Ma la difesa è “sempre legittima”? Una riflessione dalla parte delle vittime. Intervista a Elisabetta Aldrovandi  e Gabriella Neri

 

Il Senato ha approvato, nei giorni scorsi,  la nuova legge sulla legittima difesa. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera. Il testo è passato con 195 favorevoli, 52 contrari e un astenuto. Il provvedimento è stato approvato grazie ai voti della maggioranza Lega-M5s a cui si sono aggiunti quelli dei senatori di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Contrari gli esponenti del Pd (che però approva l’articolo 2 su chi “agisce in stato di grave turbamento”) e di LeU.  Il testo approvato pone non pochi problemi di etica-politica Il testo allarma, tra gli altri, l’Associazione Nazionale dei Magistrati. Altri osservatori pongono l’accento sulla regolamentazione dell’uso delle armi. I due temi sono correlati.  Infatti, secondo quanto evidenzia il “Primo Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia” del CENSIS, «Il rischio – scrive il CENSIS –  è di un aumento non controllato dei cittadini armati che, a fronte della presenza di una forte insicurezza tra la popolazione, potrebbe portare ad una pericolosa “americanizzazione” della società civile, con un aumento esponenziale di quanti sparano e di quanti uccidono». Il CENSIS avverte: «Con il cambio delle regole e un allentamento delle prescrizioni, ci dovremmo abituare ad avere tassi di omicidi volontari con l’utilizzo di armi da fuoco più alti e simili a quelli che si verificano oltre Oceano. Le vittime da arma da fuoco potrebbero salire in Italia fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più». Un dato su cui a cui si dovrebbe prestare particolare attenzione prima di modificare la legge sulla legittima difesa.

Su questo tema, della regolamentazione, torneremo prossimamente. Oggi vogliamo offrirvi alcuni spunti di riflessione sulla legge a partire dalle vittime. Lo facciamo con due donne impegnate, sia pure da prospettive diverse, su questa frontiera. Si tratta di due donne che sono Presidenti di associazioni per le vittime (Aldrovandi per vittime di omicidi per rapine ecc,, Neri per le vittime di omicidi con armi da fuoco legalmente detenute). 

Avvocato Elisabetta Aldrovandi (Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime)

Avvocato, Può presentarci in breve l’Osservatorio: Come nasce e quali sono le finalità?

L’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime è una grande famiglia, formata da decine di vittime di reati violenti, donne stuprate, familiari di persone uccise durante aggressioni o da ex compagni, vittime di lesioni gravissime.Il nostro scopo è cambiare il sistema normativo, modificandolo in quelle parti in cui non fornisce adeguata tutela ai diritti delle Vittime, le quali troppo spesso, oltre a subire il fatto di reato, subiscono anche la beffa dell’ingiustizia nelle aule dei tribunali. E questo per una stratificazione legislativa che nel corso degli anni ha concesso molteplici benefici a pioggia a imputati e condannati, assottigliando sempre più i diritti delle Vittime di reato. Scriviamo, pertanto, disegni di legge, che sottoponiamo all’attenzione di parlamentari disposti a sostenerci, e che vengono depositati alla Camera e al Senato, perché crediamo fermamente che le battaglie per le Vittime si vincano partendo non dal basso, con manifestazioni e cortei, ma dall’alto, andando a modificare ciò che a livello legislativo non funziona.

 La vostra associazione si è fatta promotrice di varie proposte di modifica della legge sulla “legittima difesa”. Per quali motivi? E quali sono i punti più importanti che avete proposto? 

Sosteniamo questo disegno di legge di modifica della legittima difesa e del furto in abitazione e con destrezza perché nella nostra associazione abbiamo Franco Birolo, Francesco Sicignano, Mario Cattaneo, Graziano Stacchio, tutte persone che, per essersi difese da aggressioni di malintenzionati entrati in casa loro, hanno subìto mesi o anni di gogne processuali e mediatiche, con conseguente gravissimo turbamento emotivo, psicologico, familiare, e ingente danno economico per le spese legali affrontate, e quindi conosciamo da vicino le storie di persone che, per essere state costrette a difendersi dal pericolo di essere uccise, si sono difese e per questo hanno avuto, di fatto, l’esistenza rovinata. In agosto 2018 sono stata audita assieme ad alcuni di loro in Commissione Giustizia al Senato in merito al disegno di legge di modifica dell’art. 52 del Codice Penale, proponendo, tra gli altri suggerimenti, il patrocinio a carico dello stato indipendentemente dal reddito in caso di proscioglimento o assoluzione, l’impossibilità per l’aggressore ferito o per i suoi familiari, se ucciso, di chiedere i danni in sede civile, e, per il furto in abitazione e lo scippo, la sospensione della pena subordinata al risarcimento del danno alla persona offesa. Tutte proposte accolte e inserite nel testo di legge approvato in Senato.

La legge prevede che “…sussiste sempre il rapporto di proporzione quando qualcuno “usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”. Pensa che possa esserci il pericolo che questa legge possa indurre i cittadini ad armarsi, con la conseguenza di avere ancora più vittime anche tra le persone che intendono difendersi da furti o rapine? Se sì, quali attenzioni andrebbero prese? 

