A Lezione di Leadership da Steve Jobs

41VrggDnikL._SL160_A tre anni dalla sua scomparsa Steve Job, il geniale e bizzarro cofondatore della Apple, continua ad essere studiato, e adulato, nelle Business school statunitensi, e non solo, come una “sacra”  icona cui riferirsi per avere successo nel business e nell’innovazione tecnologica.  Un “mito” indiscusso per il “sogno” americano. Nella realtà, invece, la figura di Job si carica di non poche ombre. Tanto che l’autorevole “New York Time”, qualche giorno fa, si è domandato polemicamente “se Steve Jobs fosse ancora vivo, oggi dovrebbe stare in carcere?”.  La domanda si riferiva al ruolo di Jobs nella “costruzione” di cartelli contro la concorrenza nella “Silicon Valley” californiana (in particolare quello relativo alle assunzioni degli ingegneri, in modo da evitare che le aziende potessero assumere tecnici provenienti dai concorrenti ed evitare, così, aumenti di stipendi legati al mercato concorrenziale).  Sappiamo quanto per la cultura americana l’antitrust sia una cosa seria, e questo peccato non riguarda solo Jobs ma anche altri manager americani.

Certo, per qualche adulatore,  il “genio” di Jobs non poteva sottostare alle regole che valgono per altri “comuni” mortali.  Il “fenomeno” Jobs resta, comunque, uno dei casi più importanti di successo nella storia dell’imprenditoria tecnologica mondiale.

E così in questo libretto (Steve Jobs, Lezioni di Leadership, Mondadori, 2014, pagg. 103, € 12,00) , che sta avendo un buon successo nella classifica dei libri più letti, il maggior biografo di Steve Jobs, Walter Isaacson, che  attualmente è Amministratore Delegato dell’Aspen Institute, ci offre le “regole” (per quanto Jobs, in vita, sia stato poco incline alle regole) e i “segreti” del successo di Jobs e della sua creatura, la Apple.

E con la Apple Jobs è riuscito a creare prodotti rivoluzionari che hanno cambiato il modo di essere occidentale.

In questa storia certamente ha molto influito il carattere ruvido e bizzarro di Jobs,  uomo capace di grandissime sfuriate con i suoi sottoposti ma al tempo stesso di immensi silenzi (frutto del suo culto Zen).

In Jobs c’era un condensato della cultura californiana degli anni ’60 (quella della beat generation) , fatta di ribellione agli schemi (che poi si è riversata nella “sua” Apple con lo slogan “Think Different”: Ai folli. Ai piantagrane. A tutti coloro che vedono le cose in modo differente..), ma anche della cultura umanistica (il pensare agli ingegneri della sua azienda come “artisti”, con spiccato senso estetico, della tecnologia), insomma un mix non facilmente eguagliabile.

Ed ecco alcune delle 14  “regole” del successo di Jobs: Concentrati e semplifica (si perché “decidere quello che non si deve fare è non meno importante che decidere quello che si deve fare” e la “semplicità è la massima raffinatezza) , Diventa responsabile dell’intero processo, Quando sei indietro fai un passo in avanti, Pensa ai prodotti prima che ai profitti, Non essere schiavo dei Focus Group, Plasma la realtà, Lavora con i migliori e Punta alla perfezione (La “perfezione” ricercata anche nelle parti nascoste di un computer o iphone: “Voglio che ogni cosa sia più bella possibile, anche se nessuno la vedrà mai).

Ma la regola più importante per Jobs e per la sua creatura, la Apple, resta il famoso: “Stay hungry, stay foolish” (restate .affamati, restate folli).  Pur con i limiti della sua persona, e con le sue ipocrisie, Steve Jobs resta un genio indiscusso. “Perché solo coloro che sono da pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero”

Appello all’Europa per il Lavoro. Un documento della Gioc

In occasione della Festa del Primo Maggio, festa del Lavoro, il coordinamento europeo della GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) ha diffuso un documento molto critico nei confronti sulla condizione lavorativa dei giovani europei.  Lo pubblichiamo integralmente.

Cos’è la Gioc?

La Jeunesse Ouvrière Chretienne (JOC) è nata in Belgio poco dopo la prima guerra mondiale dalla dolorosa constatazione che il lavoro e l’ambiente di lavoro non solo allontanavano migliaia di giovani lavoratori dalla Chiesa, ma ancor più li disumanizzavano, degradando la loro vita spirituale. Suo fondatore fu un prete, Joseph Cardijn (1882 – 1967).

