In un clima sempre più pesante, sotto molti punti di vista, il Paese s’interroga sulle sue prospettive. Ne parliamo con l’ On. Walter Veltroni. Continua a leggere
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Verso la fine del berlusconismo? Intervista ad Eugenio Scalfari
La prossima settimana con il voto delle due Camere sulle mozioni di sfiducia sapremo quale sarà il destino del governo Berlusconi. Molti osservatori si interrogano sul futuro politico dell’Italia in questa complicata transizione. Ne parliamo con Eugenio Scalfari fondatore del quotidiano “La Repubblica”.
Direttore Scalfari, la storia politica italiana sta vivendo un periodo assolutamente convulso. Davvero siamo alla fine di un’epoca, quella berlusconiana? Siamo alla vigilia, come ha scritto recentemente su Repubblica Massimo Giannini, di un “nuovo 25 Aprile”? Oppure sarà un “nuovo 8 settembre”?
Purtroppo non credo che siamo alla fine dell’epoca berlusconiana. Siamo probabilmente alla fine del governo Berlusconi ma il berlusconismo è una delle costanti degli italiani, una sorta di fiume carsico che di tanto in tanto emerge e che si chiama demagogia, furbizia, prevalenza dell’egoismo rispetto al bene comune. Di volta in volta questo fiume carsico ha assunto diverse denominazioni; si è chiamato crispismo, fascismo, doroteismo, craxismo, berlusconismo. Le forme furono profondamente diverse e determinate dai diversi contesti, ma la natura di questo fenomeno è sostanzialmente la medesima ed è quel tipo di Italia rispetto alla quale noi ci sentiamo stranieri.
Cosa lascia in “eredità” il “berlusconismo”?
L’eredità del berlusconismo è quella di cui alla risposta precedente.
Una delle tante battaglie del quotidiano Repubbica, da Lei fondato, è stata quella per fare dell’Italia una “democrazia compiuta”. La svolta di Fini favorisce questo percorso, oppure la transizione italiana è ancora lontana dall’essere compiuta?
La svolta di Fini è un tassello per una democrazia compiuta. Forse l’avvio di un confronto civile tra una destra europea e una sinistra altrettanto europea, sempre che l’Europa abbia un futuro, del che allo stato dei fatti può sorgere più di un fondato dubbio.
Il PD è ancora alla ricerca di se stesso. E le primarie milanesi ne confermano la debolezza. Quali sono, secondo lei, i punti fermi di un partito autenticamente riformista?
Effettivamente il Pd ha un problema identitario che non è stato risolto. I punti fermi di un partito riformista furono posti da Veltroni al Lingotto due anni fa e con qualche aggiornamento restano ancora quelli. Putroppo la classe dirigente attuale di quel partito è una nomenclatura a tutti gli effetti e quindi non mi sembra in grado di riprendere il cammino. Il problema di un ringiovanimento della classe dirigente esiste ma non si risolve certo con la demagogia dei vari Renzi e neppure con quella, ben più raffinata, ma egualmente sconquassante di Vendola.
Guardando un po’ in profondità, si ha la percezione che la società italiana sia senza punti di riferimento capaci di uno sguardo lungo sui nostri problemi. Insomma un periodo “oscuro” pieno di “barbarie”. E’ Così? Oppure vede, nel caos, qualche segno di speranza?
ll caos è la premessa per l’emergere delle forme.
Lei è amico del Cardinale Carlo Maria Martini. Spesso nei vostri dialoghi, tra “persone che pensano” come direbbe il Cardinale, vi sono significative convergenze. Mi sembra un punto importante, a livello culturale, nel secolare dialogo italiano tra “Laici” e “cattolici”. Purtroppo non tutti nella Chiesa hanno l’inquietudine del Cardinale Martini, come vede la presenza della Chiesa oggi in Italia?
La presenza della Chiesa in Italia non è molto confortante. A livello di parrocchie, di oratori, ed anche di parecchie diocesi si può registrare un desiderio evangelico apprezzabile, che si riflette anche in molti settori del volontariato cattolico. Questa è la Chiesa che avrebbe voluto e vuole il Cardinal Martini, con la quale un dialogo da parte laica è certamente possibile; ma è purtroppo una Chiesa minoritaria.