiore a ventiquattro anni: la soglia per le detrazioni Irpef passa da 2,8 mila a 4 mila euro. Il capitolo famiglia resta, dunque, assolutamente centrale nel nostro programma anche in vista della prossima legislatura. La proposta del PD sarà incentrata in misure stabili ed universali, anche di carattere fiscale, volte a sostenere e ad incoraggiare la natalità, nonché ad accompagnare le famiglie nella crescita dei propri figli.

 Sul fronte del lavoro gli ultimi dati fanno segnare, sul pano occupazionale, un record con molti limiti. E i limiti sono assai pesanti: la stragrande maggioranza sono contratti a tempo determinato . E questo ridimensiona il “trionfalismo” governativo. Non parliamo poi della flessibilità lavorativa. Insomma nessuno vuole negare i dati ma c’ancora moltissimo da fare. Le chiedo quali proposte ha il PD per rendere stabile il lavoro? E’ possibile cambiare alcune cose del Job Act?

I numeri parlano chiaro: da febbraio 2014 a novembre 2017, l’occupazione è cresciuta di 1 milione e 29mila unità, la disoccupazione è scesa di 416mila unità, gli inattivi sono crollati a meno 944mila. Di questi 1 milione e 29mila occupati in più, 541mila sono permanenti, vale a dire assunti con contratto a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione giovanile è passato, nel medesimo arco temporale, dal 43,6% al 32,7%. Il Jobs Act Jobs ha il merito di aver ridotto la profonda segmentazione per tipologie contrattuali del mercato del lavoro, cancellando varie forme contrattuali precarie che interessavano soprattutto i giovani. La Riforma ha altresì reso impossibili le dimissioni in bianco, incrementato l’indennità di maternità ed esteso il congedo parentale anche per i padri;  abolito i co.co.pro. e messo limiti alle false partite IVA. Allo stesso tempo, sono stati riformati gli ammortizzatori sociali ed è stata creata l’ANPAL che ha dato il via alla sperimentazione dell’assegno di ricollocazione per i disoccupati e che sta avviando servizi per il lavoro su tutto il territorio nazionale. I meriti del Jobs act sono dunque evidenti; bisogna ora proseguire promuovendo interventi più incisivi nelle politiche attive del lavoro.

La Legge Fornero va bene così?

La legge Fornero è migliorabile ma è chiaro che non può essere cancellata come dichiarato da Salvini. Di fatto, nell’ultima legislatura si sono realizzate 8 salvaguardie, che hanno riconsegnato a 153.000 lavoratori la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole. Si è completata la sperimentazione di “Opzione Donna”, con altre 36.000 lavoratrici coinvolte. Infine, con l’APE sociale prevista dall’ultima legge di bilancio, si manderanno in pensione a regime, a partire dai 63 anni, circa 60.000 lavoratori  che appartengono alle 15 categorie considerate attività gravose. Sul capitolo pensioni, nella prossima legislatura, bisognerà investire in maggiore flessibilità in uscita dal lavoro operando sia sull’estensione dell’anticipo pensionistico, che rivedendo le modalità di calcolo dell’aspettativa di vita; così come andrà rafforzato il pilastro della previdenza complementare.

Ultima domanda: come spiega, di fronte ad alcuni risultati positivi, il calo di consenso del Partito Democratico ?

Non mi fiderei troppo dei sondaggi: nessuno nel 2013 aveva previsto il boom dei Cinque Stelle e alle elezioni europee del 2014 diversi sondaggisti avevano previsto il sorpasso del PD da parte di Grillo. Sappiamo come è andata a finire, con il PD al 40%.

I risultati che questo Governo è riuscito ad ottenere sono sotto gli occhi di tutti. Un Paese che finalmente torna a crescere, più ricco non solo sul fronte economico e del lavoro ma anche dei diritti, delle politiche sociali, del contrasto alla povertà, del Terzo settore. In queste settimane che ci separano dalle elezioni sarà necessario raccontare nei territori quanto è stato fatto e quanto vogliamo realizzare nei prossimi anni. Tra realismo e false promesse scegliamo il realismo. Tra il rancore e la speranza siamo dalla parte della speranza.

ANTONIO PALMIERI (FORZA ITALIA)

Onorevole Palmieri, questa legislatura sul fronte sociale è stata assai significativa. Ricordiamo la riforma del cosiddetto TERZO SETTORE. Partiamo da questo ambito.  Come giudica la Riforma e Quali elementi mancano?