Non ritengo che possa sussistere questo pericolo, poiché, se è vero che i casi principali di legittima difesa hanno visto l’uso da parte di chi si è difeso delle armi da fuoco, è altrettanto vero che in casa tutti noi possediamo armi atte a offendere, dai coltelli, alle forbici, a suppellettili di vario genere. In ogni caso, credo che si potrebbe pensare a una normativa che preveda l’introduzione di armi cosiddette da difesa “abitativa”, magari più leggere, meno offensive di quelle a uso sportivo o da caccia, seppure forse questa soluzione potrebbe, in realtà, avere l’effetto di aumentare considerevolmente il ricorso alle armi, anche da parte di chi, come per esempio le donne, nella maggior parte dei casi non le utilizza soprattutto per difficoltà nel maneggiarle e per il timore che un’arma da fuoco “classica” certamente provoca.

Gabriella Neri (“Ognivolta” onlus)

Signora Neri, ci può presentare in breve la vostra onlus? Come è nata e qual è l’impegno principale?

L’associazione “ognivolta – familiari e amici di Luca e Jan – Onlus” nasce nel 2012 in seguito ad un evento drammatico e luttuoso accaduto il 23 Luglio 2010 a Massarosa in provincia di Lucca, presso la Gifas Electric: mio marito Luca Ceragioli, direttore generale dell’azienda, e il suo collaboratore Jan Hilmer vennero uccisi a colpi di arma da fuoco dall’ex collega Paolo Iacconi, che poi si suicidò a sua volta nei bagni dell’azienda.

Quest’ultimo aveva alle spalle diversi tentativi di suicidio con psicofarmaci e altrettanti TSO e, nonostante questo, deteneva regolarmente un porto d’armi per uso sportivo e una pistola che quel giorno portò con sé per compiere quell’efferato omicidio.

Nel 2012 abbiamo fondato “ognivolta”, la cui mission è principalmente quella di fare pressione a livello parlamentare affinché la legislazione preveda controlli più efficaci in materia di rilascio e rinnovo delle licenze per porto d’armi, perché un’arma in mano a un soggetto disturbato psichicamente può essere fatale, come lo è stato per noi.

 In questi giorni il Senato ha approvato la modifica della legge sulla “legittima difesa” che ora passerà all’esame della Camera. Come valuta le modifiche alla legge? Pensa che siano possibili miglioramenti?

Quello che percepisco dal testo di questa legge, che va a modificare e “allargare” maglie di una normativa già esistente, è un’eccessiva autonomia nella difesa in situazioni di pericolo di persone o beni (categorie associate in modo evidentemente improprio), che a mio parere può andare a scapito della fiducia nelle Istituzioni che operano per la sicurezza dei cittadini. Mi crea perplessità che in una situazione di “grave turbamento” che cita la legge, si autorizzi una reazione anche con un’arma da fuoco,  perché proprio in uno stato emotivo alterato sorge il pericolo di reazioni incontrollate e di incapacità a gestire atti di difesa.

Nel disegno di legge è prevista l’assistenza legale a carico dello Stato per gli imputati che invocano la legittima difesa a seguito di un fatto di sangue nel proprio domicilio. Se questo nuovo provvedimento è ragionevole, devo però ricordare che lo Stato italiano non risarcisce in modo adeguato le vittime di reati violenti, tra cui le vittime di omicidi compiuti da legali detentori di armi. Sarebbe perciò necessario uniformare i diritti, o forse il “capitale umano” è vittima anch’esso di ideologie politiche?

C’è il pericolo che questa legge possa indurre i cittadini ad armarsi con la conseguenza di avere ancora più vittime, anche tra le persone che intendono difendersi da furti o rapine? Se sì, quali attenzioni andrebbero prese? 

Anche se i mezzi per difendersi possono essere di diversa natura, è innegabile che la “pistola sul comodino” sembra dare più sicurezza a chi vive in uno stato di paura nella propria abitazione o posto di lavoro. Paura spesso dettata dal condizionamento mediatico che non di rado mette in secondo piano le conseguenze che possono devastare la coscienza di una persona che toglie la vita ad un’altra, qualsiasi sia il motivo. Dico questo con convinzione, nonostante la mia vicenda personale. Non posso pensare che le nostre case, i nostri posti di lavoro, i luoghi dove condividiamo affetti, amori, fatiche, progetti e princìpi etici, siano minati da oggetti che per loro natura possono togliere la vita a un essere umano.

In ogni caso, le leggi dovrebbero garantire che quanto meno chi sceglie di avere con sé un’arma sia monitorato più di frequente e qualora insorgano problemi psichiatrici vi sia un collegamento in tempo reale fra strutture sanitarie e forze dell’ordine per provvedere ad un ritiro cautelativo del porto d’armi e dell’arma stessa, per evitare un uso che esploda in tragedie come la nostra.

