Riforma del “Terzo Settore”: a che punto siamo? Intervista a Luigi Bobba

Luigi Bobba (www.vita.it)

Luigi Bobba (www.vita.it)

Un’importante Riforma sta per essere varata dal Parlamento: si tratta della Legge di riforma del “Terzo Settore”. Ne parliamo con l’on. Luigi Bobba (PD), Sottosegretario al Welfare con specifica delega nei confronti del “Non Profit”

Sottosegretario Bobba, diamo qualche numero: quanto è grande la realtà del “Terzo Settore” in Italia?

L’ultimo censimento dell’Istat – maggio 2014 – ci restituisce un’immagine sufficientemente precisa e affidabile: sono più di 301.000 le organizzazioni non profit che l’Istituto di statistica è riuscito a raggiungere, attingendo ai molti registri in cui tali soggetti sono classificati.
Si tratta prevalentemente di associazioni non riconosciute di dimensioni medio-piccole; che operano nel campo sportivo, culturale e turistico (60%) o in quello socio assistenziale (23%), che mobilitano 4,7 milioni di volontari; che generano un PIL pari a circa 64 miliardi (4,2%) e occupano più di 700.000 persone. Diversamente da quanto si crede, tali soggetti associativi si finanziano mediante risorse private per il 65,9% (tessere, donazioni, vendite di beni e servizi) e, pur trovandoci di fronte a enti non commerciali, il 47% delle loro entrate deriva da vendite di beni e servizi. I loro bilanci però sono, per il 95% dei casi inferiori a 500.000 euro. Vi sono poi circa 3,1 milioni di volontari individuali e quasi il 26% della popolazione italiana ha effettuato una donazione per una finalità sociale.

Però dopo lo scandalo di Mafia Capitale, che ha coinvolto realtà della cooperazione, nell’opinione pubblica è aumentata la diffidenza nei confronti del “terzo settore”. Secondo lei è così? Quali strumenti per evitare il ripetersi di questi episodi?

Le vicende collegate allo scandalo “Mafia capitale” hanno certamente prodotto un danno rilevante in termini di reputazione a tutto il Terzo Settore e in particolare alla cooperazione sociale. Non bisogna però lasciarsi travolgere da questa ondata di giusto sdegno e intervenire in modo che casi simili non si ripetano. Le misure però devono essere appropriate in quanto, delle 301.000 organizzazioni censite dall’Istat, un terzo ha un bilancio inferiore a 5000 euro. Un altro terzo sta nella fascia da 5000 a 30.000 euro di bilancio; mentre più dell’80% delle risorse attivate dal terzo settore, ovvero 52 miliardi su 64 complessivi, è generato interamente dal 4,5% dei soggetti, ovvero poco più di 13.500 organizzazioni. E’ in questo segmento che occorre modificare regole, vincoli e controlli. In parte, con la Legge di stabilità, sono già state emanate alcune norme con questo scopo: per le cooperative sociali, gli affidamenti diretti devono essere sottoposti a procedure ad evidenza pubblica; inoltre, per i soggetti beneficiari del cinque per mille vi sarà l’obbligo di rendicontare con procedure trasparenti le risorse ricevute attraverso questo meccanismo fiscale.
Ancora, bisogna mettere mano al sistema di revisione dei bilanci delle cooperative affidato oggi alle Centrali Cooperative e al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Il passaggio di questa funzione dal Ministero del Lavoro al Mise non ha certo migliorato l’efficacia dei controlli, disperdendo un prezioso patrimonio di competenze. Forse qui è necessario un ripensamento. Infine il Parlamento italiano sarà chiamato a recepire la Direttiva sugli appalti della UE del febbraio 2014. Tale direttiva, da un lato consente di utilizzare, a determinate condizioni, le “clausole sociali”; dall’altro prescrive che tali clausole si possano applicare se i destinatari degli interventi sono soggetti svantaggiati e se le imprese che li realizzano hanno una specifica qualificazione “sociale”.

Veniamo alla “Legge” per la Riforma del “Terzo Settore”. A che punto siamo?