Prima di lui molti avevano fatto la medesima constatazione e cercato rimedi. Le soluzioni però rimanevano nella linea della pastorale tradizionale del tempo centrata sulle opere per la gioventù come i patronati, le associazioni sportive, gli oratori. L’obiettivo principale di queste iniziative consisteva nel sottrarre i giovani per qualche ora la settimana al loro ambiente, per introdurli in un “bagno spirituale”. 
Il grande merito di Cardijn consiste nell’aver compreso che queste soluzioni erano inadeguate: invece di ritirare i giovani lavoratori dal loro ambiente, Cardijn li invierà in esso come apostoli incaricati di una missione umana e divina.

“Anche quest’anno, i movimenti GIOC si mobilizzano per celebrare il Primo maggio.

 

Abbiamo sempre in mente la lotta dei lavoratori di Chicago del 1886, per ottenere una giornata lavorativa di 8 ore, dalla quale è nata la festa del Primo Maggio.

Anche quest’anno, scendiamo in strada per difendere i nostri diritti, scendiamo in strada per dimostrare che un altro mondo è possibile.

Questo Primo Maggio, come movimenti GIOC dell’Europa abbiamo deciso di evidenziare situazioni che vanno contro la dignità dei giovani.

Denunciamo la situazione di disoccupazione giovanile in Spagna. Le ultime indagini sulla forza lavoro in Spagna, rivelano che il 55,1% dei giovani con meno di 25 anni, è disoccupato. Non sono solo statistiche a preoccupare, ma le reali tragedie vissute dietro i numeri: migliaia e migliaia di giovani che non possono raggiungere i propri obiettivi personali e costruire il proprio progetto di vita. Insieme ai dati sulla disoccupazione, vogliamo inoltre denunciare l’obbligo di lavorare a tempo determinato e occasionale, le tasse sempre più alte, l’aumento delle spese per l’istruzione, la diminuzione del numero di borse di studio, il numero di giovani che è costretto ad emigrare per trovare lavoro, e la scandalosa realtà di coloro che vengono in Spagna per trovare un lavoro e trovano le nostre porte chiuse.

 

Denunciamo le condizioni di vita dei giovani in Portogallo. Infatti, la percentuale di giovani disoccupati under 25 è del 36,1% e molti giovani vivono grazie ai proventi dei cosiddetti “lavoretti”.

 

Alcuni sono disoccupati, altri si trovano forzati a intraprendere una formazione che non è appropriata e che serve solo a far diminuire i numeri relativi alla disoccupazione. Inoltre, denunciamo le precarie condizioni di lavoro di molti giovani che sono “falsi dipendenti” e non possono accedere alla protezione sociale. Questo, insieme alla mancanza di opportunità lavorative, obbliga migliaia di giovani ad emigrare in altri paesi.

Denunciamo la moltitudine di contratti che esistono in Italia e il lavoro nero che ne è spesso conseguenza. In Italia infatti ci sono 3 milioni di persone che non hanno un contratto di lavoro, tra i quali i giovani rappresentano una larga percentuale; non solo questo è illegale, ma non garantisce protezione. Chiediamo che il Governo semplifichi il numero elevato di contratti (46 in totale) e informi i giovani rispetto alle conseguenze del mercato nero e del lavoro non dichiarato.

 

Riaffermiamo inoltre che tutti i lavori, indipendentemente dalla tipologia e dal salario, hanno lo stesso valore e possono permettere a ciascun giovane di vivere con dignità. Crediamo che prima venga la persona, e solo dopo il lavoro. I movimenti europei supportano anche la posizione della GIOC dell’Inghilterra e del Galles, in merito a questo problema.

In Ungheria, i giovani faticano a trovare un lavoro che sia connesso alla propria formazione e che permetta loro di pianificare il proprio futuro. Molti giovani perdono la speranza e vedono come unica soluzione quella dell’emigrazione. La GIOC dell’Ungheria vuole far capire ai giovani che questa non è l’unica risposta al problema.

