IL PUZZLE MORO. Testimonianze e documenti inglesi e americani sull’assassinio del leader DC. Un nuovo libro di Giovanni Fasanella

Questo libro, di Giovanni Fasanella, giornalista d’Inchiesta, uscirà domani nelle librerie, a pochi giorni dal 40° anniversario del rapimento e dell’uccisione della sua scorta a Roma in Via Fani. In questi ultimi anni, attraverso il lavoro di giornalisti e dell’ultima Commissione Parlamentare sul Caso Moro, diverse verità sono state scoperte. Il libro di Fasanella arricchisce il “puzzle” di quella tragedia, che segnò per sempre la democrazia italiana. Il libro verrà presentato a Milano domenica 11 marzo, nell’ambito dell’Iniziativa “Tempo di Libri” presso la “Sala Volta” alle 11,30.

 

 

 

 

 

IL LIBRO

Le verità che mancavano sul più importante delitto politico del dopoguerra “Dobbiamo scoraggiare le iniziative indipendenti del governo italiano nel Mediterraneo e in Medio Oriente.”

Nota interna del Foreign Office, 1970

“Azione a sostegno di un colpo di Stato in Italia o di una diversa azione sovversiva. ”Titolo di un documento top secret del governo britannico contro la politica di Aldo Moro, 1976

“Le ingerenze sono, sempre e comunque, di parte.Tuttavia, nel caso dell’Italia, dobbiamo fare qualcosa di concreto e non limitarci a discutere.”
Reginald Hibbert, sottosegretario del Foreign Office con delega alle questioni europee, 1976

“L’influenza di Moro e Berlinguer sulla politica estera italiana è forte e potrebbe avere serie ripercussioni… Il governo italiano va mantenuto sulla giusta via.”
Rapporto dell’ambasciatore britannico a Roma Alan Hugh Campbell, 1977

La vicenda Moro costituisce un caso internazionale per eccellenza. Ancora da raccontare nei suoi risvolti più oscuri. Tra gli anni Sessanta e Settanta la politica estera morotea, soprattutto quella mediterranea, e il disgelo nella politica interna tra Dc e Pci rappresentarono un pericolo gravissimo per gli equilibri mondiali. L’Italia andava fermata. A tutti i costi.
Sulla base di documenti desecretati a Londra e a Washington (e delle recenti acquisizioni dell’ultima commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moro), Giovanni Fasanella dimostra che una parte delle amministrazioni Usa, con gli inglesi e la complicità a vari livelli e in fasi successive di Francia, Germania e Unione Sovietica insieme con Cecoslovacchia e Bulgaria, avevano interessi convergenti a fermare Moro. Come confermano anche le testimonianze di ambasciatori e politici dell’epoca riportate in questo libro.
L’autore riesce a saldare in un racconto avvincente testimonianze e documenti inediti, offrendoci per la prima volta la ricostruzione completa del contesto internazionale e delle complicità interne in cui maturò il delitto Moro. Solo così possiamo capire davvero le cause che stanno alla radice di molti episodi terroristici e individuare chi aveva interesse a destabilizzare la nostra democrazia. 

L’AUTORE
Giovanni Fasanella, giornalista, sceneggiatore e documentarista, da molti anni impegnato a ricostruire il contesto geopolitico della storia italiana, per Chiarelettere già autore con Mario José Cereghino di “Colonia Italia” (2015, 2 edizioni) e “Il golpe inglese” (2011, 3 edizioni, 5 ristampe in edizione tascabile), e con Rosario Priore di “Intrigo internazionale” (2010, 3 edizioni, 2 ristampe in edizione tascabile), ha condotto una nuova, approfondita ricerca a Londra, scoprendo molti documenti inediti, che sono alla base di questo suo nuovo libro-inchiesta.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione dell’autore 