La legge è all’esame della Commissione Affari Sociali della Camera. Si è conclusa la fase di discussione generale e sono stati presentati 430 emendamenti. In questa settimana e nel mese di febbraio verranno esaminati

Quali sono i punti “strategici” di innovazione? Quale sarà il principale vantaggio per il cittadino con questa riforma?

Il cuore della riforma consiste nel riordinare e riformare la disciplina dei soggetti del Terzo Settore alla luce del dettato costituzionale dell’art. 118, ultimo comma “Lo Stato, le Regioni, le Provincie, le Città metropolitane e i Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse personale, secondo il principio di sussidiarietà”. Un dettato semplice e chiaro ma spesso disatteso da una normativa cresciuta senza un disegno, a volte contradditoria e che rischia di complicare la vita ai cittadini che vogliono contribuire, associandosi, al bene comune. Per questo vogliamo arrivare a modificare il Codice Civile, per il riconoscimento di personalità giuridica; costituire un Registro Unico dei soggetti di terzo Settore e favorire quelle realtà che effettivamente generano un valore sociale aggiunto e promuovono la disponibilità all’impegno volontario. Vogliamo altresì riordinare la legislazione fiscale di settore. Vi sono poi due motori aggiuntivi della riforma: una revisione della disciplina del servizio civile per arrivare nel 2017 a 100.000 giovani in servizio; una riforma della legge sull’impresa sociale in modo di favorire la nascita di soggetti imprenditoriali capaci di generare innovazione sociale.

Torniamo al cammino della Legge. In commissione sono stati presentati, come lei ha detto. ben 430 emendamenti. Il PD, il suo partito, ne ha presentati più di cento. In estrema sintesi, che tipo di emendamenti sono? Cosa mettono in discussione della “Riforma”?

Distinguiamo: gli emendamenti dell’opposizione – in particolare dei Cinque Stelle – tendono a scardinare la riforma e ad impedire che si realizzi il disegno voluto dal Presidente del Consiglio. Gli emendamenti del PD e delle altre forze di maggioranza sono correttivi e integrativi. Li valuteremo con attenzione perché vogliamo arrivare ad un testo il più possibile condiviso e soprattutto ad una legge delega con principi chiari e innovativi. Così sarà facilitato anche il lavoro di stesura dei successivi decreti delegati.

Non c’è possibilità, quindi, di dialogo con il Movimento 5 Stelle?

Ho tentato un dialogo con il Movimento 5 Stelle anche prima che la Commissione avviasse l’esame del testo. Ma devo dire che sono deluso dalla linea che sembra prevalere nel loro gruppo politico. Nella discussione generale hanno esclusivamente messo in evidenza i fenomeni opportunistici, quando non illegali che sono presenti in questo mondo. Ma è una lettura che distorce completamente la realtà: il mondo associativo e volontario è un mondo fatto di milioni di persone che dedicano volontariamente tempo e capacità per il bene comune. Anche noi – come dicevano le linee guida – vogliamo distinguere il grano dal loglio. E cioè vogliamo che le risorse pubbliche siano effettivamente e interamente destinate a coloro che agiscono senza scopo di lucro, realizzano attività di interesse generale e producono un effettivo e misurabile impatto sociale. Il caso “Roma” ha poi enfatizzato questa propensione dei Grillini: ma così si finisce per voler statalizzare tutto, anziché promuovere la sussidarietà. Sono d’accordo con l’editorialista del Corriere della Sera, Mauro Magatti, che ha scritto che l’introduzione di norme più severe non è necessariamente una garanzia per vincere la battaglia contro la corruzione. Occorre invece ridurre l’area di intermediazione di risorse pubbliche soggette a decisione politica e chiamare in campo il Terzo Settore promuovendo regole e norme più semplici e trasparenti per l’identificazione dei soggetti nonché obblighi effettivi di rendicontazione sociale. Questa è la strada da seguire.

Ultima domanda: Il Premier Renzi aveva promesso entro Marzo la Riforma. Ci riuscirete?