 

Non siamo d’accordo con il collegamento che esiste a Malta tra educazione e disoccupazione. I giovani, specialmente le ragazze, non possono trovare lavoro inerente al proprio percorso di studi e alle proprie competenze. Così si ritrovano disoccupati o con lavori non inerenti a quanto studiato. La sola alternativa rimane l’emigrazione.

 

La GIOC della Francia non è d’accordo con il sistemico utilizzo dei contratti precari e temporanei. Oggi, il 52% dei giovani sono disoccupati, nelle aree urbane più svantaggiate. Situazioni come queste impediscono di fare piani a lungo termine e di costruire un futuro stabile.

 

Cosa vogliamo dall’Europa:

 

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, non siamo d’accordo con le situazioni che vivono i giovani lavoratori a causa del sistema che preferisce il “fare profitti” piuttosto che dare possibilità ai giovani di pianificare il proprio futuro.

Come dice Papa Francesco «La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale.» EG 203

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, vogliamo costruire un’Europa per uomini, donne, giovani, e non per il denaro. Papa Francesco ci ricorda sempre: dobbiamo mettere l’uomo al centro e considerare l’umanità come una risorsa, non come un profitto. Nella sua esortazione, ha detto: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide.»EG 53 Vogliamo ribadire che la gioventù è una risorsa per l’Europa e un rischio!

 

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, vogliamo costruire un’Europa con maggiore equità, nella quale i lavoratori non siano solo considerati consumatori.

 

Vogliamo un’Europa che sia una comunità. Vogliamo che si sviluppi la cooperazione tra paesi e non la competizione.

Vogliamo un’Europa nella quale i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia del proprio impiego, siano considerati nello stesso modo, garantendo loro la dignità. Non vogliamo che il lavoro imprenditoriale sia la sola alternativa.

Vogliamo un’Europa sostenibile, nella quale si possa trovare lavoro. Vogliamo costruire un’unione di persone che tenga conto delle differenze culturali. Affermiamo che la condivisione delle nostre culture è una ricchezza e non una minaccia.

Vogliamo un’Europa che garantisca le stesse opportunità a tutti i suoi giovani.

Oggi stiamo sperimentando la competizione tra i giovani, ma vogliamo invece cooperazione tra i paesi europei. Vogliamo costruire un’Europa unita. Sfortunatamente, la sola risposta dell’Unione Europea è quella di sviluppare contratti speciali per i giovani.

Vogliamo una gioventù europea solidale, che abbia un posto reale nel processo decisionale. Vogliamo che la nostra voce sia ascoltata e presa in considerazione. Vogliamo che ogni giovane possa vivere con dignità in Europa. Vogliamo dare a tutti i mezzi per essere coinvolti nella costruzione dell’Europa. E’ importante per noi dare la possibilità ai giovani della classe operaia di conoscere maggiormente l’Europa, e di avere mezzi per intraprendere azioni.

 

Ci auguriamo che quanti sono impegnati nella creazione di politiche nazionali ed europee, pensino ai benefici dei giovani. Come il Papa Francesco dice nella sua esortazione: «Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini.»EG 205
I movimenti GIOC in Europa si alzeranno e agiranno per questo. Questo schema guiderà il nostro voto il 25 Maggio 2014.”

 

Dal sito: ( http://www.gioc.org/gioc/news/39-messaggio-dai-movimenti-gioc-dell-europa-per-il-primo-maggio-2014 )

Due Papi, Due Santi? Intervista a Massimo Faggioli

imagesLa giornata del 27 aprile sarà un evento mondiale. Per la doppia canonizzazione di due Papi, Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, sono attesi cinque milioni di pellegrini.  Per  capire un po’ più in profondità questo avvenimento abbiamo intervistato il professor Massimo Faggioli, Professor of History of Modern Christianity all’University of St. Thomas di Minneapolis (USA).

 

 

 

Professor Faggioli, questa della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni-Paolo II è sicuramente un atto molto significativo di Papa Francesco. Qual è il significato “storico – teologico” di questa doppia canonizzazione ?

 

Sono due papi legati alla storia del concilio, specialmente Giovanni XXIII. Il messaggio è che la chiesa e  il papato di oggi non sono comprensibili senza il Vaticano II – specialmente senza Giovanni XXIII che ebbe l’idea di convocarlo. Ma la doppia canonizzazione serve a dare un equilibrio a due volti della chiesa contemporanea complementari ma diversi.