Fasaleaks
La mattina del 16 marzo 1978, Aldo Moro fu sequestrato da un commando delle Brigate rosse. Dopo aver sterminato la sua scorta in via Fani, a Roma, i terroristi lo prelevarono e lo portarono in una prigione del popolo. Lo sottoposero a un processo popolare che si concluse con una condanna a morte. E cinquantacinque giorni dopo il rapimento, nonostante le trattative per la sua liberazione fossero giunte a un passo dall’esito positivo, la mattina del 9 maggio lo assassinarono. Il suo cadavere fu lasciato nel bagagliaio di una Renault rossa abbandonata in via Caetani, in pieno centro storico. A un passo dalle sedi del Pci e della Dc. In una zona dove, dietro il paravento di società e associazioni di copertura, operavano i servizi segreti di mezzo mondo. Fu il delitto politico più grave della storia della Repubblica. Non solo per lo spessore della vittima: cambiò il corso della storia italiana proiettando i suoi effetti anche nei decenni successivi.

L’assassinio del leader democristiano costituì il picco di una lunga fase di violenza caratterizzata da opposte matrici politico-ideologiche. “Rossi” e “neri” fecero centinaia di morti e migliaia di feriti, senza tener conto degli immensi danni collaterali. Perché accadde? Perché in Italia? E perché Moro? Nonostante le innumerevoli indagini giudiziarie e parlamentari, e un’infinità di ricostruzioni storico-giornalistiche, queste domande hanno ricevuto soltanto risposte parziali e insoddisfacenti. L’ultima commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole Giuseppe Fioroni (che ha concluso i suoi lavori nel dicembre del 2017 con l’approvazione della relazione finale con il voto unanime di Camera e Senato) ha accertato che ci fu una vera e propria operazione per stabilire i confini delle cose “dicibili al paese”. Una versione ufficiale, insomma, che tendeva a limitare le responsabilità alle sole Brigate rosse, le quali erano un fenomeno esclusivamente “italiano”, ideologicamente “genuino” e quindi privo di ogni contaminazione esterna. Una verità di comodo frutto di una “complessa trattativa” che coinvolse ex terroristi, magistrati, agenti segreti, istituzioni dello Stato. E molti, ovviamente, ne trassero dei benefici. Ci fu uno scambio: silenzio in cambio di impunità. Una completa verità, infatti, avrebbe mostrato all’opinione pubblica ciò che non doveva essere visto. E cioè che, dietro la facciata di un paese libero, si celavano vincoli esterni, imposti addirittura dai trattati internazionali post-bellici, che impedivano all’Italia di avere una propria politica estera e della sicurezza, e un regime interno pienamente democratico. Ciò che non si poteva dire, in altre parole, era che l’assassinio di Moro fu un vero e proprio atto di guerra contro l’Italia anche da parte di Stati amici e alleati, un attacco alla sovranità di una nazione e alle sue libertà politiche portato da interessi stranieri con la complicità di quinte colonne interne. I ricercatori si sono dovuti scontrare contro quel granitico muro di silenzio eretto a protezione delle aree grigie in cui si erano strette alleanze “sporche” fra il terrorismo, il “partito armato” dell’Autonomia operaia, criminalità mafiosa, apparati interni infedeli e, soprattutto, interessi internazionali. Un quadro troppo imbarazzante per poter essere svelato. E così, sono fiorite per reazione ricostruzioni “dietrologiche” basate su risposte ipotetiche, in mancanza di verità documentabili. Si è radicata una mitologia del mistero che si è autoalimentata nel tempo, impedendo a sua volta la comprensione storica degli avvenimenti. Ci si è attardati su dettagli marginali, e spesso insignificanti perché letti al di fuori del loro contesto, perdendo di vista il quadro generale.

