Il Si della Consulta alla Fecondazione Eterologa: Una scelta di civiltà? (1) Intervista a Giorgio Tonini

medium_110305-183037_mi111207pol_0005Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa si è acceso un forte dibattito nell’opinione pubblica sulla Legge 40. Pubblichiamo la prima intervista su questo tema, lo facciamo con  il Senatore Giorgio Tonini del PD, che è stato, all’epoca della discussione e approvazione della Legge 40,  capogruppo dei DS in commissione sanità e relatore di minoranza della legge.

 

La Legge 40 (quella sulla Fecondazione medicalmente assistita) ha subito “smantellamenti” , in questi 10 anni di “”vita”, continui. Sono  state 30 le sentenze di tribunali civili. La legge  è frutto di un bipolarismo etico assai poco convincente. Qual è  stato il grande limite di questa legge?

 

Il doppio limite della legge 40 è stato quello di essere una legge ideologica, anche a costo di affermare norme irragionevoli, e di essere stata approvata con una maggioranza divisiva, nella più assoluta sordità alle ragioni altrui. Il principale aspetto ideologico della legge 40 è stato la pretesa di affermare uno statuto giuridico dell’embrione umano come persona, anche fuori dal corpo della donna, dunque “in provetta”. Doveva essere una sorta di rivincita rispetto alla legge 194, che tuttavia non si è avuto il coraggio di mettere in discussione a viso aperto. Il risultato è stato paradossale e irragionevole: il combinato disposto della 40 e della 194 portava infatti l’ordinamento giuridico italiano a tutelare in modo assoluto l’embrione in provetta, considerato persona sacra e inviolabile, “fermo restando quanto stabilito dalla 194”, ossia la dipendenza del feto, nei primi mesi di gravidanza in modo pressoché totale, dal principio di autodeterminazione della donna. Una contraddizione insostenibile, che la Corte, come era prevedibile e come avevamo previsto nel corso del lungo e inutile dibattito in Senato, ha smantellato pezzo dopo pezzo.

 

Veniamo alla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa. Per il Settimanale “Famiglia Cristiana” si tratta di una follia italiana in quanto potrebbe favorire una “fecondazione selvaggia per tutti”.  Qual è il suo parere?

 

La fecondazione eterologa è una pratica controversa, che propone notevoli problemi di gestione: al contrario di quella omologa, che si pratica all’interno della coppia sposata o stabilmente convivente, l’eterologa comporta l’intervento di un donatore esterno alla coppia e pone quindi il problema della gratuità della donazione, dell’anonimato che non può comunque essere assoluto, del diritto del nato da fecondazione eterologa a conoscere i suoi genitori biologici, e così via. Anche in questo caso, tuttavia, si sarebbe dovuto legiferare cercando il consenso più largo possibile attorno ad una normativa essenziale e ragionevole, che tenesse d’occhio il mainstream europeo. E invece, anche su questo punto, si è scelto un approccio ideologico e si è voluta una prova di forza divisiva e anche un po’ arrogante. In nome, si è detto e si sente ripetere anche oggi, del diritto del figlio ad avere due genitori naturali: un diritto che sovrasterebbe quello improprio dei genitori sterili ad avere un figlio. Considerazioni apparentemente di buon senso, attraverso le quali tuttavia la legge pretende di penetrare ambiti misteriosi come quello del senso della vita, fino a voler stabilire le condizioni minime entro le quali si abbia diritto a venire al mondo. Ma può la legge affermare che al di sotto di quelle condizioni minime (nascere da due genitori che siano anche quelli biologici) non abbia senso venire al mondo e quindi si abbia il… diritto di non nascere? E ancora, se è sensato sostenere sul piano etico che una coppia sterile non abbia il diritto di procreare a tutti i costi, è plausibile e ragionevole tradurre questa raccomandazione morale in un divieto assoluto a ricorrere alla fecondazione eterologa “artificiale”, posto che quella, sempre eterologa, ma “naturale” nessuno si sognerebbe di vietarla? Si tratta, come è evidente, di aporie insuperabili, figlie della impropria sovrapposizione tra il dialogo etico e l’obbligo giuridico.

 

Dal punto di vista delle coppie  sterili questa sentenza è una buona notizia. Ma la maternità e la  paternità biologica è ancora un valore per la società secolarizzata?