 

 

 

Manovra economica: “Stiamo diventando sempre meno credibili ed affidabili”. Intervista a Leonardo Becchetti

Con il declassamento di Moody per l’Italia la situazione economica si fa ancora più pesante. Una settimana davvero nera per l’economia italiana. Di questo parliamo con il prof. Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia politica all’Università “Tor Vergata” di Roma

Di fronte ad una stroncatura della “manovra” da parte  di tutti gli enti competenti, dalla Banca d’Italia fino alla Commissione Europea, gli esponenti politici continuano ad affermare che la manovra è “molto bella” (???). E tutto questo avviene con uno spread alto. Dove nasce questa “incoscienza politica”? Sono dei kamikaze contro l’Unione Europea?
La critica verte sul fatto che con un deficit al 2,4% e non all’1,6% come proponeva all’inizio il ministro Tria molto difficilmente il rapporto debito/PIL non crescerà. Il governo ha ipotizzato effetti moltiplicativi molto elevati che difficilmente si realizzeranno con una manovra che punta su trasferimenti più che su stimolo agli investimenti. Si poteva fare tutto con più prudenza nspalmando l’intervento in più anni ma si è voluto forzare la mano. E il rischio che la fiducia nei nostri titoli venga meno soprattutto dopo il confronto con l’Europa e il probabile declassamento da parte delle società di rating è elevato. Si gioca purtroppo sul fatto che le competenze economiche in questo paese sono molto basse. E che gli italiani preferiscono portare a casa qualcosa (cinque anni in meno di lavoro ad esempio con quota 100) senza preoccuparsi delle conseguenze. Paradossalmente se è così si può fondare un partito che promette le baby pensioni a tutti e vincere le prossime elezioni. La maggioranza di fronte ai pericoli verso cui stiamo andando incontro è pronta a scaricare le colpe su qualcun altro. A cercare un nemico esterno se i problemi aumentano. Il Venezuela è precipitato in condizioni disastrose ma Chavez prima e Maduro poi hanno mantenuto il potere facendo leva sulla solidarietà popolare contro i “nemici esterni”. L’Italia sarà più matura del Venezuela o dell’Argentina ? Questo alla fine sarà un test sulla maturità del popolo italiano. Vedremo

Ieri sera l’agenzia Moody ha declassato l’Italia. Quali effetti negativi per la nostra economia?
Il rischio è un’ulteriore risalita dello spread all’apertura dei mercati. Il governo ora parla di possibilità di tornare indietro sul deficit ma il giudizio di Moody resterà per molto e ci porta un solo gradino sopra il rating spazzatura. Non è detto che le conseguenze siano particolarmente negative perché il declassamento di un gradino era in qualche modo atteso. Quello che è più preoccupante è che si è innescato un trend di deterioramento e che presto il paese rischia di essere preda della speculazione che si avventa sulla preda solo quando la stessa comincia ad essere in difficoltà. E noi ci siamo messi in difficoltà da soli.

Lei pensa che il vero obiettivo sia il famigerato “piano B”?
Ad alcuni nella maggioranza non dispiace la tattica del kamikaze. Diamo la colpa dei nostri limiti ai vincoli europei quando non c’è un paese dei 27 in questa situazione macroeconomica per l’Europa che si trovi nella nostra tempesta iniziata con l’arrivo di questo governo. Ci facciamo saltare in aria o minacciamo di farlo perché così faremo saltare in aria l’UE. In realtà l’Ue si scanserà e salteremo in aria solo noi. Speriamo che la ragionevolezza prevalga. Ho idea che alcuni più smaliziati ed esperti nella maggioranza di governo capiscano il rischio e vogliano consapevolmente correrlo. Altri proprio non capiscono e non hanno gli elementi per capire.

Quali potrebbero essere i danni economicI del “sovranismo”? 
Intanto ci arriva un conto anticipato di 3 miliardi in più di spesa per interessi per ogni 100 punti di spread per il solo effetto di annuncio della manovra. Si sta avverando la profezia Tria quando il ministro affermava che se avremmo superato l’1,6% di deficit le turbolenze si sarebbero rimangiate con l’aumento dello spread e della spesa per interessi le risorse stanziate. Se continuiamo su questa strada l’errore di confidare nella possibilità dell’autarchia finanziaria può portare il sistema al disastro.

Parlando ancora della sfida “sovranista” alla Unione Europea, quale potrebbe essere l’arma più efficace per contrastare l’ideologia isolazionista?
Bisogna spiegare che ci sono infinite vie per migliorare le nostre condizioni molto più sicure di quella che stiamo scegliendo. E che in un’economia globale profondamente integrata le filiere produttive e il sistema finanziario non consentono una soluzione autarchica. A pagare le conseguenze del naufragio in una nuova crisi finanziaria sarebbero come al solito soprattutto gli ultimi.