Oggi, per fortuna, molte cose sono cambiate. Sono sempre più numerose le fonti aperte. E i materiali a disposizione consentono ai ricercatori di ricostruire la complessità del caso Moro. Di individuare tutti i soggetti che ebbero un ruolo, diretto o indiretto. Di delineare con altrettanta precisione le dinamiche che si svilupparono tra i vari attori: protagonisti, comprimari e comparse. Di ricomporre il quadro del “grande gioco” che si dispiegò prima, durante e dopo i “cinquantacinque giorni”. E di dare, quindi, una risposta – perché una risposta c’è – a quelle domande fondamentali.

Ma per vederci più chiaramente è necessario cambiare approccio mentale e metodologico. Il caso Moro non è un cold case da protrarre all’infinito, in cui scoprire un assassino sempre più misterioso e inafferrabile. E non può neppure essere circoscritto ai cinquantacinque giorni.  E’ una vicenda che coincide con la parabola politica del suo protagonista e affonda le proprie radici nelle anomalie della storia italiana del dopoguerra. Una storia molto complessa di cui non si tiene quasi mai conto. E che sfugge innanzitutto ai brigatisti rossi, convinti di essere stati il motore esclusivo di avvenimenti che sono invece più grandi di loro. D’altra parte, di fronte all’immane tragedia provocata, alle tante vite bruciate (degli altri, ma anche le proprie) non è facile ammettere di essere stati, alla fine, soltanto degli utili idioti.

La mia scommessa è proprio questa: restituire alla vicenda Moro tutta la sua complessità. Provare a ricomporre l’intero puzzle inserendo al loro posto le tessere mancanti. E vorrei farlo interfacciando contesti interni e internazionali, intersecando fonti archivistiche (particolarmente ricchi e illuminanti sono i tanti documenti inediti trovati negli archivi di Stato britannici di Kew Gardens) con fonti storiografiche e giudiziarie, memorialistica, testimonianze e confidenze raccolte nel corso di un’indagine giornalistica iniziata sin dai tempi in cui, durante gli anni di piombo, ero cronista della redazione de “l’Unità” a Torino; e proseguita senza pausa durante la mia esperienza romana, di nuovo a “l’Unità”, poi a “Panorama” e infine attraverso tanti libri. Più di quattro decenni, a pensarci bene. Quanti ne sono trascorsi dall’assassinio di Moro all’uscita di questo libro con Chiarelettere. Un periodo lungo, durante il quale ho avuto occasione di frequentare archivi italiani e stranieri. E di conoscere molti dei protagonisti, a vario titolo, di quella tragica esperienza: vittime e carnefici, investigatori e agenti segreti, storici e uomini di Stato, da ognuno dei quali ho ricevuto un prezioso tassello da inserire nel puzzle.

Mi è capitato spesso di ricevere lettere da giovani lettori che mi chiedevano perché ho coltivato una passione così forte da apparire quasi ossessiva, se non addirittura morbosa, per il caso Moro e per gli anni di piombo. In fondo è una storia vecchia di decenni, perché mai dovrebbe ancora interessare? Che senso ha continuare ad agitare i fantasmi del passato? Non rischiamo di rimanerne prigionieri? Domande sensate. Con cui fare i conti. Ma come? L’unica risposta che sono in grado di dare è attraverso le parole di Giovanni Moro, il figlio di Aldo: «I fantasmi sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perché continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito o di liberarli dalla maledizione che consiste proprio nel dover tornare». Quel debito, personalmente, vorrei cercare di onorarlo mettendo tutte le mie conoscenze a disposizione del lettore.

GIOVANNI FASANELLA IL PUZZLE MORO. Da testimonianze e documenti inglesi e americani desecretati, la verità sull’assassinio del leader DC, Ed.Chiarelettere, Milano 2018, pp. 368, 17,60 €

 

 

 

Un futuro di galleggiamento per l’Italia? Intervista ad Alan Friedman

(Marilla Sicilia/LaPresse)

Siamo agli sgoccioli della campagna elettorale. Per molti osservatori politici è stata una delle peggiori. In questi giorni le forze politiche stanno puntando tutto il loro sforzo propagandistico verso gli “indecisi”. Tutto si giocherà in quel campo. Quali saranno le possibili prospettive politiche ed economiche per l’Italia dopo il voto di domenica prossima?