 

Credo sia ancora un valore, ma giustamente e opportunamente relativizzato, in favore del primato della maternità-paternità sociale. I genitori adottivi, una realtà sempre più diffusa e giustamente apprezzata, anche se anch’essa non priva di rischi e difficoltà, si ribellano al solo sentir distinguere tra figli “propri” e figli “adottati”. Questa positiva maturazione non poteva non riversarsi anche sulla procreazione medicalmente assistita. A mio modo di vedere è giusto sostenere la preferibilità etica dell’adozione rispetto alla fecondazione eterologa: perché accanirsi con le tecniche per far venire al mondo un bambino, quando ce ne sono milioni abbandonati? Ma un conto è un rispettoso dialogo etico, altra cosa è porre un obbligo o un divieto, con la forza della legge, in una materia così intima e sensibile.

 

E’ giusta l’esclusione di single e per le coppie omosessuali ?

 

Su questo punto c’era stato allora un ampio consenso. La procreazione medicalmente assistita è una pratica sanitaria, finalizzata a porre rimedio all’infertilità (o anche, come chiedevamo noi, alla prevenzione della trasmissione delle malattie genetiche). Non è una pratica da utilizzare per procreare al di fuori di uno stabile rapporto di coppia. Naturalmente, ora c’è il rischio che il pendolo del bipolarismo etico, irresponsabilmente attivato dieci anni fa, corra verso l’estremo opposto…

 

Anni fa il filosofo laico tedesco Jurgen Habermas  metteva in guardia verso lo “scivolamento di una genetica liberale, vale a dire una genetica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta”. Adesso con questa sentenza cade l’ultimo mattone su cui reggeva la legge 40, quindi si torna indietro di 10 anni. Quindi si porrà il problema di una nuova normativa. E’ possibile un cammino più laico di quello fatto con la legge 40? Ovvero raggiungere una mediazione alta su questo tema delicatissimo?

 

Sul piano giuridico, la legge 40 resta in piedi, depurata dei suoi eccessi. Può darsi che si debba lavorare a qualche rifinitura, ma non c’è nessun vuoto normativo. Quanto alla “mediazione alta”, che avevo auspicato nella mia relazione di minoranza proprio citando Habermas, come testimone di una preoccupazione, che avrebbe dovuto essere comune, a normare, in modo ragionevole e consapevole del limite della politica e del diritto, una materia così sensibile, penso che dieci anni fa si sia persa un’occasione forse irripetibile. Ora, grazie alle sentenze della Corte, si deve provare a fermare il pendolo del bipolarismo etico, creando le condizioni, culturali e politiche, per un incontro, sulle materie che riguardano la vita e la famiglia, attorno a soluzioni legislative miti e ragionevoli, che tengano d’occhio il mainstream della società e non inseguano le minoranze estremiste, pur nel rispetto di tutte le idee e di tutte le posizioni.

 

Nel 2005 la Chiesa italiana entrò con forza nella battaglia referendaria sostenendo l’astensione. Ma era la  Chiesa del Cardinale Ruini. Oggi con Papa Francesco quale sarà secondo lei l’atteggiamento della Chiesa?

 

Dieci anni fa si saldarono, nella Chiesa, quelli che a me e non solo a me parvero allora due errori storici: una asimmetria nel magistero, che considerava “non negoziabili” sul piano politico-legislativo le posizioni della Chiesa stessa in materia bioetica o di etica sessuale e familiare, mentre questo non avveniva, ad esempio, per le questioni sociali; e una forte esposizione politica della Chiesa stessa, che pensò di porre rimedio alla fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc, dando vita ad una nuova unità politica dei cattolici attorno ad un progetto definito culturale, ma in realtà tutto politico, di adesione collettiva, contrattata dalla stessa gerarchia, al polo di centrodestra, a sua volta alla ricerca di un’identità dopo il fallimento dell’ipotesi del partito liberale di massa. La crisi economica, che ha capovolto la gerarchia delle priorità nel dibattito pubblico, riportando in primo piano le questioni economiche e sociali, la vittoria di Obama negli Stati Uniti con il concorso di una larga maggioranza di cattolici e, in Italia, la nascita e il progressivo affermarsi del Partito democratico, come casa comune dei riformisti fondata sul dialogo e la reciproca contaminazione tra laici e cattolici, hanno spazzato via quel vecchio schema. L’avvento di Papa Francesco mi pare stia aprendo un orizzonte nuovo per il magistero cattolico: non c’è più la vecchia asimmetria, semmai c’è un primato della questione sociale su quelle bioetico-familiari. E c’è soprattutto la riaffermazione conciliare della distinzione dei piani: alla Chiesa la proposta, tanto più forte quanto più mite ed umile, dei principi evangelici; alla politica, nella sua autonoma responsabilità, la definizione delle norme giuridiche, nel libero confronto con tutte le posizioni presenti nella società. In ogni caso, la Chiesa di Francesco non chiede il supporto del braccio secolare per affermare i suoi valori, ma si affida alla fecondità evangelica della predicazione alle libere coscienze delle donne e degli uomini del nostro tempo.

