“Il papa critica l’ideologia del mercato non l’economia di mercato”. Intervista a Leonardo Becchetti

 

Continua il nostro approfondimento sulla enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Dopo il contributo del teologo brasiliano Leonardo Boff, pubblicato la scorsa settimana, oggi è la volta dell’economista Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata. Con lui affrontiamo alcuni temi  economici dell’enciclica.


Professore, la nuova enciclica di Papa Francesco, può essere considerata come la “Summa” del suo pensiero sociale. Molti argomenti erano già stati trattati dal suo magistero in questi anni di pontificato. Ora vengono riproposti nell’ ottica della fraternità universale. La pandemia, infatti, ci ha fatto sentire tutti nella stessa barca. La visione del Papa è globale tocca gli ambiti della politica e dell’economia. Quali spunti innovativi ha tratto per la sua riflessione?

 

Le parti più belle dell’enciclica sono quelle che affrontano il tema della carità politica, della generatività riprendendo ed approfondendo il motto del tempo superiore allo spazio, del ruolo della società civile e del dialogo come strumento per costruire una vera fratellanza universale.

Centrale anche l’attacco ai populismi e la difesa dei diritti dei migranti. Le parole su questo punto sono veramente dure e il sottotitolo “diritti senza frontiere” molto chiaro

Sappiamo quanto l’ enciclica sia dura nei confronti del neoliberismo. Si pone contro il culto del profitto, attirando così critiche ovvero per alcuni la riflessione papale, sul piano economico  rasenta l’utopia. Qual è il suo pensiero? 

Nessuna utopia. Il papa non fa che ripetere quello che è noto ad ogni economista e scritto in ogni manuale di economia. Il profitto preso come assoluto non coincide con il benessere della società o con il bene comune. Gli studenti di primo anno lo studiano da subito approfondendo i problemi dei beni pubblici e delle esternalità negative (i cosiddetti fallimenti del mercato). Il problema è che poi c’è della pessima ideologia e rimasticatura interessata delle teorie economiche che gira. Non a caso il papa, per la seconda volta dopo l’Evangelii Gaudium, se la prende con la pseudoteoria dello sgocciolamento che giustifica la diseguaglianza dicendo che comunque i soldi dei ricchi sgocciolano a valle. Magari bastasse questo a risolvere i problemi che abbiamo. Non avremmo bisogno della politica e dei tanti interventi per ridurre le diseguaglianze che ci sforziamo di porre in atto

 Il contenuto della “Fratelli tutti”  è incompatibile con una sana economia di mercato?

Assolutamente no. In nessuna teoria economica si pensa che il mercato da solo basti. Nessuna Il papa quindi non fa che ribadirlo spiegando che ci vuole l’intervento di una politica illuminata e sottolineando anche quanto è prezioso il ruolo della società civile. Soprattutto in situazioni più critiche dove “Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi.”

Nell’enciclica non c’è solo la critica al dogma neoliberista c’è anche una critica all’assistenzialismo fine a sé stesso. Questo è un punto molto interessante. È così professore?

Il concetto chiave della dottrina sociale è quello del bene comune. E il bene comune vuol dire creare le condizioni perché sia più facile la realizzazione della persona e la fioritura della vita umana. Gli studi sulla felicità ci dicono che la vita è ricca di senso quando sentiamo di essere utili. Quindi la fioritura della persona non è ricevere un obolo ma essere inserito in una trama di diritti e doveri e poter dare il proprio contributo.
Anche sulla proprietà privata legata alla destinazione universale dei beni, che il papa estende ai Paesi e ai loro territori e alle loro risorse fa  affermazioni significative. Infatti per la enciclica “ogni paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo”. Siamo davvero agli antipodi delle destre sovraniste e anche di un certo cattolicesimo americano. È così professore?