L’impegno sarà rispettato. A Marzo, il provvedimento andrà in Aula alla Camera per l’approvazione. Nel frattempo avvieremo gruppi di lavoro per preparare i decreti legislativi. Entro metà 2015, la riforma dovrà essere operativa.

PARIGI: I TRE GIORNI CHE SCONVOLSERO IL MONDO. INTERVISTA KHALED FOUAD ALLAM

Khaled Fouad Allam - (ANSA/MARIO ROSAS)

Khaled Fouad Allam – (ANSA/MARIO ROSAS)

Dopo l’immensa manifestazione di ieri a Parigi di solidarietà alla Francia, dopo i criminali attentati terroristici jihadisti, come si svilupperà in Europa il dialogo con l’Islam? Ne parliamo con Khaled Fouad Allam, professore di Sociologia del mondo islamico all’Università di Trieste. Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo l’ultimo, uscito per Piemme, “Il Jihadista della porta accanto”.

 

 

PROFESSOR ALLAM, non possiamo non partire dalla oceanica manifestazione di Parigi (Un “Oceano Pacifico” l’ha definita il “Fatto Quotidiano”). Al di là dell’emozione, qual è il suo giudizio politico su questa manifestazione? 

 

Mi sembra evidente che nei momenti di grande crisi la funzione simbolica della politica è estremamente importante, anche perché, di fronte ad un fenomeno globale, bisogna definire delle risposte, degli approcci che siano globali, sia dal punto di vista della comunicazione politica che dal punto di vista della presa di coscienza. Quindi può darsi che ieri sia nata un “qualche cosa in più”, con questa crisi, ovvero una coscienza europea e planetaria.

 

Sergio Romano, ieri in un editoriale un po’ provocatorio, apparso sul Corriere della Sera,  affermava che “faremmo un grave errore se pensassimo di essere il principale bersaglio dell’Islam jihadista. – per Romano-la vera  guerra è quella che si combatte all’interno del mondo musulmano”. Che ne pensa di quest’ affermazione?

 

Io l’ho scritto vent’anni fa in un saggio, pubblicato da Laterza, dal titolo “La crisi dell’Islam contemporaneo”, dove mettevo a fuoco che c’era una spaccatura, che non è nuova, nasce negli anni 30 tra Shaaria e Stato. Che cosa significa questo? Significa essenzialmente che si oppongono due visioni del mondo, due visioni della ricerca della felicità di ciò che è il soggetto. Su questo l’islam radicale ha amplificato la frattura fino a diventare oggi un terrorismo globale. È vero che questa è anche una guerra dichiarata ai musulmani, l’ha detto il rettore della Moschea di Parigi, affermando che è una guerra dichiarata anche contro i musulmani. Ci sono due visioni diametralmente opposte su che cos’è la società, su che cos’è lo Stato, che cos’è la storia e che cos’è il rapporto fra identità religiosa e identità territoriale, c’è una battaglia di significato che coinvolge il mondo globale e l’Islam.

 

E veniamo al “Califfato dell’ISIS”. Nel suo libro smonta con precisione l’ideologia apocalittica di questa organizzazione del terrore. Però lei fa anche capire che questa ideologia è molto subdola: ovvero il “califatto” pone il problema della crisi dell’islam e della crisi d’ identità del mondo arabo. Può spiegarcelo sinteticamente?

 

Questa crisi d’identità nasce alla fine degli anni 20 quando si abolisce il Califfato, cioè il Califfato voleva dire anche un ordine politico che era durato più di cinque secoli, anche attraverso il Califfato di matrice turco ottomana. Il passaggio dal Califfato allo stato-nazione per il fondamentalismo islamico ha corrisposto ad un vuoto ed è per questo che il principio dei fratelli musulmani è affermare la volontà di tornare ad un Califfato di matrice araba. I punti di programmazione dell’Isis riprendono questo, è una frattura che ha attraversato il XX secolo e noi entriamo nel XXI con questo problema.