 

 

 

Perché NO agli F35? Intervista a Gianni Alioti

IMG_4455 Si ritorna a parlare di F35, il caccia bombardiere della Locked,messo sotto accusa per i costi eccessivi e, per alcuni esperti, anche per la scarsa affidabilità. Il programma tocca ovviamente molteplici punti per l’italia : da quello politico militare a quello economico. Ne parliamo con il sindacalista Gianni Alioti, responsabile dell’Ufficio Internazionale della Fim-Cisl (il sindacato dei metalmeccanici della Cisl).

Alioti, quali sono i costi del programma “Joint Strike Fighter” (F35)?

Gli “F35” – sviluppati e prodotti dalla Lockheed Martin – sono il programma più costoso di tutti i tempi nella storia degli armamenti convenzionali. Ad ogni monitoraggio da parte del Government Accountability Office (Goa), la sezione investigativa del Congresso degli Stati Uniti d’America dedita all’auditing e alla valutazione, i costi del programma si moltiplicano. Nell’ultimo rapporto del Goa, pubblicato il 24 marzo 2014, i costi di sviluppo e produzione degli F35 sforano le previsioni iniziali di ben 160 miliardi di dollari (circa il 75% in più). Se guardiamo all’intero ciclo di vita del programma (che include la gestione, le manutenzioni e le riconfigurazioni ecc.) il Congresso Usa stima un costo totale di mille e cinquecento miliardi di dollari. Una follia per i contribuenti americani! Un bancomat – a ricarica illimitata – per la Lockheed Martin………..

Eppure molte persone si sono scandalizzate “ideologicamente” quando l’amministrazione Obama è intervenuta, ad esempio, con risorse pubbliche per salvare l’industria dell’auto dalla bancarotta. Le stesse, però, non s’interrogano su come lo Stato americano interviene nell’economia e nelle politiche industriali attraverso le ingenti spese militari. Con un’aggravante! Nel caso di GM e Chrysler, i soldi ricevuti in prestito dal Governo sono stati restituiti – in pochi anni – con gli interessi. Eppure nel caso di Lockheed Martin e dell’intero complesso militare-industriale i soldi erogati dal Pentagono alimentano un “pozzo senza fondo”. Se si analizza, infatti, l’andamento crescente delle spese militari e del debito pubblico negli Usa – da metà degli anni’90 al 2012 – le due curve coincidono.

In Italia i costi della nostra partecipazione al programma dipenderanno dalla scelta finale d’acquisto. Se fosse confermato l’ordinativo di 90 aerei, ai costi attuali, finiremmo per spendere oltre 14 miliardi di euro. Ma la stima totale dei costi per l’intero ciclo di vita del programma supera i 52 miliardi di euro (circa 70 miliardi di dollari).

Quanto ha già speso l’Italia per gli F35?

Sono stati già spesi ad oggi 3 miliardi e 400 mila euro. La cifra ha riguardato – dal 1998 ad oggi – la partecipazione alla fase di ricerca e sviluppo del prodotto, la realizzazione di una linea di assemblaggio dedicata agli F35 a Cameri (intorno agli 800 milioni di euro equivalente all’investimento di Fiat a Pomigliano) e l’acquisto dei primi 6 aerei. E’ di questi giorni la notizia che il Segretariato Generale della Difesa – senza aspettare le decisioni di Camera e Senato per la conferma dei contratti definitivi d’acquisto – ha firmato l’ordinativo per parti, materiali e componenti dei lotti di produzione 8 e 9. Significa predeterminare l’acquisizione di altri otto o quattro aerei, in aggiunta ai primi sei. In pratica il Governo Renzi, al momento, si è limitato a bloccare l’iter di contrattazione preliminare con gli Stati Uniti per gli aerei del 10° lotto annuale di produzione.