 

 

Ad un osservatore “malizioso”, però, non può sfuggire che da un lato si proclama Santo Giuseppe Roncalli, il Papa della tenerezza e del Concilio Vaticano II (Il Concilio dell’apertura della Chiesa al mondo), e dall’altra si proclama Santo Karol Woitjla, il Papa, per certi versi, della “restaurazione” (il termine è volutamente forte). Non si rischia una contraddizione ?

 

È anche una contraddizione, ma se vogliamo meno contraddittorio della prima coppia di papi santi a cui pensò Paolo VI nel 1965, ovvero Pio XII e Giovanni XXIII. La differenza tra i due è non al livello della santità personale, ma in termini di memoria di chiesa circa la loro azione sulla chiesa come papi. Da questo punto di vista non c’e’ dubbio che la canonizzazione di Wojtyla lascia perplessi alcuni, se si pensa ad alcuni casi ancora aperti e controversi (come la questione dei Legionari di Cristo).

 

Roncalli aveva una “sapientia cordis” capace  di rompere le barriere tra gli uomini. E’ questo il lato più immediato e popolare di Giovanni XXIII. Qual è il messaggio “perenne” per la Chiesa?

 

Due cose direi: la “medicina della misericordia” (che Roncalli imparò su se stesso dopo gli anni del seminario) e i “segni dei tempi” (la necessità per la chiesa di essere cosciente del mondo, perche’ la chiesa esiste per la salvezza del mondo). Non a caso sono elementi molto visibili anche in papa Francesco.

 

 

Wojtila è stato un uomo “drammatico” (ovviamente nel senso nobile del termine). Il suo era un cristianesimo  militante, molto “politico” (la sua battaglia epocale contro il comunismo) . Certamente un Papa che nella fase finale della sua vita ha testimoniato con forza la sua fede. Insomma il lungo pontificato di Wojtila ha le sue grandi luci  e le sue ombre (ad esempio l’incomprensione verso Monsignor Romero). Anche qui qual è il messaggio “perenne”  per la Chiesa?

 

Il messaggio perenne direi che è la volonta’ di un papa di reagire a grandi trasformazioni in corso nel mondo di fine novecento: la fine della guerra fredda, i mutamenti biotecnologici, la questione del gender. In questo senso il messaggio lasciato da Giovanni Paolo II e’ ancora difficile da giudicare storicamente: molto del suo insegnamento in materia morale non è (ancora?) stato recepito dalla chiesa e in certe parti di chiesa (come nelle Americhe) e’ accusato di essere la causa di molti problemi di oggi – non ultima, la repressione della teologia della liberazione in America Latina.

 

 

Insomma due “ecclesiologie” si confrontano. Von Balthasar, il grande teologo  svizzero, affermava che la “Verità è sinfonica”. C’è però, un punto critico nel cristianesimo wojtiliano: quello delle grandi adunate.  Eppure la secolarizzazione ha “galoppato” molto nel mondo contemporaneo.  Papa Francesco, che gode di immensa popolarità, è consapevole di questo “rischio”?

 

Credo che Francesco sia consapevole, anche se lo strumento che deve usare – il papato mediatico – non è diverso. Ma si vede che lo stile di Bergoglio è diverso da Wojtyla: certamente piu` roncalliano che wojtyliano.

 

Ultima domanda: Dal suo osservatorio americano come viene vissuta dai cattolici statunitensi questa duplice canonizzazione?

 

La figura di Giovanni XXIII e’ piu’ vicina ai cattolici laici di una certa generazione, quella del concilio e del primo post-concilio. Giovanni Paolo II e’ piu’ vicino al clero e ai vescovi di oggi, e alla generazione che lo vide in televisione e in terra americana tra gli anni ottanta e novanta. Ma per il cattolicesimo americano tutto Giovanni XXIII e’ l’ultimo papa veramente popolare, al di sopra delle polemiche. Per gli americani, dopo l’enciclica di Paolo VI “Humanae Vitae” del 1968 sulla contraccezione, il papa non e’ stato piu’ lo stes

Il Si della Consulta alla Fecondazione Eterologa: Una scelta di civiltà? (2) Intervista a Padre Luigi Lorenzetti

luigi-lorenzetti_2903850_702487

Luigi Lorenzetti

 

Concludiamo, con questa seconda intervista, la nostra piccola inchiesta sulla fecondazione eterologa. Padre Lorenzetti è tra i maggiori  italiani, docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e collaboratore di varie riviste fra cui Famiglia Cristiana, dove cura la rubrica “Il teologo”.