 

Un altro punto strategico da lei analizzato è il wahhabismo, ovvero l’interpretazione radicale e “antimodernista” del Corano. Questa corrente sta alla base del radicalismo islamico. Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che l’ Arabia Saudita è la centrale del wahhabismo. Eppure l’occidente è molto timido nei confronti della dinastia wahhabita. Come risolvere questo problema?

 

A questo non ho risposta. La real politikue, attraverso i problemi energetici, fa  chiudere gli occhi  di fronte a questa questione. Il wahhabismo è nato in Arabia Saudita già nel 700 e poi si è trasformato con la nascita dell’Arabia Saudita in una specie di dottrina dello Stato. Tutte queste categorie politiche, con questa crisi, vanno ripensate e ridefinite: cosa può essere un dialogo fra paese e paese.  Cioè verso un “standar” globale che comprende i diritti dell’uomo.

 

Sullo sfondo di tutto questo c’è il grande problema del rapporto tra Islam e modernità e quindi tra Islam e democrazia. Le primavere arabe sono state spazzate vie. Cosa può fare l’occidente per “sfidare” positivamente l’islam verso questo cammino di laicità?

 

Mi sembra evidente che sia quella di fornire gli strumenti educativi e pedagogici in grado di formare le generazioni che vivono la stessa modernità e la stessa democrazia. Quello che manca a queste generazioni è di avere delle figure modello che indichino il cammino verso la libertà. Nella stessa storia dell’Occidente, che è oggi libero, è perché ci sono stati dei pensatori che hanno pensato per loro, siamo il prodotto di un “debito di riconoscimento” nei confronti di alcuni pensatori che hanno pensato per il mondo la libertà. L’Islam ha bisogno di figure del genere, per questo è importante di rivisitare un pensiero come quello di Averroè e di altri filosofi contemporanei Mohammed Arkun.

 

Ultima domanda: lei è cittadino italiano, come giudica l’attenzione della cultura e dell’opinione pubblica del nostro paese nei confronti dell’islam?

 

L’Italia non dà visibilità a questi protagonisti culturali dell’Islam moderato, è assente. Bisogna dare più visibilità nell’opinione pubblica, nelle Università, nelle istituzioni, ecc. perché così facendo si crea un movimento significativo e si colma una frattura con le giovani generazioni dando esempi positivi.

 

La svolta epocale del “Trattato internazionale sugli armamenti”. Intervista a Francesco Vignarca.

Francesco Vignarca

Per la prima volta nella storia si cerca di mettere un controllo internazionale sul commercio delle armi: il 24 dicembre scorso, infatti, è entrato in vigore il “Trattato internazionale sugli armamenti”. Quali i punti fermi? Ne parliamo con Francesco Vignarca, coordinatore della“Rete Italiana per il Disarmo”.

 

 

Vignarca, lo scorso 24 dicembre è entrato in vigore “Il Trattato internazionale sugli armamenti” (ATT), voi delle “Rete Italiana per il Disarmo” lo avete definito come “un passaggio epocale importantissimo”. Perché?

Per noi di Rete italiana per il Disarmo e per tutte le realtà legate alla campagna internazionale Control Arms la notizia di entrata in vigore del Trattato è davvero un traguardo epocale. Da un lato perché figlio della nostra azione lunga 10 anni che aveva come fine quello di una prima regolamentazione del commercio di armamenti. Dall’altro perché proprio questo commercio problematico e ovviamente delicato non aveva, fino ad ora, alcun tipo di controllo o norma di livello internazionale. Per intenderci prima della vigilia di Natale le banane avevano molte più regole internazionali di quante ne avessero i cannoni o le pistole….

A quanti miliardi di dollari ammonta il commercio mondiali di armi?