Quali sono i limiti strategici del programma? A quale di modello di Difesa fa riferimento il programma?

Il Joint Strike Fighter F35 è un aereo con caratteristiche stealth, in pratica invisibile ai radar. E’ stato concepito negli anni’90 come un unico caccia-bombardiere in grado di sostituire – con tre versioni differenti – altre tipologie di aerei da combattimento in uso alle forze armate americane (aeronautica, marina e marines).

Non ho competenza alcuna per giudicare il programma dal punto di vista strategico militare…….. Ma per quel poco che ho letto esistono molti dubbi – anche in ambienti militari – che questo programma rifletta il mutato contesto strategico e risponda coerentemente alle reali minacce alla sicurezza presenti su scala mondiale. Se, però, valutiamo i ritardi accumulati (sette anni), i tantissimi problemi tecnici non risolti e l’aumento esponenziale dei costi, mi sento di affermare che la decisione di continuare a investire negli F35 dimostra – ancora una volta – che non sono gli scenari geo-politici emergenti a decidere la struttura delle forze armate e quali sistemi d’arma debbano essere sviluppati dall’industria militare, ma viceversa.

Uscendo dal programma si rischia di pagare costose “penali”?

La Rete Disarmo ha dimostrato – documenti alla mano – che l’uscita dal programma non comporta alcun pagamento di penali………….Se si decidesse di uscire ora dal programma F35, l’Italia dovrà rispondere solo dei contratti firmati per l’acquisto definitivo dei primi sei aerei e di questo ennesimo pasticcio sui lotti di produzione 8 e 9.

Quali sono le ripercussioni sul piano occupazionale?

A distanza di anni un consuntivo sulle ricadute occupazionali del programma JSF F35 può essere fatto. La prospettiva di creazione di due mila posti di lavoro subito e dieci mila a regime, principale argomento usato per convincere politica e parlamentari a sostenere l’entrata dell’Italia nel programma, si è rivelata falsa. Erano stati nel 2007 l’ex-sottosegretario alla Difesa, Forcieri, l’ex-ministro Parisi e il generale Tricarico, allora capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica italiana, a sbandierare questi numeri.

Nel 2012 l’ex-ministro della Difesa, ammiraglio Di Paola ha ridato i numeri, mai smentiti dal suo successore Mauro. Aveva sostenuto che il programma degli F35 significava una crescita operativa, tecnologica e occupazionale notevole: 10mila posti di lavoro in 40 aziende, con particolari effetti positivi sulla base militare di Cameri, in provincia di Novara”. L’unica differenza con i dati del 2007 è che non si parlava più di nuovi posti di lavoro, ma di sostituzione. Il calo di migliaia di occupati nell’industria aeronautica italiana non poteva nel 2012 essere più occultato. Uno dei pilastri della politica bipartisan a sostegno degli F35 si è sgretolato miseramente. E l’argomento occupazione a sostegno del programma F35 si è rivelato un boomerang contro coloro che lo hanno lanciato.

A distanza di 7 anni, nonostante una spesa di 3,4 miliardi di euro le persone impegnate direttamente a Cameri sono solo alcune centinaia (in maggioranza trasferite da Torino) e fino al 2018 non supereranno le 600 unità. Secondo fonti industriali si parla – nell’ipotesi più ottimistica – di un impiego a regime dopo il 2018 di circa 1.600 persone a Cameri (circa il 70% della fabbricazione delle ali + assemblaggio finale dei F35 italiani e olandesi), a cui bisogna aggiungere circa 700 persone tra Caselle, Foggia e Nola + l’outsourcing (alcune centinaia di addetti in aziende di componentistica elettronica, elettrica, idraulica ecc.). Non si supererebbero, nel totale di 20-40 aziende coinvolte, i 2.500 addetti complessivi. Secondo nostre fonti, più realistiche, non si supererebbero i 1.500 addetti. Tranne alcune nuove assunzioni a Cameri, parliamo di lavoratori già occupati – nelle aziende coinvolte – spostati sul programma F35.

