In tempi smemorati, come questi, pieni di improbabili “nuovismi” si fa fatica a ricostruire una memoria politica. Tutto viene “metabolizzato” nel presente, a scapito della “lunga durata” della politica. E quello che capita alla politica italiana, tutta curva su se stessa. Gli stessi “innovatori”, o supposti tali, altro non sono che replicanti aggiornati del populismo antipolitico (che ha radici antiche nel nostro Paese). Allora bene ha fatto la casa editrice “Chiarelettere” a pubblicare questa raccolta di scritti di Alexander Langer dal titolo significativo: “Non per il potere” (a cura di Federico Faloppa, pagg. 162, € 7,00).
Alex Langer, intellettuale sudtirolese, giornalista, professore di liceo, politico “eretico”, cristiano del dissenso cattolico (ma è stato anche, ai tempi dell’università, uno della Fuci), esponente della “nuova sinistra” italiana ed europea (parlamentare europeo per i Verdi).
Già tutte queste cose danno l’idea del multiforme impegno di Alex Langer per la politica. Questi scritti ci danno l’opportunità di ricostruire una storia, davvero importante, un metodo, una militanza politica vissuta con grande coerenza (radicali su questo punto le domande che poneva a se stesso: “Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?”). Un modo irripetibile per la passione che lo accompagnò. “Perché la politica – scrive il curatore – era tutto (e tutto era politico). E non preveda un suo contrario, una sua negazione: neppure nelle sue forme più protestatarie, più radicali. Era cosa troppo seria, la politica, per generare vuoti di idee e prospettive. E la sua lettura troppo aperta, e complessa, per ridursi a sprezzanti arroccamenti da un lato, sbeffeggianti apolitica, con la politica. Senza imprigionarsi in rigidi paradigmi, sul piano della riflessione. E senza risparmiarsi sul piano dell’impegno”. Una vita intensa, piena quella di Langer, stroncata dal suicidio avvenuto il 3 luglio del 1995.
Non aveva ancora compiuto cinquant’anni Langer, eppure ha attraversato con grande sensibililtà tutte le grandi questioni della seconda metà del novecento. Sempre su una posizione di “frontiera”. Posizione che nasce dall’essere un cristiano di origini ebraiche e dall’essere un sudtirolese. Ed ecco le sue grandi battaglie per la convivenza interetnica in Sud Tirolo, e il suo impegno per la pace nella ex Jugoslavia, per la pace contro il militarismo. Importantissimo il suo impegno per la “conversione” (usava, non a caso, questo termine) ecologica della società e dell’economia.
Quando ancora non si parlava di decrescita lui ragionava in termini alternativi di “sviluppo” (la scelta, scriveva, è tra “espansione” e “contrazione”). “La domanda decisiva è come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?”. Non era un integralista, anzi aveva ben chiaro la complessità dei termini in questione. Però sapeva che era una questione “radicale”, cioè toccava la “radice” dell’umanità. Faceva perno sulla “persuasione” invece che sulla “retorica” della demagogia. Di fronte “al nuovo che avanza”, la riduzione della “politica a imballaggio”(per merci e affari) rappresentata dal Cavaliere dell’immagine, che vorrebbe riuscire a trasformarla (la politica) in azienda, pubblicità e marketing rivendica la dignità della politica. “Le campagne elettorali – scriveva nel 1994 – (…) assomiglieranno sempre più alla moltiplicazione dei faccia a faccia televisivi tra duellanti che dovranno al tempo stesso assomigliarsi al massimo nella sostanza (per prendere i voti degli incerti) e distinguersi al massimo nell’apparenza (per prendere i voti dei decisi). Chi mi conosce, sa che ho sempre cercato di perseguire politiche, pur con tutto il carico di radicalità e di speranza di altro e di meglio che mi sentivo affidato. Ma tra politica realistica e Realpolik c’è ancora un abisso”.