È molto difficile fornire una stima attendibile del commercio internazionale di armamenti, da un lato perché una buona parte di questo comparto è frutto di accordi intergovernativi riguardanti solo dei pezzi degli armamenti. Per cui è davvero difficile quantificare cosa venga venduto internazionalmente e cosa invece prenda altre strade. Dobbiamo infatti capire che il commercio internazionale di armi è solo una parte della produzione e della vendita delle stesse, che spesso vengono fornite direttamente dalle industrie ad un Governo. D’altro canto poi, a rendere ancora più complicate le valutazioni, c’è l’opacità endemica di questo settore sia per motivi di sicurezza sia peri grandi profitti di natura criminale e correttiva che ne possono derivare. All’inizio della mobilitazione Control Arms si era sempre utilizzata una stima di 40 miliardi di dollari all’anno, ma i recenti cambiamenti dettati anche dall’aumento del comparto dopo l’inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo” ci portano a credere oggi che ogni anno il commercio internazionale di armi valga circa 100 miliardi di dollari.

Definite il “Trattato” come un “grande successo per la Società Civile internazionale”. Perché?

Come già detto in precedenza, questo Trattato non sarebbe mai venuto alla luce senza gli sforzi della società civile internazionale che già a metà degli anni Duemila ha iniziato una grande campagna di opinione e pressione sui Governi affinché venisse intrapresa una strada di regolamentazione normativa internazionale del commercio di armamenti. Senza la “Petizione da 1 milione di volti”, che anche in Italia ha raccolto oltre 40.000 facce, e senza tutta l’azione di pressione a livello delle Nazioni Unite e di singoli Governi portata avanti dalle associazioni e organizzazioni della coalizione Control Arms non saremmo qui a parlare di entrata in vigore del Trattato. Il ruolo propositivo e fondamentale della società civile internazionale è stato inoltre riconosciuto in molte occasioni anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon.

Quali sono i punti fermi di questo “Trattato “, che è molto ambizioso, e quali, invece, i “limiti”?

In attesa di capire i meccanismi di attuazione dei controlli (che sono il punto fondamentale per la buona riuscita di tutto il processo) riteniamo che la cosa più importante sia quella di avere espresso per la prima volta il principio che il commercio internazionale di armi non possa basarsi solo sulle regole del “mercato”. Per la sua natura e la sua problematicità occorre infatti che anche altri criteri (l’impatto sulle vite delle persone e sui diritti umani, la situazione geopolitica delle aree di destinazione) siano presi in considerazione. Dal punto di vista dei contenuti più specifici, a nostro parere (e lo abbiamo detto ripetutamente) ci sono sicuramente cose che non vanno bene. In particolare permangono solo una serie di limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano esclusi sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari. Questi elementi convincono Rete Disarmo a non accontentarsi del risultato ottenuto (che non è però di poco conto e che ci vede positivamente soddisfatti) ma a continuare il lavoro soprattutto in termini di miglioramento futuro del testo e di organizzazione adeguata dei meccanismi della sua implementazione.

Per dare qualche cifra: quali sono i Paesi che hanno ratificato il “Trattato”? Ci sono i Paesi che sono i maggiori esportatori di sistemi d’arma?

Ad oggi il testo di Trattato è stato sottoscritto da 130 Paesi (compresi gli Stati Uniti!) e ratificato da 61, tra i quali troviamo molti dei principali esportatori di armamenti (oltre all’Italia anche la Francia, la Germania, la Spagna ed il Regno Unito). In tal senso l’Europa sta svolgendo un ruolo di primo piano e di positiva guida. Ovviamente l’assenza tra firmatari e ratificatori di paesi come Russia, Cina, India, Pakistan, Arabia Saudita è ancora un problema ma il processo di entrata in vigore doveva comunque iniziare, pena uno stallo completo del percorso. E tutti noi speriamo che la dinamica sia simile a quella di altre Convenzioni internazionali (pensiamo a quella sulle mine anti-persona) che hanno saputo raccogliere nel tempo sempre maggiori adesioni, rafforzandosi.

Il Parlamento italiano è stato tra i primi a ratificare il “Trattato” (al tempo del governo Letta). In che misura l’entrata in vigore del “Trattato” può favorire maggior controllo e trasparenza dell’assemblea nei confronti dell’attività dell’esecutivo?