Quante sono le aziende italiane impegnate nel programma?

Se ci atteniamo alle cifre dichiarate nelle audizioni parlamentari dal Segretariato Generale della Difesa e da Finmeccanica, le imprese italiane coinvolte nel progetto sarebbero circa 90 con contratti finora stipulati per complessivi 715 milioni di dollari, 565 dei quali da aziende di Finmeccanica. In comunicazioni dirette della Rete Disarmo con l’ufficio Lockheed Martin in Italia risulta che “il totale delle aziende della supply chain italiana a cui sono stati assegnati dei contratti di fornitura direttamente dall’azienda americana (senza contare i contratti di subfornitura assegnati da altri partner del programma) è pari a 27”. Di queste solo 14 hanno, in questo momento, contratti attivi sul programma F35 (molto meno delle stime diffuse dalla Difesa).

Secondo un rapporto della campagna “Taglia le ali alle armi” il ritorno industriale, rispetto agli investimenti, sarebbe del 19 %. Troppo poco per un programma dai costi esorbitanti. E’ Cosi?

L’analisi prodotta dalla Rete Disarmo non è stata smentita. Tiene conto del totale dei contratti sottoscritti dalla Lockheed Martin con le aziende italiane, per una valore totale di 667 milioni di dollari, circa 530 milioni di euro. Per la linea di assemblaggio di Cameri si tratta di soli 136 milioni di dollari (circa 110 milioni di euro) che potranno crescere solo con ulteriori acquisti italiani di F35 o di eventuale inizio di produzione degli aerei olandesi. Siamo, pertanto, di fronte ad un ritorno inferiore ai 700 milioni di euro, a fronte di una spesa già effettuata di circa 3,4 miliardi di euro (fasi di sviluppo + primi acquisti) con un ritorno del 19%.

I vantaggi industriali e occupazionali attesi sono nei fatti molto meno di quanto si è sostenuto in ambito politico e militare a sostegno della partecipazione italiana al programma. La prima “vittima” è stata l’Avio -partner di Rolls-Royce – che con la scelta americana di utilizzare un solo motore – quello della canadese Pratt&Whitney – rimane esclusa. La seconda è la Selex ES (l’azienda di elettronica per la difesa di Finmeccanica) che porterà a casa “solo della minutaglia”. Solo adesso molti si accorgono che il ruolo di partner di 2°livello per l’industria italiana nel programma F35 significa essere semplicemente dei sub-fornitori (spesso marginali), lontani dal ruolo primario giocato nel programma Eurofighter.

Qual è la posizione del sindacato sugli F35?

La domanda andrebbe declinata al plurale, nel senso che nei sindacati esistono – come è ovvio – diverse posizioni. Come ufficio internazionale della Fim-Cisl abbiamo da subito “fatto le pulci” al programma F35. Non solo con uno sguardo critico allo spreco di risorse pubbliche, ma anche dal punto di vista delle ricadute industriali, ingegneristiche, tecnologiche e occupazionali. Abbiamo smontato le reiterate bugie sui nuovi posti di lavoro e abbiamo chiesto – a tutti gli attori coinvolti – di ripristinare verità e responsabilità. Siamo stati parte attiva nel lavoro della Rete Disarmo (di cui siamo – insieme alla Fiom-Cgil – tra i promotori) e della campagna “Taglia le ali alle armi”. Non senza contraddizioni e differenti opinioni al nostro interno, specie con alcune strutture territoriali. Non senza divisioni tra le diverse sigle sindacali. Ma non abbiamo mai perso la “bussola”…… dei nostri valori statutari. E il tempo ha confermato che le nostre critiche – mai ideologiche – erano fondate su solidi argomenti e su un’analisi/conoscenza della realtà. Devo, però, ammettere che nel 2006-2007 e negli anni successivi non è stato per nulla facile, da sindacalisti metalmeccanici, compromettersi con il No agli F35.

Esistono alternative al Programma F35? Quale modello di Difesa è più adatto al nostro Paese?