Veniamo alla “manovra”. Una manovra giocata tutta in deficit ,con la strabiliante promessa di favorire la crescita. Perché è fallacie il ragionamento? E’ una manovra alla Keynes o alla Cirino Pomicino?
Il cuore della manovra sono trasferimenti per pensioni e lotta alla povertà finanziati prevalentemente in deficit. Aumentando il carico fiscale sulle banche che sono l’anello più delicato e nevralgico del nostro paese. Per aspettarsi un alto moltiplicatore dalla manovra che stimolerebbe la crescita e consentirebbe di ripagare il deficit bisognava puntare di più sullo stimolo al sistema produttivo. Paghiamo una visione errata per la quale le banche sono nemiche del popolo mentre sono i nostri risparmi e le finanziatrici degli investimenti delle nostre imprese. In questa fase vivono una concorrenza molto dura, stanno riprendendosi dal problema dei prestiti in sofferenza e sono chiamate a requisiti di patrimonializzazione molto severi dai regolatori. Calcare la mano su di loro può essere pericoloso.

Come giudica il ritorno allo “statalismo”?
Il futuro va in un’altra direzione ed è quello della sussidiarietà e delle partnership pubblico-privato. Soprattutto in un paese come il nostro la strada migliore è un pubblico che fissa le regole e che stimola energie di privati e terzo settore. Pensiamo solo alla questione dei centri per l’impiego. Ci vorrà molto per renderli efficienti mentre l’incontro tra domanda ed offerta del mercato del lavoro è un’attività oggi svolta da molte società private. Maggiori sinergie con il privato profit e not for profit sarebbero importanti.

Però non bisogna dimenticare la realtà esplosiva dell’aumento della povertà e del disagio sociale. Su questo non si può chiudere gli occhi. Il governo risponde con il reddito di cittadinanza. Una misura che esiste in altri paesi d’Europa. Può bastare questo? Cosa si potrebbe fare per renderlo Efficace?  C’è una misura alternativa?
Il reddito di cittadinanza è una misura in vigore in molti paesi europei e auspicata anche da pensatori liberali come Hayek e Einaudi. Il problema è che per promuovere dignità e inclusione sociale bisogna essere molto efficienti nella selezione di chi è veramente bisognoso. E imporre condizionalità severe che fanno venir meno il beneficio in caso di mancata adesione al progetto di formazione o di rifiuto di offerte di lavoro. Molto importante anche la presa in carico da parte di realtà del territorio perché la povertà è anche un problema di carenza di relazioni. Sarebbe anche il caso di non ricominciare da capo solo per motivi ideologici rifacendo una cosa molto simile. Proseguire il REI del precedente governo rinforzandolo con più risorse sarebbe stata la via migliore.

Poi c’è la vicenda del condono fiscale. IL governo “dell’onestà “che promuove i condoni fiscali … Insopportabile questo…
Ogni condono nasce con la promessa non credibile che sarà l’ultimo e che d’ora in poi gli evasori saranno puniti. Poi arriva il condono successivo. Il problema dunque è duplice. Di equità verso chi ha pagato e di coerenza intertemporale. Molto meglio sarebbe mettere in pratica il principio “pagare meno pagare tutti” con una lotta severa all’evasione attraverso gli strumenti che oggi conosciamo (riduzione del contante, fattura elettronica anche per i consumatori con contrasto fiscale). Indirizzando automaticamente le risorse ricavate con la lotta all’evasione alla riduzione delle tasse. Se tutti pagassero le tasse ci sarebbe spazio per una loro riduzione circa del 20% .

Ultima domanda : E’ una manovra, da quello che si è capito, che non guarda al futuro. Le risorse sugli investimenti sono poche. Che Italia vuole “disegnare” la manovra?
Per fortuna alcune delle misure importanti del governo passato (superammortamento) restano. Ma lo stimolo agli investimenti è insufficiente. Anche se il governo si propone giustamente di semplificare le procedure per l’utlilizzo di quei 150 miliardi stanziati per investimenti pubblici e ancora bloccati. Sarebbe la parte migliore di questa manovra totalmente sovrastata nell’agenda della comunicazione da altre questioni. Anche questo contribuisce ad aggravare il quadro e a peggiorare la nostra reputazione sui mercati. Stiamo diventando sempre meno credibili ed affidabili man mano che il tempo passa ed è questa la questione più grave.

“Per attuare gli interventi del governo l’Italia deve arrivare “viva” al 2019”. Intervista a Fabio Martini

La situazione politica italiana resta sempre incandescente. Il governo difende la manovra insensibile alle reazioni internazionali e ai mercati. Intanto sull’Italia si sta per abbattere il giudizio delle agenzie di rating. Si teme il declassamento. Con effetti pesanti per il nostro Paese.

Come si svilupperà il quadro politico italiano? Ne parliamo con Fabio Martini cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa”.