Noi siamo stati molto contenti che il Parlamento italiano abbia approvato all’unanimità e con una rapidità mai vista nella storia repubblicana il testo di Trattato elaborato in seno alle Nazioni Unite. È chiaramente un successo anche della nostra campagna e della nostra Rete di cui andiamo molto fieri. Riteniamo poi che sia importante che il nostro Paese arrivi ad un protagonismo positivo in questo ambito, possedendo da 25 anni una delle legislazioni più avanzate sulla regolamentazione del commercio degli armamenti. Ciò però deve essere sempre condotto in un ottica di controllo molto alto, perché anche ora e anche per la legge italiana è il governo a svolgere il ruolo principale di controllore. Ma il Parlamento deve continuare a spingere affinché questo ruolo venga esercitato nel migliore dei modi, non accettando più il deterioramento di trasparenza che invece si è verificato negli ultimi anni. Noi riteniamo fondamentale quindi un collegamento con il percorso internazionale per rilanciare ulteriormente quel controllo che ha reso davvero antesignana la nostra legge nazionale. Si tratta quindi di rafforzare due percorsi paralleli, quello nazionale e quello internazionale con il Trattato, riprendendo un ruolo positivo e propositivo del Parlamento spinto anche dalla società civile.

La grande partita sul Quirinale. Intervista a Marco Damilano

Marco Damilano (www.unibo.it)

Marco Damilano (www.unibo.it)

Il 2015 si apre con la grande partita dell’elezione del Presidente della Repubblica. Infatti, come annunciato nel suo discorso di fine anno, in questo mese, probabilmente verso la metà, Giorgio Napolitano darà le sue dimissioni. Come si svilupperà questo delicatissimo passaggio politico? Ne parliamo con Marco Damilano, cronista politico del settimanale “L’Espresso”.

 

Damilano, volendo fare un provvisorio, parzialissimo, bilancio di Napolitano come saranno ricordati questi anni?
«Come li ha ricordati lo stesso Napolitano nell’ultimo messaggio di fine anno. Anni di eccezionalità costituzionale. Per un doppio motivo. L’incrocio tra la crisi economica e la crisi del sistema politico nel 2011 che ha portato al governo Monti, fortemente voluto dal Quirinale. E la rielezione nel 2013, dopo l’impasse politico e costituzionale post-elettorale. Due eventi in cui Napolitano ha giocato un ruolo da protagonista. Con quali risultati? Il presidente ha messo al suo attivo l’uscita da una condizione pericolosa di instabilità. Però, parole ancora sue, “tutti gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi” sul piano dell’economia. Non è responsabilità del presidente, ma governi da lui fortemente sostenuti si sono dimostrati inefficaci nell’affrontare la crisi».

Per alcuni sono stati gli anni della “Supplenza” nei confronti di una politica debole. Per altri, i suoi critici, Giorgio Napolitano ha incarnato una figura di Presidente della Repubblica che è andata oltre il dettato Costituzionale. Esagerazioni?
«Qualcuno parla rispetto ai poteri del Capo dello Stato di fisarmonica. Nel senso che si possono allargare o restringere a seconda delle necessità. Di certo Napolitano è stato un presidente molto sensibile alle dinamiche politiche, ha rappresentato l’unico punto di riferimento anche sul piano internazionale di una politica che tendeva a disgregarsi. Quando fu eletto la prima volta a maggioranza assoluta, nel 2006, il suo grande elettore fu Prodi e c’era il governo dell’Unione, si è trovato a dover sciogliere quasi subito le Camere nel 2008, ha gestito il centro-destra di Berlusconi nella fase di massimo potere e poi nel crollo, quindi ha visto l’ascesa del Movimento 5 Stelle e quindi di Matteo Renzi da cui lo dividono cinquant’anni di età e un abisso per origini culturali e approccio ai problemi, ma lo unisce una comune idea sul primato della politica. Il paradosso di Napolitano è stato il suo essere un presidente espressione del sistema politico tradizionale che si ritrova costretto a operare strappi continui rispetto alle regole materiali di quel sistema».