Ne parliamo, in questa intervista, con Alan Friedman, prestigioso giornalista statunitense esperto di economia, politica ed editorialista del “Wall Street Journal”. Friedman è autore di numerosi saggi. L’ultimo suo saggio, edito dalla casa editrice Newton Compton, “Dieci cose da sapere sull’Economia italiana prima che sia troppo tardi” è appena uscito nelle librerie. Dal libro partiamo per alcune riflessioni. 

Friedman, lei nel suo libro, che ho trovato stimolante non solo sul piano dell’economia ma anche su quello della politica, ha un titolo molto indicativo: “Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia troppo tardi”, alla fine del libro prevede, nell’immediato, un “rischio di galleggiamento”. Le chiedo, proprio alla vigilia del voto, alla fine ormai della campagna elettorale, perché vede questo rischio? 

Questo libro spiega che anche dopo il voto del 4 marzo il vero rischio per l’Italia è l’instabilità politica un governo di transizione e il “rischio di galleggiare”, nel senso che un governo, che si chiami governo del presidente o governo delle larghe intese non importa come si definisce, non è un governo che può fare importanti riforme dell’economia, ma è un governo che può fare il minimo indispensabile, che vuol dire la legge finanziaria e una nuova legge elettorale. Per me il rischio è che, se non c’è un risultato chiaro dopo il 4 marzo, l’Italia rischia che l’economia galleggi finché la politica non si risolve.

Nel libro vengono analizzate alcune proposte programmatiche delle forze politiche in competizione. E il bilancio che lei fa, dati alla mano, è desolante: sono proposte da libri dei sogni. Irrealizzabili per i costi eccessivi per un paese indebitato come l’Italia. Le chiedo: qual è la più “incredibile” delle proposte, secondo lei, e quella che forse può essere definita “realistica”?

La proposta più assurda è sicuramente quella di Salvini che dice di abolire la riforma Fornero. Bisogna parlarci chiaro, non nasconderci dietro un dito, la riforma Fornero fu necessaria per l’invecchiamento del paese, il meccanismo di innalzamento dell’età pensionabile è necessario. Chi parla di abolire la riforma Fornero rischia di portare il sistema di previdenza in bancarotta, e quindi è demagogia, populismo. Un’altra proposta assurda è la flat tax, perché porta benefici soprattutto a chi guadagna più di 75.000 euro, ai benestanti e ai ricchi e non sarebbe equità sociale. La proposta più ragionevole è invece difficile da individuare, perché sono poche ragionevoli, al momento se dovessi giudicare non avrei valutazioni positive. Questa è una delle peggiori campagne elettorali. 

Cosa pensa della proposta, fatta da “Liberi e Uguali”, di abolire le tasse universitarie?

Io credo che quella delle tasse universitarie sia l’ennesima proposta che manca di una copertura; sarebbe bello, ma non è la soluzione. l’Italia deve portare avanti la crescita, creando lavoro, migliorando la produttività. 

Allora torniamo al “Sistema Italia”. Quando parla del lavoro, delle strade possibili  per aumentare la crescita, lei giustamente afferma che il problema più importante, che ci rende meno competitivi come Paese, è la bassa produttività. E questo è un punto nevralgico. La sua “ricetta” qual è?

Io credo che è molto importante dare alle piccole imprese più flessibilità di contratti, premi salari, più meritocrazia, così i lavoratori che sono più bravi sono premiati.

Sul lavoro lei dà un giudizio positivo al “Job act”, anzi si augura che sia completato da ulteriori passaggi. Quali potrebbero essere questi “completamenti”?

Allargare lo sgravio fiscale e gli incentivi che permettono più detassazione, più riduzione dei costi del lavoro per chi assume. 