E’ sempre più frequente che ci vengano imposte scelte economiche, politiche e militari con l’argomento che non esistono alternative. E’ successo anche per giustificare la partecipazione italiana al programma F35. Quante volte ci siamo sentiti dire che l’uscita da questo programma equivarrebbe a rinunciare all’’aeronautica militare italiana? Oppure che l’F35 è l’unica alternativa per sostituire 160 aerei (Tornado, Amx e Av-8b Harrier) che – nell’arco di 15 anni saranno dismessi? O che sono indispensabili, nella versione a decollo verticale, per le nostre portaerei?

In realtà le alternative esistono, come dimostrano le scelte di Francia e Germania e della maggioranza dei paesi dell’Unione Europea, con i quali dovremmo essere impegnati a costruire una Difesa comune. Se la Francia ha puntato ai suoi caccia Rafale prodotti dalla Dassault, la Germania sta sviluppando una nuova versione del caccia multi-ruolo Typhoon Eurofighter per coprire, oltre le funzioni di intercettazione (terra-aria) anche quelle di attacco al suolo (aria-terra).

L’elaborazione di un nuovo modello di Difesa italiano dovrebbe – pertanto – inquadrarsi nell’impegno europeo, finalizzato a una politica di sicurezza e di difesa comune. Ciò dovrebbe valere anche per le politiche di approvvigionamento delle forze armate di ciascun paese, nella prospettiva di una maggiore integrazione e razionalizzazione dello strumento militare. L’orizzonte dentro il quale misurare e valutare le scelte del nostro paese, anche in materia di sistemi d’arma e di politiche industriali, non può che essere il rafforzamento dell’identità europea della Difesa. L’opposto della scelta compiuta con la partecipazione al programma F35!

“Il delirio di onnipotenza di Grillo danneggia i 5 Stelle”. Intervista a Federico Mello

imagesNegli ultimi giorni il Movimento 5 Stelle è stato, sulla scena politica italiana, un protagonista molto discutibile. Gli eventi hanno dimostrato, drammaticamente, gli elementi di forte criticità del Movimento.  Ne parliamo con  Federico Mello, giornalista della redazione di “Servizio Pubblico”. Mello ha scritto il primo libro nel 2007: L’Italia spiegata a mio nonno, uscito primo online sul suo blog e poi pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu. Dopo aver seguito per il Fatto l’esperienza del Popolo Viola, ha scritto “Viola”, un saggio sui meriti e i limiti dell’attivismo politico online. Nel 2011 è uscito il suo terzo libro “Steve Jobs – Affamati e folli” mentre nel febbraio 2013, due settimane prima delle elezioni politiche, è arrivato in libreria il suo quarto libro: “Il lato oscuro delle stelle”, un’inchiesta su Beppe Grillo e il Movimento 5Stelle.

 

Le azioni di questi ultimi giorni dei “5 Stelle” fanno impressione: contestazioni violente alla Camera, insulti alle alte cariche dello Stato (Napolitano e Boldrini), insulti e minacce a giornalisti e avversari politici. Insomma definirlo inguardabile è davvero poco, alcuni l’hanno definito “eversivo”. E’ esagerato definirlo in questo modo?

 

Di certo il Movimento 5Stelle non è una forza eversiva. Certo, alla Camera ci sono stati degli atti di “squadrismo”. Mi riferisco in particolare alla violenza con cui Alessandro Di Battista ha interrotto la conferenza stampa del collega pd Speranza. Lo squadrismo era esattamente questo: imporre agli altri la propria volontà impedendo (con violenza) di esprimere la proprio opinione.

 

 

Ormai è quasi un anno che sono in Parlamento. Come giudica il loro operato?

 

Come quello degli altri partiti, con chiari e scuri. Ma il problema secondo me non risiede nel lavoro parlamentari grillini. Sono nuovi e inesperti, ma la maggior parte ci sta provando a fare del bene a questo Paese. Il problema è in alto: il duo Grillo-Casaleggio. Come possono i parlamentari 5Stelle a fare “bene” politica, in maniera efficace, se non sono del tutto liberi, se in qualsiasi momento può arrivare una scomunica via blog? Come si fa a dare spazio alle proprie idee quando il gruppo comunicazione pagato dai cittadini e comandato da Casaleggio ti segue con il fiato sul collo per verificare il tuo grado di ortodossia rispetto al sacro verbo del blog?