 

Questa è sicuramente la parte più dura e più nuova perché è la risposta se vogliamo ad un problema nuovo come quello del sovranismo e del populismo. L’economia non è una torta a somma zero. L’accoglienza e l’incontro tra le differenze può generare più valore. E’ la storia di tanti paesi, inclusi gli Stati Uniti, che hanno tratto linfa e forza da flussi successivi di migrazioni di persone da altri paesi. I sovranisti sembrano dimenticare le lezioni della storia per interessi politici di bottega facendo leva sulle paure e sugli istinti peggiori. Per questo l’intervento del papa è quanto mai opportuno

Ultima domanda: Il papa elogia la “buona politica” necessaria per cambiare e sconfiggere le “ombre di un mondo chiuso”. In questo senso il papa elogia il protagonismo dei movimenti popolari. Vista dalla prospettiva del cattolicesimo italiano quali possono essere le prospettive che apre l’enciclica? 

Torniamo su quel bellissimo passaggio della Fratres Omnes dove si dice: Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato e dei rappresentanti delle istituzioni.”(175)

In realtà il papa per esperienza personale del suo paese ha un’idea dell’azione della società civile molto caratterizzata dall’azione dei movimenti popolari di protesta. Se posso permettermi la tradizione del nostro paese è enormemente più ricca e articolata. E parte dalla storia di tanti parroci che con i laici di buona volontà hanno costruito nelle canoniche la rete delle banche di credito cooperativo e delle casse rurali, fino al movimento cooperativo che oggi si esprime in forme sempre nuove (cooperative sociali, cooperative di comunità). La sussidiarietà è viva ed è forte ed è un gran bene che il papa vi abbia fatto appello nell’enciclica.

 

“RECOVERY FUND: INDIETRO NON SI TORNA, ECCO PERCHÉ”. INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Com’è noto, è scontro aperto tra Parlamento e Consiglio europeo sul negoziato per il bilancio Ue 2021-2027 e il piano Next Generation EU, di cui il Recovery Fund è il principale pilastro. Uno stop che fa aumentare il rischio di uno slittamento di tutto il pacchetto e su cui sempre più probabilmente il prossimo vertice europeo del 15 e 16 ottobre sarà chiamato a intervenire. Al centro della contesa c’è la richiesta del Parlamento di aumentare gli stanziamenti previsti nella proposta di bilancio su ben 15 capitoli di spesa, tra cui i programmi per digitalizzazione e lavoro. Ma anche l’obiettivo di rafforzare il legame tra rispetto delle regole dello stato di diritto ed erogazione dei fondi europei, un tema che tocca direttamente Polonia e Ungheria, Paesi sotto osservazione per le norme con cui, secondo la Commissione, sono stati messi in discussioni alcuni principi democratici fondamentali. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry4.0 ed esperto di politiche europee.

Sabella, cosa sta succedendo in Europa relativamente al rallentamento del piano Next Generation EU?

È un negoziato molto complesso, lo sappiamo dall’inizio. Al Parlamento tocca dare seguito e concretezza all’accordo politico del Consiglio ed è normale che possano esservi delle criticità e delle complicazioni. In un mondo in cui la comunicazione non avesse questo livello di pervasività, ciò non costituirebbe notizia alcuna. Ma lei sa meglio di me non è così, tanto che un simile contrattempo diventa notizia da prima pagina.

Sta dicendo quindi che la trattativa andrà avanti e si concluderà positivamente?

Si, sto dicendo questo. Non credo che il Parlamento europeo possa fermare un accordo raggiunto tra 27 capi di governo e in cui le grandi potenze sono tutte dalla stessa parte (Germania, Francia e Italia). Evidentemente, in questo momento, vi sono ragioni di merito e fisiologiche che comportano un rallentamento dei lavori parlamentari. Certo, nel frattempo la finanza pubblica di molti stati nazionali soffre – come la nostra ad esempio – ma, ahimè, non c’è niente da fare. Sottolineerei piuttosto, ancora una volta, la grande risposta che l’Unione europea sta dando all’emergenza sanitaria ed economica.

Perché, secondo lei, sul Recovery Fund non vi saranno sorprese?