Veniamo al discorso di fine anno. Un addio per niente sereno, date le condizioni pesanti dell’Italia, con toni marcati di grande preoccupazione (dalla crisi economica alla corruzione). Ha lanciato però segnali molto chiari, verso la fine, a proposito del suo successore: ha parlato di “senso della Costituzione”. Un segnale forte ai “grandi elettori” del prossimo Presidente. E’ così?
«Sì, ma come abbiamo visto il senso della Costituzione cambia a seconda delle circostanze. In quella frase c’è chi vede l’indicazione di un giudice costituzionale: Sabino Cassese o Sergio Mattarella o Giuliano Amato. Oppure una figura come il magistrato Raffaele Cantone. A me sembra soprattutto che Napolitano voglia giocare un ruolo sulla sua successione. A differenza di Ratzinger che dopo le dimissioni non è potuto entrare nel Conclave che ha eletto papa Francesco, Napolitano come senatore a vita potrà partecipare, se lo desidera, all’elezione del suo successore».

Ogni elezione presidenziale ha una sua storia e un suo “regista”. Questa volta tocca a Matteo Renzi. Come si muoverà? Lucia Annunziata, nel suo editoriale su L’HuffingtonPost, parlava di due alternative per Renzi: o fare eleggere un “avatar” (una sorta di seconda figura in modo da non ostacolare la sua visibilità) oppure un suo “pari”, ovvero un Presidente di grande spessore capace di bilanciare, come è giusto nella logica democratica, il potere dell’esecutivo. E’ giusta, secondo lei, questa alternativa?
«L’alternativa è questa. Renzi intende normalizzare il sistema politico italiano riportando il cuore delle decisioni a Palazzo Chigi, dove c’è il capo dell’esecutivo, cioè lui. In sintonia, si dice, con quanto succede in Inghilterra o in Germania, dove la centralità del potere politico spetta al premier o al Cancelliere, non alla regina o al presidente federale. Il Quirinale interventista sarebbe in questo schema un’anomalia da chiudere. Io credo però che Renzi sappia anche che in Italia i poteri costituzionali del presidente sono diversi da quelli del presidente tedesco. E che un nome spendibile sul piano internazionale sia un aiuto anche per lui, soprattutto in caso di scontro con le istituzioni europee».

Berlusconi e il Movimento 5Stelle quanto influenzeranno la partita per il Colle?
«Berlusconi si è già messo in una condizione di subalternità: voterà il nome del Pd di Renzi chiunque egli sia. Ma questa disponibilità è destinata a far innervosire parecchia gente, nel Pd ma anche in Forza Italia. M5S è di fronte alla tentazione di entrare nel gioco, come ha già fatto con successo in occasione dell’elezione di una giudice della Corte costituzionale. Oppure restare nel gioco più tradizionale, restare fuori dalle trattative e gridare all’inciucio. Arma spuntata, però, come si è visto».

Ultima domanda: Di nomi se ne fanno tanti. Chi, secondo lei, ha più chance? Romano Prodi può farcela stavolta?
«Se Renzi se la gioca in senso alto, prova a chiudere con Forza Italia e con una parte di M5S un accordo sul nome di Prodi. È il candidato con il curriculum più prestigioso, da tempo non è più un uomo di partito, da uomo di Maastricht si è trasformato in uno dei critici più severi dell’austerità alla Merkel e ha una rete di relazioni internazionali impressionanti. A Berlusconi può garantire che la pace si fa con il nemico, tra gli iscritti al blog di Grillo è già stato inserito nella top ten dei candidati nel 2013 e se i deputati e senatori di M5S avessero avuto il coraggio di votarlo la storia sarebbe cambiata. Se invece l’elezione si trasforma in una ruota della fortuna da cui può emergere un nome più debole, la lista degli aspiranti diventa lunghissima. E pescare la carta vincente sarà come giocare al mercante in fiera».