 

 La Legge 40 sulla Fecondazione medicalmente assistita ha subito “smantellamenti” , in questi 10 anni di “”vita”, continui. Sono  state 30 le sentenze di tribunali civili,  frutto di un bipolarismo etico assai poco convincente. Qual è  stato il grande limite di questa legge?

La legge 40 del 2004, nel regolare la procreazione medicalmente assistita (Pma) intende conciliare due valori-base: il primo è il legittimo desiderio al figlio che è proprio della coppia sposata (e, per estensione, anche alla coppia di fatto stabilmente unita). Da qui il divieto della fecondazione eterologa (con ovociti o gameti fuori della coppia). Il secondo è il bene-diritto  del concepito (nascituro, embrione). Al riguardo, la legge 40 presuppone che l’embrione è, fin dall’inizio, un essere umano reale con potenzialità di sviluppo (e non già essere umano potenziale); è qualcuno e non qualcosa; ha valore finale  (bene per se stesso) e non strumentale sia pure in vista di alte finalità sociali. Da qui il divieto della diagnosi prenatale finalizzata alla selezione degli embrioni; della produzione di non più tre embrioni per evitare la crioconservazione e, quindi, la loro eventuale perdita, come anche di evitare gravidanze plurime.

La legge 40, in riferimento alla tutela dei due valori in gioco, è stata considerata (ed è) una buona legge, sebbene sia stata (ed è) criticabile per opposti pareri: alcuni sostengono che la legge si sbilancia eccessivamente a favore del concepito a danno della coppia; altri, al contrario, affermano il rovescio, in quanto favorisce la coppia a danno del  concepito (nascituro). Si può facilmente constatare  che la legge italiana è più restrittiva rispetto a quelle di altri paesi europei. D’altra   parte, nessun tipo di legislazione è criterio e misura di altri tipi. Ogni legislazione è giudicabile e giudicata in base ai valori (diritti) umani che tutela o mano. È piuttosto auspicabile un confronto critico tra le varie legislazioni.

Veniamo alla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa. Per il Settimanale “Famiglia Cristiana” si tratta di una follia italiana in quanto potrebbe favorire una “fecondazione selvaggia per tutti”.  Qual è il suo parere?

La fecondazione eterologa, a differenza dell’omologa, compromette il diritto del nascituro a una famiglia, a genitori certi, a un’identità genetica chiara; inoltre equivoca il concetto di paternità/maternità e di filiazione.

La sentenza della Consulta “smantella” dalla legge 40 il divieto della fecondazione eterologa, accogliendo le critiche che, in questo decennio, sono state poste all’opinione pubblica: il divieto discrimina un gran numero di coppie per le quali l’omologa non è praticabile; favorisce il turismo procreativo di quanti se lo possono permettere e altre motivazioni ancora.

Come prima reazione: è palese che la sentenza non interpreta ma stravolge la legge 40 proprio nell’ intento di conciliare i due valori in gioco, di cui si è detto precedentemente. La sentenza è sbilanciata nel favorire il desiderio della coppia, compromettendo il bene-diritto del nascituro ad avere genitori certi. Il figlio è posto, per legge, di fronte all’ambiguità tra genitori biologici e genitori sociali.      

 

Dal punto di vista delle coppie  sterili questa sentenza è una buona notizia. Ma la maternità e la paternità biologica sono ancora un valore per la società secolarizzata?

Sono insostenibili due visioni estreme: quella che sostiene principalmente se non esclusivamente la dimensione biologica; ugualmente l’altra che sostiene che la vera genitorialità è quella di chi fa crescere il figlio. In verità, la dimensione biologica e la dimensione  affettiva sono distinte, ma non separabili. La genitorialità biologica e la genitorialità spirituale non sono realtà, ma due dimensioni dell’unica realtà.

 

E’ giusta l’esclusione di single e per le coppie omosessuali ?