Fabio Martini, l’azione politica italiana si sta sempre più collocando in senso sovranista e populista. A me pare evidente che il famoso “contratto di governo”, quello sottoscritto da Lega e 5Stelle, sta assumendo i connotati una vera e propria Alleanza politica. Siamo passati dal “partner” all’ “alleato”. Questo cambia la “natura” del governo. Ovvero si è compiuto il disegno di Salvini di un governo autenticamente “sovranista”. Per te è così?
Effettivamente le tante bocciature interne e internazionali al Def e la serrata difesa che ha impegnato Salvini e Di Maio fa segnare un salto qualitativo: i partner “per caso”, i partner che si erano presentati come avversari alle elezioni, ora sono alleati, al netto delle loro diversità ideologiche e di retroterra sociale. Alleati organici, si sarebbe detto un tempo. La discesa dei due leader, che l’altra sera davanti a palazzo Chigi hanno dichiarato “avanti tutta!”, conferma questa lettura. Certo, loro sono leader che – per la retorica propagandistica che li ispira – non potrebbero mai ammettere di tornare indietro. Per questo motivo, possiamo dire che oggi questo è un governo autenticamente sovranista.

Qualche osservatore ha affermato che “Salvini ha costruito il ‘sistema solare perfetto’”: ovvero al governo con i 5stelle e in “periferia” con i resti del centrodestra. Reggerà?
Per ora funziona. D’altra parte non è la prima volta che accade una cosa del genere. Per alcuni decenni il Psi governava a Roma con la Dc ma in periferia (Comuni e Regioni) guidava giunte rosse col Pci. Durerà questo doppio forno? Dipenderà in gran parte dalla evoluzione dentro Forza Italia.

Fa impressione l’assoluta “liquidità” di Forza Italia…Fine di quel partito?
Sotto traccia sta accadendo qualcosa: Berlusconi sta sganciando la propria immagine e la propria presenza fisica da tutto quello che è Forza Italia, che considera vecchia e superata. Se il vecchio Silvio riuscirà a riproporsi con “Comitati Berlusconi” attrattivi ed effettivamente rinnovati, la partita dentro il centrodestra potrebbe riaprirsi. Altrimenti Salvini farà quel che vuole.

La ”gara” mediatica, tra Salvini e Di Maio, continua. Una cosa appare evidente: la fine della leggenda metropolitana che affermava che Di Maio è un “moderato” , qualcuno lo aveva definito un ‘democristiano digitale’… Che ne pensi?
Sono i fatti a dimostrare quanto fosse fuorviante quella lettura dei Cinque Stelle come nuova Dc, riveduta e corretta alla luce dei tempi. Naturalmente la Dc ha avuto tante incarnazioni: De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Donat Cattin, De Mita… Ma nel suo approccio moderato non c’è mai stato spazio per il populismo, ma semmai una concezione del potere incardinato su una solida classe dirigente, su un partito scalabile sempre e da chiunque: questo le ha consentito di rinnovarsi e di dominare il Paese per 45 anni. Nulla di tutto questo accade con i Cinque Stelle.

Guardando ai comportamenti e alle dichiarazioni anti UE dei due capi politici, Di Maio e Salvini, è evidente il disegno politico ed economico. Loro, ormai, perseguono un chiaro obiettivo: far saltare gli equilibri politici europei, lo dicono strillando sui media con toni pesanti e complottistici. E la manovra, ci torneremo sopra, serve per aumentare la propaganda anti-UE. Quindi quale Europa vogliono costruire? Può esistere una UE governata dai sovranisti? Non trovi che sia una contraddizione?
In effetti anche i meno dietrologi cominciano a convincersi che nella tenace tenuta del governo – impermeabile a qualsiasi critica – possa esserci un disegno destabilizzante: far saltare gli equilibri europei e dunque far nascer una Europa delle Nazioni, svincolate da un destino comune. Un’Europa di nuovo geografica e non più politica. Per coltivare un disegno di questo tipo occorre avere le spalle ben coperte. Le hanno? Oltre ai russi, anche i trumpiani stanno sostenendo con i loro dollari l’impresa giallo-verde? Se così fosse, nei prossimi mesi – prima delle elezioni Europee – potremmo veder giocare in Italia una partita strategica molto rilevante. Con armi non convenzionali, al momento imprevedibili.

Un tempo (fine anni 80) avevamo Kohl e Mittterand. Autentici statisti che hanno fatto l’UE . Adesso i nuovi “architetti” sono Le Pen e Salvini…Un bel salto…all’indietro
Se sarà un salto all’indietro questo lo vedremo. Certo, è un bel salto. Kohl e Mitterrand esprimevano lo spirito di due popoli che avevano combattuto guerre sanguinarie e che volevano chiudere quella stagione. Loro stessi avevano vissuto per esperienza diretta e personale quelle vicende. In questo caso abbiamo due leader giovani: potremmo dire che sembrano totalmente privi di memoria storica, ma faremmo un’illazione. Sicuramente insensibili all’Europa cresciuta in questi anni: in pace e con un benessere diffuso, il più elevato in tutta la storia.

E in tutto questo disegno disgregatore Vladimir Putin sta a guardare?
Sempre difficile leggere bene quel che sta facendo Putin. La sua decisione di aumentare l’età pensionabile ci dice che anche la Russia fa fatica a quadrare i conti. Certo la Russia è tornata ad essere un grande player internazionale, probabilmente alimenta i movimenti populisti di mezza Europa, ma il suo Pil è più basso di quello dell’Italia e dunque i suoi disegni espansionistici hanno comunque un limite.