Lei sostiene il superamento del contratto nazionale di lavoro. Non è pericoloso questo?

Per le grandi aziende, come i metalmeccanici, vanno bene i contratti collettivi; io parlo delle piccole imprese, con meno di 15 dipendenti.

Una parola sulla questione dell’articolo 18. Ma davvero questo articolo è un problema per il buon andamento aziendale? 

Non ho mai visto la questione dell’articolo 18 come una questione di grande importanza, ma sicuramente è un simbolo emotivo e politico dei lavoratori che è stato contestato, anche se secondo me riguarda poche persone e non è decisivo nell’economia italiana. 

Il suo libro tratta di molte altre questioni: dalle tasse alle pensioni, fino all’Europa. Allora le chiedo qual è la risorsa migliore che possiede l’Italia sulla quale fare affidamento per una possibile rinascita?

Le risorse naturali dell’Italia sono la fantasia e l’energia degli italiani. La grande energia degli imprenditori italiani che vanno nel mondo, che hanno coraggio, che lavorano sodo, ci sono tanti bravi imprenditori in Italia e dovrebbero fare più squadra. 

Ultima domanda: Chi Salverà l’Italia?

Gli stessi italiani. Io credo che gli italiani meritino una classe politica migliore, io ho fiducia nel popolo italiano, se gli italiani non decidono di votare un governo forte allora la politica sarà lo specchio degli italiani.

GIURAMENTO E VANGELO. Un breve testo di Pierluigi Castagnetti

Pubblichiamo, per gentile concessione, questa breve, ma efficace riflessione di Pierluigi Castagnetti sul discusso “giuramento” fatto da Matteo Salvini ieri a Milano durante il suo comizio elettorale.

Penso che Salvini sia credente: l’ho incrociato a Messa lontano dalle telecamere e dall’Italia. Non ho titoli per giudicare la sua coerenza, terreno scivoloso per tutti e, in ogni caso, chi sono io per giudicare. Però.
Però, quando uno è uomo pubblico e i suoi gesti prevalenti sono pubblici, questi gesti sono giudicabili. E, senza iattanza, dico che i gesti e le parole della Lega perlopiù non sono cristiani.
È vero che anche Trump ha giurato sulla Bibbia, ma questo semmai conferma l’esigenza di finire una tale tradizione per sottrarsi ai rischi di blasfemia. Cosa significa giurare sulla Bibbia per un politico? Che le sue azioni saranno sempre coerenti con le parole del Testo? Suvvia, siano le chiese cristiane fedeli al Libro a chiedere di cessare un rito divenuto come minimo semplicemente pagano.
E, volendo essere buono, mi rivolgo ai tanti “salvini” che popolano la politica e che semmai sono tentati di imitare l’originale: soprattutto se siete credenti, resistete alla tentazione.

 

“Il voto segnerà un ‘sentiment’ trasversale anti establishment”. Intervista a Fabio Martini

Siamo giunti, ormai, agli ultimi giorni della campagna elettorale. Ormai la tendenza è chiara. In questi giorni le forze politiche cercheranno il voto degli indecisi. L’aria che tira non è positiva per la politica. Quali i possibili scenari? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini , cronista parlamentare del quotidiano torinese “La Stampa”.

 

Siamo giunti al “giro di boa” di una campagna elettorale che è stata segnata da eventi tragici come quello di Macerata. Prima partiamo dai programmi. L’impressione è che quasi tutti,  parliamo del lato economico,  siano irrealizzabili (per i costi stratosferici).  Ti chiedo quanto influirà l’economia sul voto o pensi, invece, che l’emotività dettata dalla questione dell’immigrazione prevarrà sulle scelte elettorali?