 

Grillo sta imponendo al Movimento una linea politica “radicalpopulista”. Ovvero una sintesi di antieuropeismo, antimmigrazione, ecologismo radicale, culto idolatrico della “rete” ecc. Un “ideologismo” trasversale a Destra e Sinistra. Lei pensa che, nei prossimi mesi, in vista delle elezioni europee possa accentuarsi questo populismo estremo? Farà concorrenza alla Lega Nord?

 

Grillo di certo andrà dritto su questa strada, anche se non credo che si abbasserà al livello – questo sì fascista – della Lega Nord e di Fratelli d’Italia. Il problema è la crisi economica: da sempre queste fasi arano terre sconfinate nelle quali può attecchire l’odio per il capro espiatorio. E l’Euro, come capro espiatorio, è perfetto. Va detto comunque che la critica all’Europa parte da due prospettive: una di destra che di fatto vuole un ritorno al nazionalismo, e una di sinistra che chiede un’Europa più solidale e multipolare. Grillo come al solito mischia i due piani per “vendere” il suo prodotto al maggior pubblico possibile. Ma credo che la sua base e i suoi parlamentari, in gran parte, facciano proprie le critiche “di sinistra” a questa Europa.

 

L’Istituto di ricerca SWG, in una indagine recente, ha delineato l’identitik dell’elettore grillino, essenzialmente sono: giovani, poveri e contrari all’immigrazione. L’ambito quindi è quello del “ribellismo” : più c’è crisi, più lo votano. E’ questa la spiegazione dell’ancora consistente, stando ai sondaggi (superiore al 20 %), consenso?

Queste definizioni non sono sovrapponibili. Ovvero Grillo parla sia ai giovani che ai poveri che a quelli contrari all’immigrazione, non ai cittadini con tutte e tre questa caratteristiche insieme. È sacrosanto, a mio avviso, che qualcuno si occupi dei giovani e dei poveri. Ma Beppe non vuole risolvere i problemi di questi persone, vuole solo vendere dvd e poltrone ai suoi spettacoli. Dovrebbe scegliere: o fa una cosa o l’altra.

 

Renzi fa davvero paura a Grillo?

Certamente sì. Grillo è proliferato nella crisi di una politica in grado di fare assolutamente nulla. Se la settimana prossima Renzi porta a casa l’Italicum (per quanto solo alla Camera) sarà evidente come Grillo e Casaleggio hanno sbagliato strategia: il Parlamento ha approvato una nuova legge e loro devono ancora capire quale proposta fare. Dovrebbero fare autocritica i due capi del blog: sono nati con il Vday contro il Porcellum e, ad un anno dalle elezioni, non hanno ancora una loro proposta. Hanno tergiversato, perso tempo, lanciato la consultazione quando i giochi erano già fatti. Se il M5S fosse un partito e non un marchio registrato, l’opposizione interna avrebbe già chiesto le dimissioni del duo.

 

Alcuni deputati e senatori dei “5 stelle” hanno espresso dissenso sui comportamenti di questi giorni. Ci sarà una scissione?

È una strada alla lunga inevitabile, e salutare. Grillo e Casaleggio non riusciranno a contenere a lungo le voglia di “fare” e cambiare le cose dei loro eletti. Non riusciranno per sempre ad imbrigliare l’energia di chi crede nel Movimento e non ha voglia di aspettare ogni volta la sparata dei due padri-padroni per decidere.

 

Ultima domanda: Quanto durerà la linea “isolazionista” del Movimento?

Fino a quando non butteranno a mare i due leader. Guardi che il Movimento 5Stelle parla davvero di temi del futuro, di questioni che riguardano tutti. Perché su questa deve decidere solo Grillo? Provare a proteggere il cambiamento registrandone il marchio – come fatto dalla Casaleggio – e come provare a fermare il mare con le mani. Solo un despota che non accetto di invecchiare, affetto dal delirio di onnipotenza tipico di chi è diventato qualcuno con la televisione, può pensarlo. Ma i tempi sono cambiati caro Beppe, e quelle Cinque Stelle, secondo me, appartengono a tutti. Soprattutto alla sinistra di questo Paese.