Tornando alla manovra del popolo: ha ricevuto, tra gli altri, tre colpi pesanti: uno da Banca Italia , dalla Corte dei Conti e l’altro dall’Ufficio parlamentare. Tre organismi importanti. La reazione di Di Maio nei confronti delle critiche di Banca Italia è stata stizzita. Il fuoco di sbarramento è stato impressionante . Ma per i due azionisti tutto ciò vale zero. Dunque si va avanti (spread permettendo). Dunque si è capito che è una manovra elettoralistica: potrà, forse, con molti dubbi, accontentare l’ elettorato di Di Maio, e , in parte, quello della Lega. Però resta il disegno velleitario che distribuendo soldi ci sarà la crescita. Insomma una politica economica grossolana?
Una manovra piena di suggestioni molto popolari, a cominciare dalla riforma della Fornero. Ma per attuare questi interventi, l’Italia deve arrivare “viva” al traguardo di inizio 2019. Un primo inciampo è dimostrato dai sondaggi: la popolarità delle forze di governo, pur in leggero calo, resta alta ma il gradimento sulla manovra si sta abbassando. Fanno paura i suoi effetti destabilizzanti. Il secondo inciampo sono i mercati: una prolungata tensione può indurre il governo ad ammorbidire alcune misure. Diminuendone l’ effetto elettoralistico.

Come ti spieghi il ruolo di Tria? E’ sempre meno autonomo…
Da più di 20 anni i governi hanno affidato la politica di bilancio a tecnici di alto profilo, con una autorevolezza tale da risultare condizionanti e non contestabili: Ciampi, Visco, Tremonti, Padoa Schioppa, Padoan. E ora? Ora sta per finire l’equivoco di un governo fortemente sovranista e fortemente contestatore della dottrina europeistica e nel quale alcuni tecnocrati garantiscono l’ordine costituito. Tria e Moavero hanno “retto” sino a quando Di Maio e Salvini non hanno spinto il pedale dell’acceleratore. Ora si trovano oggettivamente spiazzati. E si può persino immaginare che prima o poi Tria possa lasciare.

Ultima domanda sul PD. Martina dice: “abbiamo capito la lezione degli elettori”. L’hanno capita davvero?
Come battuta in un comizio è stata davvero efficace. Ma è restata lì: nessuno ha capito quale fosse la lezione mandata a memoria. La rimozione delle ragioni profonde della storica sconfitta del 4 marzo 2018 pesa sul futuro del Pd e ne mette in discussione la sopravvivenza come soggetto organizzato.

La Cgil al bivio dopo l’annuncio della candidatura Landini. Intervista a Giuseppe Sabella

Lunedì sera si è riunita la Sergreteria Confederale della Cgil. È stata una seduta accesa per via dell’investitura che il Segretario Generale Susanna Camusso ha conferito a Maurizio Landini in vista del Congresso di Bari (gennaio 2019) che eleggerà, appunto, il nuovo leader della Cgil. In corsa ci sono appunto Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Abbiamo chiesto dettagli a Giuseppe Sabella, direttore di Think-in, e (insieme a Giuliano Cazzola) autore del recente libro L’altra storia del sindacato – dal secondo dopoguerra agli anni di Industry 4.0, Rubbettino Editore.

Sabella, come ha accolto la notizia dell’inidicazione di Landini da parte di Camusso?

Era nell’aria, non sono rimasto sorpreso. E nemmeno per il fatto che ben sette membri (su nove) della Segreteria della Cgil siano d’accordo con l’indicazione che ha dato Camusso. Ma non sarà la Segreteria ad eleggere il nuovo Segretario Generale, quindi non è semplice capire le evoluzioni del caso. Certo è che la Cgil si avvicina al Congresso divisa, ma non di tratta di una frattura che nasce lunedì. I prodromi si erano visti circa un mese sui social network, dopo le Giornate del Lavoro di Lecce, quando i dirigenti della Cgil si sono divisi non solo sulle parole del Ministro Savona ma, soprattutto, sull’opportunità della sua presenza.

Come nasce la candidatura di Maurizio Landini?

Camusso ha sostenuto le ragioni dell’investitura a Landini sulla base di un “ascolto” effettuato durante l’estate in tutta l’organizzazione tra le categorie e le Camere del lavoro e nel corso del quale il nome dell’ex segretario dei metalmeccanici sarebbe stato il più gettonato. Il disegno pro Landini non è di ieri. In realtà, la candidata ideale per Susanna Camusso era Serena Sorrentino – oggi segretaria generale del Pubblico Impiego – sul cui nome il gruppo dirigente della Cgil ha però reagito con un po’ di freddezza. È in questo clima che è nata la candidatura di Colla.

E come vede la candidatura di Colla?