Il criterio primario da seguire non è il desiderio dell’adulto, ma il bene del minore. Nel caso della coppia o unione omosessuale, il minore parte oggettivamente svantaggiato per una serie di controindicazioni: il necessario ricorso alla fecondazione artificiale e, quindi, la violazione del diritto del nascituro ad avere genitori certi; inoltre, per crescere umanamente, il minore ha  bisogno, anche secondo le acquisizioni delle scienze umane, di due genitori nella versione maschile/femminile e non di due padri o di due madri. È vero che tanti minori, di fatto, sono in condizioni proibenti la crescita psicologica e umana anche in coppie eterosessuali, ma questo non giustifica introdurre, per legge, scelte e decisioni così cariche di problematicità.

 

Anni fa il filosofo laico tedesco Jurgen Habermas  metteva in guardia verso lo “scivolamento di una genetica liberale, vale a dire una genetica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta”. Adesso con questa sentenza cade l’ultimo mattone su cui reggeva la legge 40, quindi si torna indietro di 10 anni. Quindi si porrà il problema di una nuova normativa. E’ possibile un cammino più laico di quello fatto con la legge 40? Ovvero raggiungere una mediazione alta su questo tema delicatissimo?

La legge civile non è né religiosa né atea, deve essere giusta; e lo è in riferimento a valori(diritti) umani.

Nel contesto sociale e culturale pluralista, è necessario ripensare il rapporto tra morale (norma morale) e diritto (norma giuridica). Le leggi civili non sono giuste/ingiuste perché conformi/contrarie a una morale di tipo confessionale. Sono, invece, giuste/ingiuste in base alla morale fondata sui valori (beni, diritti) umani, che tali sono a prescindere da appartenenze culturali, religiose, etniche.  

 

Nel 2005 la Chiesa italiana entrò con forza nella battaglia referendaria sostenendo l’astensione. Ma era la  Chiesa del Cardinale Ruini. Oggi con Papa Francesco quale sarà secondo lei l’atteggiamento della Chiesa?

I proponenti il referendum del 2005 intendevano condurre a cancellare i quattro divieti: la fecondazione eterologa, la diagnosi-preimpianto; la crioservazione; la sperimentazione degli embrioni. Il referendum non ha avuto seguito, perché non ha raggiunto il quorum richiesto. L’astensione è stata sostenuta dalla Chiesa, tuttavia, si deve riconoscere che, tra i 73% degli astenuti, non c’era soltanto il mondo cattolico ossequiente al card. Ruini.

Con Papa Francesco, i cattolici, da cittadini si sentono impegnati, in modo democratico e laico, per una legislazione sulla fecondazione artificiale che sia conforme o la più conforme possibile ai valori (diritti) umani. Non si tratta, infatti, di una questione religiosa, ma umana, laica. Il confronto, pertanto, deve avvenire tra una posizione ragionevole, meno ragionevole o più ragionevole.

Non è superfluo osservare che prima di una questione legislativa c’è una questione morale. Il fenomeno della procreazione medicalmente assistita evidenzia il desiderio profondo della paternità/maternità che viene raggiunto di frequente con grande dispendio di energie, anche economiche. È un evento che merita rispetto e ammirazione, ma questo non giustifica ogni modalità per ottenerlo: il fine buono (avere il figlio) esige che siano buone anche le modalità per averlo. Quando queste oggettivamente mancano, perché non pensare a forme alternative di vera paternità/maternità, quali l’adozione, l’affidamento? La Chiesa si sente impegnata nel formare le coscienze sul senso dell’apertura alla vita, così che agiscano non per costrizione (nemmeno per costrizione di una norma morale), ma per convinzione e consapevolezza personale.

 

 

(la foto di Padre Lorenzetti è tratta dal sito www.famigliacristiana.it )

 

Il Si della Consulta alla Fecondazione Eterologa: Una scelta di civiltà? (1) Intervista a Giorgio Tonini

medium_110305-183037_mi111207pol_0005Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa si è acceso un forte dibattito nell’opinione pubblica sulla Legge 40. Pubblichiamo la prima intervista su questo tema, lo facciamo con  il Senatore Giorgio Tonini del PD, che è stato, all’epoca della discussione e approvazione della Legge 40,  capogruppo dei DS in commissione sanità e relatore di minoranza della legge.

 

La Legge 40 (quella sulla Fecondazione medicalmente assistita) ha subito “smantellamenti” , in questi 10 anni di “”vita”, continui. Sono  state 30 le sentenze di tribunali civili. La legge  è frutto di un bipolarismo etico assai poco convincente. Qual è  stato il grande limite di questa legge?