Torniamo per un momento al 19 maggio 2020, quando inizia il negoziato che poi porta all’accordo di luglio. Angela Merkel dice: “Lo Stato nazione non ha futuro, la Germania starà bene solo se l’Europa starà bene”. Può la cancelliera Merkel pronunciare parole di questa pesantezza ed essere smentita dai fatti? Anche in sede di Consiglio, l’accordo è stato molto complesso, ma era chiaro che si sarebbe arrivati lì. Per due ragioni fondamentali. La prima è di natura economica: la necessità di innovare l’industria – in Germania questa esigenza è molto forte – è ciò che ha convinto i tedeschi che è il momento di investire e che, oggi, con le sole politiche di bilancio si rischia di morire sotto i colpi dell’economia cinese e americana. Investire, naturalmente, significa anche creare opportunità per il lavoro in un momento di forte contrazione che si aggiunge a un rallentamento generale in cui soffre, in particolare, l’occupazione. E se a soffrire è l’occupazione, ne risentono a loro volta mercato e consumo. Nell’ottica di rivitalizzare domanda e mercato interno – visto che l’export cala e probabilmente calerà sempre più – oggi non resta che questa strada.

E la seconda ragione a cui alludeva?

La seconda ragione è di natura politica: questa è la grande occasione per far crescere l’integrazione dell’Unione europea. Ed è condizione necessaria per tornare a essere competitivi nei confronti di USA e Cina. Non dimentichiamoci che negli ultimi anni, mentre rallentava il commercio mondiale, USA e Cina continuavano a produrre ricchezza. Dal 2017, invece, Europa e Germania in particolare – che ne è l’epicentro produttivo – interrompevano la loro crescita. Ciò da una parte in ragione del rallentamento degli scambi, dall’altra in conseguenza del calo di competitività dell’industria europea. Ed è questo fattore che ha portato già la Commissione Juncker a condividere il piano Green New Deal che trova oggi sbocco nel Recovery Fund. Non può essere quindi un intoppo di natura parlamentare a fermare questa grande macchina che è in corsa da quasi 3 anni e che è destinata a cambiare l’Unione europea.

In questo momento in Europa vi è una interessante crescita della produzione industriale che ci induce a sperare nella ripresa, anche se resta l’incognita di una seconda ondata pandemica e l’ombra di nuovi lockdown. Come vede, al netto di queste variabili, l’Europa nel mondo post covid?

L’Italia è proprio uno dei Paesi europei in cui la produzione industriale si sta riprendendo meglio. Come lei giustamente richiama, vi è qualche incognita per cui possiamo dire che intanto dobbiamo preoccuparci di lavorare duro per colmare il deficit tecnologico e di competitività che abbiamo nei confronti di USA e Cina. Come sappiamo, negli ultimi 5 anni l’85% degli investimenti in intelligenza artificiale è stato realizzato in aziende americane e cinesi: è ovvio che il gap in innovazione digitale generi poi questo ritardo sui mercati. Per questo, soprattutto, serve il Recovery Fund, oltre che a portare su livelli di maggior sostenibilità le nostre filiere produttive. Le due cose sono tuttavia connesse.

È previsto infatti che il 35% delle risorse del Recovery Fund siano destinate all’evoluzione sostenibile delle produzioni e alla lotta al cambiamento climatico. Perché lei dice che digitale e sostenibilità ambientale sono due aspetti connessi?

Perché il processo di digitalizzazione genera una crescente e progressiva dematerializzazione dell’economia. La digitalizzazione sta rendendo l’industria sempre più indipendente dalle materie prime. Come dice Andrew McAfee, capo ricercatore al MIT di Harvard, il progresso tecnologico ha cambiato pelle: computer, internet e tecnologie digitali ci stanno permettendo di dematerializzare produzioni e prodotti consentendoci di consumare sempre di più attingendo sempre di meno. Dematerializzare significa appunto conseguire una riduzione dell’uso di materie prime nell’economia, aumentando la produttività delle risorse naturali per unità di valore. E il digitale è il nuovo motore che rompe col paradigma dell’era industriale della macchina a vapore e dei suoi discendenti capaci di attingere dai combustibili fossili. Poi c’è tutto il capitolo delle energie alternative, del gas al posto del carbone, dell’auto elettrica e dell’economia circolare. Sono tutte voci previste nel Green Deal europeo col quale l’Europa intende tornare a competere con USA e Cina e raggiungere nel 2050 la carbon neutrality (emissioni zero).