La riforma ha elementi, come la valorizzazione dell’impresa sociale, che sono certamente apprezzabili. Però mancano ancora decine di decreti attuativi, a partire proprio da quelli che riguardano la normativa fiscale che favorisce gli investimenti nel non profit. Senza questi decreti, la riforma esiste solo sulla carta.

Il “Terzo Settore”, che tocca diversi ambiti, ha conosciuto, negli anni della crisi, stando   all’ultima statistica dell’Istat una crescita sia per quanto riguarda il numero dei volontari e sia, nel “no profit”, di dipendenti. Questo significa che c’è stata una risposta significativa alla crisi? Si può migliorare questa risposta?

La nuova normativa sulla impresa sociale potrebbe essere utile. Come ho già detto, purtroppo non è praticabile la sua parte principale, quella connessa agli sgravi fiscali per chi investe nelle imprese del terzo settore.

Parliamo del Servizio Civile. Un ambito di “frontiera” non solo per i giovani coinvolti, dove possono maturare competenze utili anche per il lavoro, ma anche sul fronte caldo della immigrazione.  Il Servizio Civile  può diventare un “veicolo” per costruire l’appartenenza. Lei è d’accordo su questo aspetto?

Se ben realizzato, ci si può pensare. Ma non può essere imposto e necessita di risorse, non solo economiche, adeguate.

Una legislatura indubbiamente sociale. Se a tutto questo aggiungiamo la legge del “dopo di noi”, quella sull’unione civili e sul testamento biologico, si portano a casa buoni risultati (tenuto conto del quadro politico). Le chiedo, in maniera ostinata, perché, la sua parte politica, si è opposta allo “ius culturae”? E lei, come cattolico, non si sente interpellato dalla posizione del Papa e della Cei favorevoli allo “ius soli”. Di cosa avete paura ? 

Intanto contesto quelli che lei chiama “buoni risultati”. Unioni civili e testamento biologico non lo sono. Sono il trionfo del più forte sul più debole. Quanto allo ius soli, in questo momento fornirebbe un grande incentivo ai trafficanti di esseri umani, al di là del contenuto specifico della legge. Del resto di fatto lo ius soli esiste già: basta fare domanda per avere la cittadinanza dopo dieci anni di permanenza in Italia. Se la questione è la lentezza o l’opacità delle procedure, si intervenga lì.

Torniamo per un attimo al “sociale”. Sul fronte delle politiche familiari si è scelto di continuare le politiche del “bonus bebè “. Per la famiglia andrebbe fatto molto di più. Il suo partito, quale proposta ha?

La nostra proposta della Flat Tax, con aumento della no Tax area fino a 12.000 euro, una sola aliquota al 23% e un rinnovato sistema di deduzioni per i figli a carico, darà alle famiglie la disponibilità di maggior denaro. Ciò vale per chi ha già figli e come prospettiva positiva per chi non ne ha ancora ma potrebbe essere più sereno nel prendere la decisione di mettere al mondo un figlio. Questa impostazione vuole rendere lo Stato finalmente amico della famiglia.

Sul fronte del lavoro gli ultimi dati fanno segnare, sul pano occupazionale, un record con molti limiti. E i limiti sono assai pesanti: la  maggioranza sono contratti a tempo determinato . Non parliamo poi della flessibilità lavorativa. Insomma nessuno vuole negare i dati ma c’è ancora moltissimo da fare. Le chiedo quali proposte ha la coalizione di destra per rendere stabile il lavoro? 

Da un lato la Flat Tax, facendo rimanere più denaro a disposizione di famiglie e imprese, alimenta un circuito virtuoso: più consumi interni, che vuol dire più produzione e dunque necessità di nuovi posti di lavoro. A questa rimessa in moto del motore dello sviluppo, uniremo la decontribuzione assoluta per tre anni per chi assume a tempo indeterminato, specialmente per chi assume giovani. Lo stesso faremo per i tre anni di apprendistato. Ma il punto principale è rimettere in moto lo sviluppo.

La Legge Fornero, secondo voi, in cosa va cambiata?

Vogliamo azzerare gli effetti negativi della riforma dal punto di vista sociale, basti pensare alla vicenda degli esodati. Occorre riscriverla totalmente, occorre fare una revisione totale del welfare pensionistico.