In base ad un calcolo de “La Stampa”, il costo delle promesse di tutti i partiti, ammonterebbe a circa mille miliardi. Un calcolo paradossale, ma che dimostra come gran parte delle promesse riguardano la vita quotidiana e anche da ciò si deduce che un certo, diffuso disagio per il vissuto economico, percepito e reale, è un elemento che peserà. Anche se nei diversi segmenti elettorali sono destinate a pesare spinte diverse, non tutte riconducibili ad economia e sicurezza. A cominciare da una diffusissima ostilità verso l’establishment.

Presente non soltanto tra tutti gli elettori dei Cinque Stelle, ma anche in quelli della Lega, in parte di quelli di Forza Italia, dei Fratelli d’Italia e dei Liberi Eguali. Un “sentiment” trasversale, che alla fine aiuta a capire perché non sarà per niente facile fare un governo: gli elettori indifferenti al tema sono tantissimi.

 

Parliamo ancora di Macerata. L’onda emotiva scatenata dal gesto criminale del Fascioleghista Luca Traini, un gesto che trova alimento nel   “brodo di cultura” fatto di xenofobia, razzismo, ideologia securitaria, nostalgie neofasciste, che purtroppo ha avvelenato il tessuto sociale italiano. A questa onda emotiva non si riesce a trovare un argine di razionalità democratica, l’impressione è  questa. Certo, vi sono state le manifestazioni antifasciste.  Basteranno?

Nella vicenda di Macerata hanno finito per sovrapporsi due fenomeni tra loro diversi: un certo,  eclatante ma circoscritto “protagonismo” neofascista e un diffuso sentimento di ostilità verso gli immigrati. Luca Traini, autore di un gesto isolato e non riconducibile ad alcuna sigla, ha momentaneamente riassunto le due pulsioni, collimanti ma diverse. Le manifestazioni, se ben argomentate, a qualcosa servono ma per modificare giudizi e pregiudizi serve tempo e una maturazione di lunga durata.

 

Veniamo ai partiti. Parliamo del PD, o meglio di Matteo Renzi. L’impressione è che sia sulla difensiva, non riesce più ad imporre l’agenda politica. La stessa idea di squadra fa fatica ad emergere. Insomma un leader in affanno e  assai confuso. Troppi errori? Ne è consapevole?

Certo che ne è consapevole. Ma, pur impostando una campagna elettorale priva di effetti speciali, non è riuscito a proporre un’offerta personale e politica nella sostanza diversa da quella precedente. Ma è altrettanto vero che l’idea di squadra, per quanto in modo casuale (endorsement di Prodi per Gentiloni), sta affiorando. E, girando per comizi ed assemblee del Pd, si ha conferma che esiste un “popolo renziano”, uno zoccolo duro che sarebbe in parte rimasto disorientato  da un’eventuale staffetta tra il leader del Pd e il presidente del Consiglio.

 

 

Su “Liberi e Uguali” pesa l’immagine di “nomenklatura”, la  stessa leadership di Grasso si sta rivelando, nonostante i suoi sforzi, debole ed appare, lui, pur con la sua storia personale importante, come “vecchio”. Un futuro poco sereno?

Se avrà un successo elettorale (dal 6 per cento in su), la Lista si trasformerà in una forza politica. In caso contrario è destinata a dividersi in due pezzi: l’ala pragmatica (D’Alema, Bersani) da una parte, quella radicale (Fratoianni, Vendola) dall’altra. Con due incognite: che ruolo giocheranno i due ex presidenti delle Camere? Quanti dei vecchi notabili rientreranno in Parlamento? Un risultato insoddisfacente potrebbe determinare qualche sorpresa, al momento ignorata nella discussione pubblica.

 

Solo un ‘ultima considerazione sulla sinistra  tutta (PD compreso). Da questa campagna elettorale emerge, come qualche osservatore ha detto, l’afonia della sinistra. Ovvero la sua incapacità di creare un legame sentimentale con il suo popolo e con l’elettorato più largo.  Secondo  te è vera questa osservazione?