Secondo lei, quindi, l’Europa tornerà tra i grandi del mondo?

Io penso che l’Europa oggi stia facendo un grande lavoro e stia, almeno sulla carta, rispondendo a un processo di involuzione che dura da troppo tempo, dalla crisi del 2008 a cui abbiamo risposto con le sole politiche di bilancio. Oggi, quantomeno, si stanno mettendo delle basi importanti per la ripartenza, non dimentichiamoci che in Europa vi sono ancora livelli di disoccupazione molto alti. E, come dice papa Francesco nella recente enciclica Fratelli Tutti, “in una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale”. Abbiamo bisogno di tornare a investire dopo trent’anni in cui abbiamo fatto gli investimenti più importanti nel mondo asiatico. Questo è oggi programma comune in Europa, l’Unione ha un futuro se tornano a crescere economia e lavoro. Ecco perché il Recovery Fund è irreversibile, al di là dei contrattempi parlamentari e di quella narrazione che piace molto agli antieuropeisti.

“Siamo nella seconda ondata e la Lombardia rischia molto”. Intervista a Francesca Nava

Francesca Nava (Twitter/@franziskanava)

Continuano a crescere i casi di “Corona virus” in Italia. Sono 5.372 i nuovi contagi nelle 24 ore trascorse. Lo rileva il bollettino della Protezione civile. Ieri erano stati 4.458. L’aumento è di 914 nuovi contagi. Due giorni fa erano stati 4.458. 28 i morti.  Siamo in piena “seconda ondata”, come sta affrontando il “sistema” questa nuova pericolosissima ondata? Ne parliamo con Francesca Nava, giornalista d’inchiesta del programma di Rai Tre “Presa Diretta”.  Francesca Nava è anche autrice  di un grande libro d’inchiesta sulla pandemia,  pubblicato dalle Edizioni Laterza: “Il Focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale”.

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Fratelli tutti: la politica come tenerezza e gentilezza. Un testo di Leonardo Boff

Leonardo Boff (LaPresse)

“Fratelli tutti” la nuova enciclica di Papa Bergoglio sta avendo una grande risonanza globale. Sempre più Papa  Francesco si sta confermando come un leader mondiale autorevole. Infatti è uno dei pochi a riflettere sul mondo post-covid. L’enciclica è l’esposizione di un grande progetto planetario della fraternità universale, da realizzare a partire dai poveri e con i poveri. Dedicheremo, a questa enciclica, altri interventi. Oggi iniziamo con un protagonista della teologia contemporanea, amico di Papa Francesco: il teologo della liberazione  Leonardo Boff. Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo, in una nostra traduzione dal portoghese, questo significativo testo del teologo brasiliano. Il testo è denso e ricco di spunti sul significato della politica nella lettera enciclica “Fratelli tutti”.

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“Nati per riaccendere la speranza nella notte della politica”. Intervista a Marco Bentivogli

Marco Bentivogli (Ansa)

Nata da pochi giorni e già fa discutere l’opinione pubblica. Parliamo di “Base Italia”, un’associazione per “far tornare l’Italia a crescere”, come dice Marco Bentivogli, ex segretario dei metalmeccanici della Cisl, e ora coordinatore di Base Italia. Il presidente è Floridi, nel comitato scientifico figurano nomi importanti: da Carlo Cottarelli alla docente di Diritto del Lavoro Lucia Valente, dal gesuita Francesco Occhetta al sociologo Mauro Magatti.  Quali sono le sfide che lancia “Base” alla politica italiana? Ne parliamo, in questa intervista, con Marco Bentivogli.

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