Papa Francesco: Ecco le Piaghe della Chiesa. Il discorso di Bergoglio alla Curia Romana

Papa Francesco (foto de "L'Osservatore Romano")

Papa Francesco (foto de “L’Osservatore Romano”)

“Francamente non era mai successa una cosa simile”. Non nasconde il proprio stupore il cardinale Giovanni Lajolo, ex-governatore e ministro degli Esteri vaticano. «È la prima volta che accade: mai un Papa aveva posto a noi curiali un catalogo di patologie sulle quali interrogarci». Le parole del Cardinale Lajoolo, in una intervista al sito del quotidiano torinese La Stampa (http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/lajolo-38226/), davvero sintetizzano meglio di altri la portata storica del discorso di Papa Bergoglio, tenuto ieri in Vaticano, nella Sala Clementina, ai membri della Curia Romana. Una sferzata davvero! 15 sono le piaghe che affliggono la Chiesa di Roma. Il testo ricorda, per certi versi, un testo profetico di un grande pensatore cattolico dell’Ottocento: Antonio Rosmini. Il filosofo trentino parlava delle Cinque Piaghe della Chiesa Cattolica. Così, a distanza di quasi due secoli , un Papa gesuita sferza la Chiesa con la stessa forza profetica.  Di seguito pubblichiamo il testo integrale (Dal sito: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/december/documents/papa-francesco_20141222_curia-romana.html)

 
La Curia Romana e il Corpo di Cristo 
 “Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei fatto come noi” (Sant’Atanasio)
 
Cari fratelli, 
Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua Vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.
Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi – collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo – e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero ringraziarvi cordialmente, per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.
Essendo noi persone e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai loro famigliari va il mio pensiero e gratitudine.
Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.
E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.
Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»[1]. Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12)[2].
In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” – Christus totus -. La Chiesa è una con Cristo»[4].
E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.
In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].
Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia – come la Chiesa – non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato lontano. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non potremo fare nulla (cfr Gv 15, 8).
Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7]. Eppure essa, come ogni corpo, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie curiali. 
Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie – sulla strada dei Padri del deserto, che facevano quei cataloghi – di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.
1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8]. 
L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10).
2. Un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni cosa» (3,1-15).
3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e un “duro collo” (At 7,51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].
4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. Quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza, 
 fantasia, novità»[10].
5. La malattia del cattivo coordinamento. Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.
6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.
7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]. Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,19).
8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).
9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!
10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. 
Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.
11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.
12. La malattia della faccia funerea. Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13]. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.
13.La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel 
vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo … Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19). 
L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”. I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.
14.La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc 11,17).
15.E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare – delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!
Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario.
Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo – l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo… nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» – a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: “Ipse harmonia est”, dice san Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].
La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].
Dunque, siamo chiamati – in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza – a vivere «secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).
Cari fratelli!
Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa. Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici; sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa 
come l’ha amata Cristo, suo figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.
Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!
 
 
[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima: AAS 35 [1943], 200).
[2] Cfr Rm 12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri».
[3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.
[4] Da ricordare che “il paragone della Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo” Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 789 e 795.
[5] Cfr. Evangelii Gaudium, 130-131.
[6] Gesù più volte aveva fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: “Come il tralcio non può portar frutto da sé stesso se non rimane unito alla vite, così neanche voi, se non rimarrete uniti in Me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5).
[7] Cfr. Pastor Bounus Art. 1 e CIC can.
[8] Cfr. Evangelii Gaudium, 197-201.
[9] Benedetto XVI Udienza Generale, 01 Giugno 2005.
[10] Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014.
[11] Cfr. Evangelii Gaudium, 95-96.
[12] Ibid, 84-86.
[13] Ibid, 2.
[14] Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un’anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen.
[15] Evangelii Gaudium, 88.
[16] Il Beato Paolo VI riferendosi alla situazione della Chiesa affermò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», Omelia di Paolo VI, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Giovedì, 29 giugno 1972. Cfr. Evangelii Gaudium, 98-101.
[17] Cfr. Evangelii Gaudium: No alla mondanità spirituale, N. 93-97.
[18] “Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo… Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore” (Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014).
[19] August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII, 754.
[20] Cfr. Evangelii Gaudium, Pastorale in conversione, n. 25-33.