 

Il doppio limite della legge 40 è stato quello di essere una legge ideologica, anche a costo di affermare norme irragionevoli, e di essere stata approvata con una maggioranza divisiva, nella più assoluta sordità alle ragioni altrui. Il principale aspetto ideologico della legge 40 è stato la pretesa di affermare uno statuto giuridico dell’embrione umano come persona, anche fuori dal corpo della donna, dunque “in provetta”. Doveva essere una sorta di rivincita rispetto alla legge 194, che tuttavia non si è avuto il coraggio di mettere in discussione a viso aperto. Il risultato è stato paradossale e irragionevole: il combinato disposto della 40 e della 194 portava infatti l’ordinamento giuridico italiano a tutelare in modo assoluto l’embrione in provetta, considerato persona sacra e inviolabile, “fermo restando quanto stabilito dalla 194”, ossia la dipendenza del feto, nei primi mesi di gravidanza in modo pressoché totale, dal principio di autodeterminazione della donna. Una contraddizione insostenibile, che la Corte, come era prevedibile e come avevamo previsto nel corso del lungo e inutile dibattito in Senato, ha smantellato pezzo dopo pezzo.

 

Veniamo alla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa. Per il Settimanale “Famiglia Cristiana” si tratta di una follia italiana in quanto potrebbe favorire una “fecondazione selvaggia per tutti”.  Qual è il suo parere?

 

La fecondazione eterologa è una pratica controversa, che propone notevoli problemi di gestione: al contrario di quella omologa, che si pratica all’interno della coppia sposata o stabilmente convivente, l’eterologa comporta l’intervento di un donatore esterno alla coppia e pone quindi il problema della gratuità della donazione, dell’anonimato che non può comunque essere assoluto, del diritto del nato da fecondazione eterologa a conoscere i suoi genitori biologici, e così via. Anche in questo caso, tuttavia, si sarebbe dovuto legiferare cercando il consenso più largo possibile attorno ad una normativa essenziale e ragionevole, che tenesse d’occhio il mainstream europeo. E invece, anche su questo punto, si è scelto un approccio ideologico e si è voluta una prova di forza divisiva e anche un po’ arrogante. In nome, si è detto e si sente ripetere anche oggi, del diritto del figlio ad avere due genitori naturali: un diritto che sovrasterebbe quello improprio dei genitori sterili ad avere un figlio. Considerazioni apparentemente di buon senso, attraverso le quali tuttavia la legge pretende di penetrare ambiti misteriosi come quello del senso della vita, fino a voler stabilire le condizioni minime entro le quali si abbia diritto a venire al mondo. Ma può la legge affermare che al di sotto di quelle condizioni minime (nascere da due genitori che siano anche quelli biologici) non abbia senso venire al mondo e quindi si abbia il… diritto di non nascere? E ancora, se è sensato sostenere sul piano etico che una coppia sterile non abbia il diritto di procreare a tutti i costi, è plausibile e ragionevole tradurre questa raccomandazione morale in un divieto assoluto a ricorrere alla fecondazione eterologa “artificiale”, posto che quella, sempre eterologa, ma “naturale” nessuno si sognerebbe di vietarla? Si tratta, come è evidente, di aporie insuperabili, figlie della impropria sovrapposizione tra il dialogo etico e l’obbligo giuridico.

 

Dal punto di vista delle coppie  sterili questa sentenza è una buona notizia. Ma la maternità e la  paternità biologica è ancora un valore per la società secolarizzata?

 

Credo sia ancora un valore, ma giustamente e opportunamente relativizzato, in favore del primato della maternità-paternità sociale. I genitori adottivi, una realtà sempre più diffusa e giustamente apprezzata, anche se anch’essa non priva di rischi e difficoltà, si ribellano al solo sentir distinguere tra figli “propri” e figli “adottati”. Questa positiva maturazione non poteva non riversarsi anche sulla procreazione medicalmente assistita. A mio modo di vedere è giusto sostenere la preferibilità etica dell’adozione rispetto alla fecondazione eterologa: perché accanirsi con le tecniche per far venire al mondo un bambino, quando ce ne sono milioni abbandonati? Ma un conto è un rispettoso dialogo etico, altra cosa è porre un obbligo o un divieto, con la forza della legge, in una materia così intima e sensibile.