Peraltro, con il sistema contributivo si può anche ragionare sul togliere ogni limite. Se una persona vuole andare in pensione a 50 anni può farlo, prendendo come pensione quello che ha versato fino a quel momento. Prima di tutto ovviamente bisogna verificare la sostenibilità dei conti pubblici. Come ci è già successo in passato e come dimostrano le preoccupazioni europee sullo stato della nostra finanza pubblica, solo una volta al governo potremo avere l’esatto quadro della situazione.

Ultima domanda: Vi presentate, apparentemente, come una coalizione “unita”. Eppure non passa giorno in cui non emergono differenze tra voi (dai leghisti  ai resti di alcuni ex dc)? Non le pare che questa coalizione sia una illusione ottica?

In campagna elettorale e con un sistema elettorale in gran parte proporzionale, c’è chi esalta le differenze, per cercare di aumentare i propri voti. Però la campagna elettorale finisce tra un mese e i fatti, cioè i nove anni di governo nazionale insieme e il governo di alcune Regioni italiane come Lombardia, Veneto e Liguria confermano che la coalizione non  solo è solida, ma sa anche governare bene.

I sindacati respingono la legge sul salario minimo. Intervista a Giuseppe Sabella

 

A poco più di un mese dalla data che segnerà l’inizio di una nuova legislatura, il dibattito intorno all’ipotesi di salario minimo è cresciuto molto. Non solo Matteo Renzi e il Pd a favore di questa misura, ma anche la stessa Lega di Salvini. Sarà forse questo che ha reso più vivace la discussione tra Confindustria, Cgil Cisl e Uil circa il rinnovo dell’accordo generale? Ne parliamo con Giuseppe Sabella, direttore di Think-in, oggi ospite della Fondazione “Marco Biagi” a Modena insieme al Segretario Generale della Fim Marco Bentivogli per un incontro sull’Industria 4.0.

Prima di Natale si davano le Parti molto vicine alla firma. E oggi?

Non a caso, nell’ultima chiacchierata con lei, dicevo appunto “finché non vedo non credo” e sostanzialmente è ciò che le ribadisco oggi. Resta comunque vero che le Parti sono molto d’accordo sui contenuti di questa intesa che, per quanto non rappresenti nessuna svolta particolare, credo che al sistema faccia bene.

Perché non si tratta di una svolta particolare?

Perché di fatto i contratti si sono già rinnovati, quindi sul piano degli assetti contrattuali l’accordo generale avrà poco da dire. Ci sono tuttavia altri aspetti su cui le confederazioni possono svolgere un ruolo di regia importantissimo.

Per esempio?

Vedi il problema enorme dei quasi 900 contratti nazionali depositati al CNEL, di cui solo 300 sono firmati da Cgil Cisl Uil e di cui quasi la metàà presentano minimi retributivi inferiori del 30%. Questo è ciò che spinge la politica verso il salario minimo, ma le parti non amano l’invasione di campo del legislatore, preferiscono difendere la loro autonomia. Questo è fondamentalmente ciò che oggi spinge le confederazioni alle firme.  

A che punto siamo in Italia col programma Industria4.0?

Confindustria ci dice che più o meno solo il 25% delle nostre imprese conosce un andamento solido, anche per via della loro presenza sul mercato globale. Sono, in poche parole, le imprese che hanno capito la trasformazione, consapevoli del fatto che oggi per competere bisogna “andare nel mondo”, il mercato casalingo non basta più. Credo che il programma industria4.0 abbia possibilità di incidere in questa fascia, la speranza è certamente che questo 25% possa crescere ma la difficoltàà più grande dell’impresa di casa nostra è di carattere culturale, è quella di comprendere la trasformazione. 

Come vede, in questo senso, il manifesto Calenda-Bentivogli?

Il manifesto per l’industria e per “l’Italia delle competenze” è un punto di partenza imprescindibile, se ne può discutere ma certamente rovesciarne l’impostazione – come qualcuno si azzarda a fare – significa non avere il polso della situazione dell’economia e dell’industria. Calenda e Bentivogli sono due bravi interpreti della trasformazione, sono le persone di cui abbiamo bisogno per ridurre quel gap culturale a cui alludevo prima. Credo, tuttavia, che ci si debba inventare qualcosa per aiutare in particolare la PMI, così reticente e refrattaria al cambiamento.

Fake news e giornalismo di pace. Il messaggio di Papa Francesco per la 52° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

 

«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace è il tema scelto dal Santo Padre Francesco per la 52ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il testo ha avuto grande risonanza, data dall’attualità del tema, nell’opinione pubblica mondiale.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 13 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore:

Messaggio del Santo Padre

«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace

Cari fratelli e sorelle,

nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale, assistiamo al fenomeno delle   “notizie false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: “Le comunicazioni sociali al servizio della verità”). Vorrei così offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.