È una candidatura molto appoggiata, nonostante l’investitura di Landini. Colla ha il sostegno dell’area riformista della Cgil, di categorie di peso come i pensionati, gli edili, i chimici-tessili, i lavoratori dei trasporti e delle telecomunicazioni. Landini non sembra così sostenuto – sono con lui i metalmeccanici, il pubblico impiego e gli alimentaristi – ma tutto può succedere. C’è da dire, anche, che proprio nelle ultime ore Franco Martini – che qualcuno indicava come possibile traghettatore – ha proposto il profilo di un “giovane” alla guida della Cgil e la federazione del commercio, che in un primo momento era con Camusso, lo ha seguito. Quindi, si è eroso un pezzo importante che poteva sostenere Landini. Ma tutto può succedere.

Lei come pensa possa evolvere la situazione?

Landini e Colla sono due ottimi sindacalisti ma molto diversi tra loro. Al di là delle valutazioni che possono fare gli organi competenti della Cgil, ho qualche dubbio che l’indicazione della Segretaria Generale possa fare breccia per tante ragioni, a cominciare dal fatto che sono in molti ad aver dato una mano a Camusso ad arginare Landini proprio quando l’ex leader dei metalmeccanici si mostrava piuttosto “eversivo” nei confronti della sua Confederazione, al di là del fatto che in qualche occasione si potesse condividere la sua posizione. Mi sembra difficile che oggi il gruppo dirigente, che ne ha contenuto la sua esuberanza, passi a sostenerlo.

È un’inidicazione che si porta dietro qualche contraddizione…

Si, del resto il sindacato resta l’unico luogo dove il pluralismo resiste e le contraddizione vengono superate.

Quanto è importante il Congresso della Cgil per il movimento sindacale?

SI tratta di un giro di boa fondamentale, io credo che – comunque vada – il Congresso della Cgil originerà un processo di cambiamento nell’intero mondo sindacale. Al di là del fatto che il vero protagonismo sindacale, nel futuro prossimo, sarà nei luoghi di lavoro.

IL PATTO SPORCO. Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista

“Chiediamoci perché politica, istituzioni, cultura, abbiano avuto bisogno delle parole dei giudici per cominciare finalmente a capire… Un manipolo di magistrati e di investigatori ha dimostrato di non aver paura a processare lo Stato. Ora anche altri devono fare la loro parte.”
Nino Di Matteo

“Volevo che nelle pagine di questo libro parlasse il magistrato, parlasse l’uomo,
protagonista e testimone di un processo destinato a lasciare il segno.”
Saverio Lodato

 

 

 

 

IL LIBRO
Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, gli omicidi di valorosi commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri. Lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrificati. Ma mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, proprio in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico.
La sentenza di condanna di Palermo, contro l’opinione di molti “negazionisti”, ha provato che la trattativa non solo ci fu ma non evitò altro sangue. Anzi, lo provocò. Come racconta il pm Di Matteo a Saverio Lodato in questa appassionata ricostruzione, per la prima volta una sentenza accosta il protagonismo della mafia a Berlusconi esponente politico, e per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di aver tradito le loro divise. Troppi i non ricordo e gli errori di politici e forze dell’ordine dietro vicende altrimenti inspiegabili come l’interminabile latitanza (43 anni!) di Provenzano, la cattura di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, il siluramento del capo delle carceri, Nicolò Amato, la sospensione del carcere duro per 334 boss mafiosi.
Anni di silenzi, depistaggi, pressioni ai massimi livelli (anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini. Ora, dopo questa prima sentenza che si può dire storica, le istituzioni appaiono più forti e possono spazzare via per sempre il tanfo maleodorante delle complicità e della convivenza segreta con la mafia. Tutto questo viene raccontato in un libro straordinario che oggi esce nelle librerie.

GLI AUTORI
Sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e poi a Palermo, Nino Di Matteo è ora sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Ha indagato sulle stragi dei magistrati Chinnici, Falcone, Borsellino e delle loro scorte, e sull’omicidio del giudice Saetta. Pm in processi a carico dell’ala militare di Cosa Nostra, si è occupato anche dei processi a Cuffaro, al deputato regionale Mercadante, al funzionario dei servizi segreti D’Antone, e alle “talpe” alla procura di Palermo. Diverse amministrazioni comunali (tra queste Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova) gli hanno conferito la cittadinanza onoraria per il suo impegno nella ricerca della verità. È autore dei libri “Assedio alla toga” (con Loris Mazzetti, Aliberti) e “Collusi” (con Salvo Palazzolo, Rizzoli).

Saverio Lodato è tra i più autorevoli giornalisti italiani in materia di mafia, antimafia e Sicilia. Per trent’anni è stato inviato de “l’Unità” in Sicilia e oggi scrive sul sito antimafiaduemila.com. Ha scritto: “Avanti mafia!” (Corsiero Editore); “Quarant’anni di mafia” (Rizzoli); “I miei giorni a Palermo” (con Antonino Caponnetto, Garzanti); “Dall’altare contro la mafia” (Rizzoli); “Ho ucciso Giovanni Falcone” (con Giovanni Brusca, Mondadori); “La linea della palma” (con Andrea Camilleri, Rizzoli); “Intoccabili” (con Marco Travaglio, Rizzoli); “Il ritorno del Principe” (con Roberto Scarpinato, Chiarelettere); “Un inverno italiano” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere); “Di testa nostra” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere).