Osservazione fondatissima. A sinistra, ma non solo a sinistra, i legami con la propria opinione pubblica, non sono più di carattere sentimentale. Prevalgono tra gli elettori altre pulsioni, presenti nel passato ma ora prevalenti: interesse, fedeltà, simpatia, antipatia, il tutto espresso talora in modo isterico. I sentimenti forti e le certezze non appartengono a questa stagione.

 

I cinquestelle sono attraversati da veleni che loro stessi hanno prodotto. La vicenda ultima creerà un clima di sospetti reciproci tra gli esponenti dell’Esperimento, come lo chiama Jacoboni. Per Di Maio non è il massimo per la sua scalata al potere…

Oramai viviamo in un’epoca di campagne elettorali permanenti e tutti i partiti, compreso il Movimento Cinque Stelle, sono arrivati stremati all’appuntamento: sembrano non avere più nulla da dire e, pur cercando tutti il colpo del ko, aspettano con ansia che la corrida finisca il prima possibile.

 

Parliamo del  Centrodestra. Qui la partita è tra Berlusconi e  Salvini.  Ovvero tra un Berlusconi-zelig e il sovranista Salvini. La domanda è: Quanto è credibile una coalizione così fatta?  

Se il centrodestra avrà la maggioranza, governerà. Se non la avrà, assisteremo ad un divorzio al ralenti, per consentire a Forza Italia di staccarsi dalla Lega. Se non ci sarà nessuna maggioranza, lo scontro tra le due ali avrebbe un nuovo round alle prossime, imminenti elezioni. Ma a quel punto, se sarà stato introdotto un sistema maggioritario, servirà un leader e i due segmenti dovrebbero trovare una sintesi.

 

Veniamo alla sorpresa: la lista Bonino-Tabacci . I  sondaggi danno la lista a più del 3% . Un  voto che sostituisce quello dato a  Renzi sul fronte, importante, dell’elettorato di opinione. Croce o delizia per Renzi? Per me croce..per te?

I Radicali hanno sempre avuto una vocazione minoritaria, poco interessati ad espandersi elettoralmente e invece concentrati a raggiungere obiettivi circoscritti. Senza tradimenti, ma non verranno meno al proprio spirito indipendente neppure stavolta.

 

L’ultima domanda riguarda Gentiloni. Risorsa importantissima per il PD, ma si ha l’impressione che qualcosa si è rotto tra Gentiloni e Renzi. Un possibile scenario?

Lo scenario lo stabiliranno i numeri. Se il Pd reggerà (con un risultato dal 25% in su) Renzi si riproporrà come presidente del Consiglio, se il Pd scenderà sotto quella soglia e ci sarà una maggioranza in Parlamento con Forza Italia e magari una parte di LeU, allora Gentiloni avrà ancora delle chances. Se il Pd dovesse subire una sconfitta storica, entrambi faticheranno a tenere il campo.

Il “Parlamento dei Capi”. Intervista a Fabio Martini.

FABIO MARTINI (Contrasto)

La cronaca politica degli ultimi giorni ci ha consegnato forze politiche attraversate da un grande malcontento. Infatti la composizione delle liste elettorali, come era scontato, ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche. Le più forti hanno riguardato il PD. Un partito che non conosce pace. Per molti osservatori Renzi, con la composizione delle liste parlamentari, ha sigillato la nascita del PdR (il partito di Renzi). E con questo, per alcuni, il PD ha compiuto la sua mutazione “genetica” (per Enrico Letta, in una intervista alla Stampa, così, si corre verso l’abisso ). Ma le polemiche non sono mancate nemmeno nella coalizione di destra e nelle altre forze politiche (vedi “Liberi e Uguali” e Movimento 5stelle). Un dato sicuramente è emerso: la centralizzazione delle decisioni sulla composizione delle liste. Così sempre più le forze politiche si personalizzano. Quali conseguenze? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini , editorialista e cronista parlamentare del quotidiano torinese “La Stampa”. Continua a leggere