  1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?

Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.

L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.

La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.

  1. Come possiamo riconoscerle?

Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech e media company, atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.

Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto del peccato

originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza credibile: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi.

In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

 

  1. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)

La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).

Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).

Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone,

nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.

  1. La pace è la vera notizia

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.

Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale.

Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così rivolgerci alla Verità in persona:

Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2018, memoria di san Francesco di Sales

FRANCESCO

 

(Testo ripreso dal Bollettino n. 0061 della Sala Stampa della Santa Sede del 24-01-2018)

“Gli elettori vogliono un PD coraggioso, solo così riuscirà a vincere le elezioni”. Intervista a Giorgio Tonini

Non è partita bene la campagna elettorale. E’ quasi tutto un lancio di proposte populiste. I sondaggi segnalano che il PD, in questi 50 giorni prima del voto, dovrà effettuare una rincorsa per ribaltare i pronostici non favorevoli. Ci riuscirà? Ne parliamo con il Senatore Giorgio Tonini del PD.

Senatore Tonini, parliamo della campagna elettorale appena cominciata: non trova deludente questa rincorsa populista alle proposte irrealizzabili, o comunque costose oltre misura?  E purtroppo anche il PD non è immune….

In condizioni politiche difficilissime, senza una maggioranza al Senato, in questa legislatura il Pd ha garantito al Paese un governo che è riuscito a rimettere in moto la crescita e a riportare ai livelli pre-crisi l’occupazione, senza violare le regole europee, dunque senza mettere a repentaglio la credibilità presso i mercati della nostra finanza pubblica. Ciò è stato possibile anche perché i nostri governi, e il governo Renzi in particolare, non si sono limitati a gestire l’ordinaria amministrazione, ma hanno messo in cantiere una batteria di riforme impressionante per quantità e qualità. Naturalmente non tutte sono andate in porto e non tutte sono riuscite nel modo migliore. Ma il Paese si è rimesso in movimento. Capisco che i nostri avversari abbiano pochi argomenti contro il nostro governo, che infatti gode (il governo, purtroppo non il partito, ma questa è un’altra questione…) di elevatissimi livelli di consenso. E dunque tentino di buttarla in caciara, come si dice a Roma, sparando una raffica di proposte demagogiche, che avrebbero come unico effetto, se portate avanti, quello di minare la credibilità del Paese e di riportarci nel pieno di una crisi economica dalla quale stiamo solo ora faticosamente uscendo. Ma il Pd non ha alcun bisogno di inseguire demagoghi e populisti sul loro terreno.

Continuamo il ragionamento sulla campagna elettorale. Vi sono tre grosse proposte, Pd, Centrodestra e MS5. Il disegno della destra è chiaro, più o meno, quello dei 5stelle, è un disegno di sincretismo confuso, e quello del PD? Non basta il richiamo alla etica della responsabilità c’è bisogno della visione. Qual è la visione del PD? Il renzismo è superato…. 

Ma il Pd ce l’ha eccome una visione sul futuro dell’Italia! Intanto siamo l’unico partito davvero europeista. Gli altri, o sono esplicitamente contro l’Europa, o sono quanto meno ambigui e confusi. Prendiamo il centrodestra: Forza Italia si considera un partner politico della Cdu tedesca, ma poi si allea con la Lega di Salvini e coi Fratelli d’Italia della Meloni che la pensano esattamente al contrario e al parlamento europeo vanno a braccetto con le peggiori forze nazionaliste. Lo stesso Berlusconi ha ripetuto per mesi di essere contrario all’uscita dell’Italia dall’Euro, ma ha poi proposto la doppia moneta sul modello delle Am-Lire, quelle stampate dal governo provvisorio durante l’occupazione angloamericana… Una prospettiva da incubo. E non parliamo dello stato confusionale in cui versa, dal punto di vista programmatico, il M5S… Il Pd è invece il partito che ha saputo imporre una applicazione del Fiscal compact con la necessaria flessibilità e ora si pone l’obiettivo di fare dell’Italia un partner di Francia e Germania nella costruzione di una nuova governance europea. Il vertice a Roma di Gentiloni con Macron, non in chiave antitedesca, ma di partnership paritaria e complementare, è la migliore espressione di questa “visione”. L’Europa è la prima coordinata della visione del Pd, insieme al primato del lavoro, soprattutto per i giovani, a quello della famiglia nelle politiche sociali, al rinnovamento della democrazia e delle sue istituzioni.