PER GENTILE CONCESSIONE PUBBLICHIAMO L’INCIPIT DEL LIBRO

Venticinque anni di solitudine e coraggio

Dottor Di Matteo, venticinque anni di inchieste e di solitudine,
di ricerca accanita della verità, di successi e momenti
di amarezza, ma anche di isolamento e vita blindata. Un
quarto di secolo, con la toga addosso, nell’Italia di oggi.
Dall’età di trent’anni, a oggi che ne ha cinquantasette. Così
è volata via metà della sua esistenza. Ma quando ha inizio
l’incubo di una vita blindata giorno e notte?
Il primo servizio di scorta lo ebbi nel dicembre 1993,
alla procura di Caltanissetta. Ero alle prime armi. Mi
avevano assegnato un processo che riguardava la guerra
in corso in quegli anni fra Cosa Nostra e la Stidda, nel
territorio di Gela.

Cos’è la Stidda?
Un’organizzazione di tipo mafioso che fra la fine degli
anni Ottanta e l’inizio del ’90 si oppose al potere tra
dizionalmente incarnato, nel resto della Sicilia, solo da
Cosa Nostra; formata, in parte consistente, anche da
fuoriusciti di Cosa Nostra; e che con gli stessi metodi
di intimidazione e violenza entrò in guerra, nei territori
di Gela, Vittoria, Ragusa, di tutto l’agrigentino, proprio
con la mafia tradizionale.

Cosa accadde?
Venne intercettata una telefonata fra due capi della Stidda.
L’indomani dovevo andare da Caltanissetta a Gela, dove
sostenevo l’accusa in un processo nell’aula del tribunale.
I due capi stiddari parlavano del tragitto che ero solito
fare quando mi recavo in udienza, osservando che organizzare
un agguato poteva essere facile. Così mi trovai, da
un giorno all’altro, a passare dalla vita normale dei primi
tempi in cui ero in magistratura, alla presenza costante dei
carabinieri che mi accompagnavano in ogni spostamento.

Quanti anni aveva?
Nel ’93 avevo trentadue anni e non ero ancora sposato.
All’inizio, e penso che sia un fatto umano, la protezione,
in un certo senso, mi faceva anche piacere. Provavo un
senso di maggiore sicurezza nel mio lavoro. E poi, perché
no?, la scorta poteva essere vista come un riconoscimento
dell’importanza del mio ruolo. Con il passare degli anni, però, questa situazione, invece di essere da me
accettata, come sarebbe stato fisiologico, ha costituito
un peso sempre maggiore.

Quando iniziò a fare il magistrato?
Avevo iniziato il tirocinio, che allora si chiamava uditorato,
nell’agosto 1991. Lo avevo vissuto, da appassionato
di vicende di mafia, negli uffici giudiziari più esposti,
proprio quelli palermitani. La mia formazione coincise
tragicamente con il periodo dell’attacco più violento
della mafia alle istituzioni, ma soprattutto con le stragi
di Capaci e via D’Amelio, che colpirono Giovanni Falcone,
Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, uomini e
donne delle loro scorte.

Cosa rappresentavano per lei, giovane uditore giudiziario,
Falcone e Borsellino?
Erano stati, fra gli altri, ma più degli altri, i miei punti
di riferimento nella scelta di diventare magistrato. Finalmente
avevo realizzato un sogno. Li avevo conosciuti.
Ero orgoglioso di fare il tirocinio negli stessi uffici dove
loro avevano lavorato e dove Paolo Borsellino continuava
a lavorare. E in quegli stessi corridoi della procura
di Palermo ho vissuto lo sgomento per gli attentati di
Capaci e via D’Amelio.

Prima di andare a Caltanissetta, li aveva già conosciuti
personalmente?
Sì, Falcone in maniera più superficiale. Ogni tanto,
seppure fosse già in servizio al ministero della Giustizia
a Roma, veniva a Palermo. Paolo Borsellino lo conobbi
meglio perché lavorava come procuratore aggiunto a
Palermo, proprio mentre facevo il tirocinio nello stesso
ufficio giudiziario.

Cosa ricorda di loro?
La prima stretta di mano con Falcone rimarrà soprattutto
un mio ricordo, legato a una grande emozione.
Quella di stringere la mano a colui che era stato il punto
di riferimento ideale del mio impegno per diventare
magistrato. Accadde in occasione di una sua visita
alla procura di Palermo, in cui gli vennero presentati
i tirocinanti. Appena pochi giorni prima dell’omicidio
di Salvo Lima, europarlamentare democristiano, il 12
marzo 1992. Il delitto che, come immediatamente
percepì con preoccupazione proprio Falcone, avrebbe
cambiato il corso dei rapporti fra il vertice di Cosa
Nostra e l’apparato statuale. Stava iniziando la stagione
delle bombe.

Nino Di Matteo – Saverio Lodato, IL PATTO SPORCO.Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista, Ed.Chiarelettere 2018, pagine 224, prezzo 16 €