Come evolverà nei prossimi mesi il quadro politico italiano? Alla luce dei risultati elettorali delle Amministrative e del Referendum una fase politica, quella berlusconiana, sembra chiusa. Per parlare dei possibili scenari abbiamo intervistato il professor Massimo Cacciari. Continua a leggere
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Quale Italia dopo i referendum? Intervista a Giuseppe De Rita
La straordinaria partecipazione al Referendum di domenica scorsa, con i suoi risultati importanti, sta facendo interrogare la politica italiana, ed anche molti osservatori (giornalisti, politologi e sociologi). Su questo abbiamo intervistato Giuseppe De Rita, presidente del Censis.
Presidente De Rita, la straordinaria partecipazione popolare al Referendum ci consegna un nuovo volto dell’Italia. Qual è, secondo lei, questo volto?
Ma io sono sempre ostile, addirittura contrario, ad idealizzare il nuovo. Il nuovo volto, la nuova Italia, è un’ Italia normale, che ha sempre avuto nei confronti del referendum meccanismi altalenanti: negli ultimi quindici anni non lo ha mai frequentato, poi l’ha frequentato per molti anni e poi ora ha ripreso. Non c’è una nuova Italia, c’è un’Italia un po’ distaccata dalle cose, che, ad un certo punto, coglie l’occasione per dare un segnale di se stessa. Continua a leggere
Spoon River di Arcore…
Forse, il “forse” è d’obbligo, le recenti elezioni amministrative sono l’inizio della fine di un’epoca : quella berlusconiana.
E qualche osservatore cerca d’immaginare come sarà il “dopo” Berlusconi.
In questo tramonto interminabile qualcuno, tra i più bravi giornalisti italiani, prova così ad esercitare la sua fantasia per immaginare come sarà la fine.
E’ il caso di Marco Damilano, inviato politico per il settimanale L’Espresso, con questo libro, pubblicato da Aliberti, dal titolo: Spoon River di Arcore. Antologia di un impero al crepuscolo (pag. 189, € 15,00). Continua a leggere
Il dramma della Fincantieri. Intervista ad Alberto Monticco.
Sono giorni di grande tensione per gli operai della Fincantieri. “La forza della rivolta al sud è stata accompagnata da una violenza che è il simbolo di una rabbia che c’è nel cuore della gente e che non è più contenibile, Quanto sta avvenendo è come la mano di Dio che ci avverte: prepariamoci alla collera dei poveri”. Così monsignor Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro e arcivescovo di Campobasso, commenta con parole forti, riprendendo le parole di Paolo VI, la vicenda Fincantieri e la protesta degli operai. La CEI ha voluto così testimoniare la “grande preoccupazione” dei vescovi per quanto sta avvenendo sul piano sociale e il loro “rammarico per la decisione” dei vertici di Fincantieri “‘di licenziare un numero così alto di lavoratori”( sono 2551, secondo il piano dell’azienda). Una preoccupazione condivisa da tutta la società italiana. Della vicenda parliamo con Alberto Monticco, Segretario Nazionale della Fim-Cisl. Triestino, 46 anni, è stato anche lui un tecnico di Fincantieri. Segue per la sua organizzazione tutta la delicatissima partita della cantieristica. Continua a leggere
Leggendo Gaber…
Sono passati più di otto anni dalla sua morte, avvenuta il 1 gennaio del 2003 a Camaiore (in provincia di Lucca), e bene ha fatto il bravo giornalista Guido Harari a curare questa antologia del suo pensiero, pubblicata da Chiarelettere, Quando parla Gaber (pagg. 147, € 12,00) . Lo stesso autore ha pubblicato, sempre per la stessa casa Editrice, anche “l’autobiografia” del grande cantautore milanese dal titolo assai raffinato: Gaber.L’illogica Utopia.
Ora, con questo volume, continua la sua esplorazione dell’“universo” gaberiano. Lo fa prendendo in analisi il periodo intensissimo, in parallelo al suo “Teatro Canzone” fatto insieme al suo grande amico Sergio Luporini, che va dal 1970 al 2002. Sono un periodo “infinito” per la storia sociale, politica e morale dell’Italia. Trentadue anni in cui il nostro Paese ha vissuto, in maniera drammatica, le stagioni dell’impegno, delle grandi lotti sociali, del decadimento delle “utopie”, del riflusso e infine dell’individualismo radicale di stampo berlusconiano.
Queste stagioni Gaber le ha attraversate senza ipocrisie, cercando con i suoi paradossi, le sue canzoni di proporre un “nuovo umanesimo” alla società italiana. E questo ha fatto sì che in lui si rispecchiasse quella fetta, importante, dell’Italia inquieta che non voleva, e non vuole, rassegnarsi ad un futuro fatto di mediocrità consumista.
Il curatore, nella sua prefazione, scrive che questo libro “va usato come una specie di ‘breviario irreligioso’, per ritrovare sani dubbi e abbandonare false certezze, per uscire dall’anestesia da cui l’Italia pare non voler destarsi”. Si è così questo è un “breviario” (perché poi definirlo irreligioso?) , da “ruminare” nei momenti della quotidianità in cui siamo in preda alla noia.
“Perché odiate per frustrazione e non per scelta? Perché spargete così male la rabbia che vi consuma? Perché vi rassegnate a questa vita mediocre, senza l’ombra di un desiderio, di uno slancio, di una proposta qualsiasi?”. Ecco quello di Gaber non è sterile “contemplazione” dell’esistente ma un lucido richiamo all’azione senza dogmatismi, certo, ma sempre proiettato verso il futuro: “Sono uno che ci crede ancora. Non so bene in cosa, ma credo. E sono malato di conoscenza, di voglia di cambiare le cose.
Di credere che sia possibile vivere in modo non imbecille. E non è detto che gli anni della speranza non ritornino”. Gaber, quindi, è contro la dittatura della stupidità sapendo perfettamente che “adesso è forse più difficile sembrare controcorrente, ma solo perché oggi non c’è nessuna corrente”.
Eppure la sua “santa” anarchia si scagliava contro il nichilismo consumistico, senza sconti : “Per molti aspetti sono gli oggetti che sono saliti al potere e questa ascesa ci trasforma in ‘barbari’”.
Anche sugli italiani ha una sua idea:” “Secondo me, gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. La colpa non è certo degli italiani ma dell’Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato, a volte, addirittura assassini.
Eppure, gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo Paese accettabile, vivibile, addirittura allegro. Complimenti!”. Insomma come si vede Gaber graffia ancora. I suoi interrogativi e il suo pensiero fotografano l’Italia di ieri e anticipano quella vuota di oggi del berlusconismo (“Io non ho paura di Berlusconi in sè, ho paura di Berlusconi in me”) . Sapendo “che c’è una fine per tutto. E non è detto che sia sempre la morte”.