I sondaggi sono crudeli per il PD. Non passa giorno in cui il PD fa segnare una perdita. Resta difficile un cambio di tendenza. Non mi dica che si perde consenso perché siete stati al governo (lo ha detto Renzi).. Il partito in alcune realtà è ai minimi termini. Senza radicamento si perde… È tardi Senatore Tonini…. Non le pare?

Shimon Peres diceva che i sondaggi sono come i profumi, vanno annusati e non bevuti. Oggi i sondaggi ci dicono che c’è un ampio e diffuso, anche se non acritico, consenso alla nostra azione di governo, che non si traduce in orientamento di voto al nostro partito. Penso che se sapremo usare la campagna elettorale per ricomporre questo scarto, possiamo ancora vincerle queste elezioni. Mi pare che Renzi abbia da tempo deciso di attestarsi su questa linea, come dimostra il fatto che stiamo confezionando le liste attorno alla candidatura dei principali esponenti del governo. Il paradosso del consenso al governo ma non al partito si spiega in gran parte con lo stato di sofferenza nel quale il partito versa. Questo è stato forse il vero errore di Renzi e di tutti noi con lui: aver trascurato il partito, che ha finito per ridursi, in molti, troppi territori, ad una confederazione di correntine, cordatine e conventicole. Non si trattava e non si tratta di tornare a vecchi modelli di organizzazione politica ormai esauriti, ma di sperimentarne di nuovi, come hanno saputo fare negli anni scorsi con Obama i democratici americani. Questo resta comunque il compito dei prossimi anni.

Il rapporto con liberi e uguali. Qualcuno ha suggerito una sorta di non belligeranza tra voi. Una proposta ragionevole…. 

Ma noi non siamo in guerra con Liberi e Uguali. E non abbiamo ancora perso la speranza che questi nostri amici e compagni ascoltino gli appelli che anche in questi ultimi giorni hanno rivolto loro Prodi, Veltroni e la stessa Susanna Camusso, perché ci si possa presentare alleati alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, se non anche nei collegi delle politiche. Del resto si fatica a comprendere il senso di questa loro fuga solitaria dalla realtà. È ovviamente legittimo contestare e contrastare la linea politico-culturale, nella quale anch’io da sempre mi riconosco e che si è affermata nel Pd, in questi anni, grazie alla leadership di Matteo Renzi. Ma c’è un tempo per ogni cosa, dice la Bibbia. C’è un tempo per il confronto interno e una sede nella quale organizzarlo, che si chiama congresso. E c’è un tempo per il confronto con gli avversari veri, che stanno a destra e dalle parti nebulose del M5S, il tempo delle elezioni. Confondere le elezioni col congresso rischia di portare questi nostri amici e compagni in una condizione nella quale, nella migliore delle ipotesi, dal punto di vista del loro consenso, si riveleranno dannosi, perché spianeranno la strada alla vittoria dei nostri comuni avversari; nella peggiore si riveleranno inutili, cioè irrilevanti.

Ho letto che non si candida. Una notizia che ha molto colpito. Al di là della questione delle deroghe, mi è parso di cogliere un velo di delusione nei confronti della politica… Si rimprovera qualcosa?

Nel Pd, dieci anni fa, ci siamo dati una regola, voluta per favorire il ricambio della classe politico-parlamentare: dopo 15 anni non ci si può più ricandidare, salvo poche, motivate eccezioni. Io ho alle spalle quattro legislature, per complessivi 17 anni di Senato. Dunque non posso più essere candidato, né intendo chiedere una deroga. Perché non voglio diventare un problema per il mio partito, che di problemi ne ha già tanti e di molto più seri. Naturalmente la mia non è né una fuga né una diserzione e non ho nessuna delusione da smaltire. Se la segreteria del Pd mi chiedesse di ricandidarmi, magari in un collegio ad alto rischio, mi sentirei seriamente chiamato in causa.

Potrebbe essere questa la carta vincente per il PD?

Sì, potrebbe essere una mossa vincente. Invece di rappresentarci, come talvolta rischiamo di fare, come un gruppo dirigente spaventato, che si affolla attorno alle poche posizioni garantite, sarebbe bello se ci facessimo vedere, soprattutto noi della vecchia guardia, motivati a combattere nei collegi più a rischio, quelli che davvero possono fare la differenza. Gli elettori ci chiedono una prova di coraggio e di generosità.