 

E’ giusta l’esclusione di single e per le coppie omosessuali ?

 

Su questo punto c’era stato allora un ampio consenso. La procreazione medicalmente assistita è una pratica sanitaria, finalizzata a porre rimedio all’infertilità (o anche, come chiedevamo noi, alla prevenzione della trasmissione delle malattie genetiche). Non è una pratica da utilizzare per procreare al di fuori di uno stabile rapporto di coppia. Naturalmente, ora c’è il rischio che il pendolo del bipolarismo etico, irresponsabilmente attivato dieci anni fa, corra verso l’estremo opposto…

 

Anni fa il filosofo laico tedesco Jurgen Habermas  metteva in guardia verso lo “scivolamento di una genetica liberale, vale a dire una genetica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta”. Adesso con questa sentenza cade l’ultimo mattone su cui reggeva la legge 40, quindi si torna indietro di 10 anni. Quindi si porrà il problema di una nuova normativa. E’ possibile un cammino più laico di quello fatto con la legge 40? Ovvero raggiungere una mediazione alta su questo tema delicatissimo?

 

Sul piano giuridico, la legge 40 resta in piedi, depurata dei suoi eccessi. Può darsi che si debba lavorare a qualche rifinitura, ma non c’è nessun vuoto normativo. Quanto alla “mediazione alta”, che avevo auspicato nella mia relazione di minoranza proprio citando Habermas, come testimone di una preoccupazione, che avrebbe dovuto essere comune, a normare, in modo ragionevole e consapevole del limite della politica e del diritto, una materia così sensibile, penso che dieci anni fa si sia persa un’occasione forse irripetibile. Ora, grazie alle sentenze della Corte, si deve provare a fermare il pendolo del bipolarismo etico, creando le condizioni, culturali e politiche, per un incontro, sulle materie che riguardano la vita e la famiglia, attorno a soluzioni legislative miti e ragionevoli, che tengano d’occhio il mainstream della società e non inseguano le minoranze estremiste, pur nel rispetto di tutte le idee e di tutte le posizioni.

 

Nel 2005 la Chiesa italiana entrò con forza nella battaglia referendaria sostenendo l’astensione. Ma era la  Chiesa del Cardinale Ruini. Oggi con Papa Francesco quale sarà secondo lei l’atteggiamento della Chiesa?

 

Dieci anni fa si saldarono, nella Chiesa, quelli che a me e non solo a me parvero allora due errori storici: una asimmetria nel magistero, che considerava “non negoziabili” sul piano politico-legislativo le posizioni della Chiesa stessa in materia bioetica o di etica sessuale e familiare, mentre questo non avveniva, ad esempio, per le questioni sociali; e una forte esposizione politica della Chiesa stessa, che pensò di porre rimedio alla fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc, dando vita ad una nuova unità politica dei cattolici attorno ad un progetto definito culturale, ma in realtà tutto politico, di adesione collettiva, contrattata dalla stessa gerarchia, al polo di centrodestra, a sua volta alla ricerca di un’identità dopo il fallimento dell’ipotesi del partito liberale di massa. La crisi economica, che ha capovolto la gerarchia delle priorità nel dibattito pubblico, riportando in primo piano le questioni economiche e sociali, la vittoria di Obama negli Stati Uniti con il concorso di una larga maggioranza di cattolici e, in Italia, la nascita e il progressivo affermarsi del Partito democratico, come casa comune dei riformisti fondata sul dialogo e la reciproca contaminazione tra laici e cattolici, hanno spazzato via quel vecchio schema. L’avvento di Papa Francesco mi pare stia aprendo un orizzonte nuovo per il magistero cattolico: non c’è più la vecchia asimmetria, semmai c’è un primato della questione sociale su quelle bioetico-familiari. E c’è soprattutto la riaffermazione conciliare della distinzione dei piani: alla Chiesa la proposta, tanto più forte quanto più mite ed umile, dei principi evangelici; alla politica, nella sua autonoma responsabilità, la definizione delle norme giuridiche, nel libero confronto con tutte le posizioni presenti nella società. In ogni caso, la Chiesa di Francesco non chiede il supporto del braccio secolare per affermare i suoi valori, ma si affida alla fecondità evangelica della predicazione alle libere coscienze delle donne e degli uomini del nostro tempo.