“La Verità del Freddo”, un libro svela i segreti della “Banda della Magliana”. Intervista a Raffaella Fanelli

“Hanno già ordinato la mia morte…” Maurizio Abbatino parla e racconta quello che ha visto e vissuto in prima persona. Anni di delitti, di vendette, di potere incontrastato su Roma e non solo. Misteri italiani, dal delitto Pecorelli all’omicidio di Aldo Moro, fino alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Protagonista di una stagione di sangue che ha segnato la storia più nera del nostro paese; fondatore e capo, con Franco Giuseppucci, della banda della Magliana, Abbatino è l’ultimo sopravvissuto di un’organizzazione che per anni si è mossa a braccetto con servizi segreti, mafia e massoneria. Nel libro scorre la storia d’Italia vista con gli occhi di un criminale sanguinario che ha fatto arrestare altri criminali sanguinari. Molti di loro sono tornati liberi. Lui no. La collaborazione di Abbatino ha attraversato tutti gli anni Novanta e il decennio successivo per interrompersi nel 2010. La sua testimonianza ha consentito di avviare il processo che ha portato dietro le sbarre il nucleo storico della Banda. Le sue rivelazioni hanno avuto un peso in processi importanti, da quello per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli a quello per la morte di Roberto Calvi. Un libro importante. L’autrice, la brava giornalista d’inchiesta Raffaella Fanelli, ci racconta, in questa intervista, le novità che sono emerse dal suo incontro con Maurizio Abbatino. Continua a leggere

“L’Italia impari a far crescere la sua industria o non saremo più un paese avanzato”. Intervista a Giuseppe Sabella

In questi due mesi, oltre di legge di bilancio, il premier Conte e il Ministro Gualtieri hanno parlato molto di green new deal. L’orizzonte tracciato è quello giusto, ma per dare un futuro alla nostra economia bisogna che anzitutto migliori la gestione delle crisi di impresa. Sono oltre 150, infatti, i tavoli di crisi aperti al Ministero dello sviluppo economico che, da tempo, non trovano soluzione. E dietro le emergenze più note – Whirlpool, Alitalia e la ex Ilva per dirne alcune – c’è un universo di aziende da salvare. Ne parliamo con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0 ed esperto di relazioni industriali.

(foto Ansa)

Sabella, ci dice qualcosa su caratteristiche e proporzioni di questo fenomeno sempre più grande e sempre meno controllato dal governo? Continua a leggere

“E’ stato un Sinodo profetico”. Intervista a Francesco Antonio Grana

(AP/Alessandra Tarantino)

Si è concluso, in Vaticano, l’importante Sinodo sull’Amazzonia. Facciamo con Francesco Antonio Grana, vaticanista del www.ilfattoquotidiano.it, un piccolo bilancio.

 

Francesco, si è appena concluso il Sinodo sull’Amazzonia. Un Sinodo, per diversi motivi, che è stato definito storico. Facciamo un piccolo bilancio. Qual è il frutto più maturo che lascia alla Chiesa universale?

 

Quello sull’Amazzonia è stato il quarto Sinodo di Papa Francesco in quasi sette anni di pontificato. Sicuramente un primo frutto di questa assemblea speciale è di aver portato nel cuore della Chiesa cattolica i popoli dell’Amazzonia con le loro tradizioni, le loro culture, i loro problemi insieme alla risorsa ambientale preziosa e insostituibile che quella regione rappresenta per la salvaguardia dell’intero pianeta e della vita sulla terra. Ciò non solo perché viviamo in un mondo globale, ma proprio perché la foresta amazzonica è davvero il polmone del mondo. Mettere al centro questa realtà, senza pregiudizi, ma ascoltando la voce dei diretti protagonisti è un grande merito di Francesco e del Sinodo.

 

Sempre più, con Papa Francesco, il Sinodo diventa strategico per il cammino della Chiesa. Questo nonostante le resistenze del partito curiale, è così?

 

Il Papa lo ha detto nel primo discorso che ha pronunciato nell’Aula del Sinodo parlando proprio del “disprezzo”. “Mi è dispiaciuto molto sentire qui dentro un commento beffardo su quell’uomo pio che portava le offerte con le piume in testa. Ditemi: che differenza c’è tra il portare piume in testa e il ‘tricorno’ che usano alcuni ufficiali dei nostri dicasteri?”. È un’affermazione forte che risponde a chi in queste tre settimane ha storto il naso per il Sinodo sull’Amazzonia. Ma anche a chi, soprattutto all’interno della Curia romana, non ama questo strumento collegiale voluto da San Paolo VI dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Non è un caso se Montini non ha voluto che il Sinodo fosse deliberativo, ma soltanto consultivo. L’ultima parola, ieri come oggi, spetta al Papa. I padri sinodali offrono al Pontefice un documento finale, ma poi è il vescovo di Roma a dover decidere e a comunicare le sue scelte attraverso un’esortazione apostolica. Sicuramente la collegialità è un processo strategico in questo pontificato, ma è iniziata col Vaticano II.

 

L’assemblea ha prodotto un bellissimo documento finale. C’è una parte “geopolitica” (definiamola così) che colloca la Chiesa nella difesa dell’Amazzonia come “consustanziale” alla evangelizzazione. È così?

 

Riconoscere l’Amazzonia, coi suoi popoli e il suo creato, come risorsa preziosa per il mondo e per la Chiesa cattolica significa difendere questa realtà. Nel documento finale si condanna in modo chiaro “un’evangelizzazione in stile colonialista”. Da ciò deriva un autentico rispetto che soprattutto gli uomini di Chiesa, ma ovviamente non solo loro, devono avere nell’approccio con i popoli di questa regione.
Apriamo una piccola parentesi. Al Sinodo hanno partecipato i rappresentanti dei popoli amazzonici. Hanno portato la loro cultura e la loro fede nel centro della cattolicità. Eppure qualcuno ha gridato allo scandalo, parlo delle statue delle divinità amazzoniche che sono state ospitate in una Chiesa di via della Conciliazione a Roma. Qualcuno ha affermato che si è trattato di un cedimento al “paganesimo”. Tanto da organizzare un rosario di riparazione. Non è ridicolo questo?

 

Credo che come sempre le parole del Papa anche su questo aspetto siano state la migliore risposta a chi si è stracciato le vesti per le statuette amazzoniche. Cosa ha detto Bergoglio? Ha chiesto perdono come vescovo di Roma a chi si è sentito offeso dal gesto inqualificabile commesso da alcune persone di buttare nel Tevere cinque statuette. L’inculturazione del Vangelo, tanto cara a San Paolo VI, e il rispetto delle tradizioni religiose, di cui parla Francesco nell’Evangelii gaudium, ci insegnano il rispetto per le culture altre e non a caso non uso il termine diverse.
Torniamo al Sinodo. Tra i compiti del Sinodo c’era quello di trovare nuove strade per una Chiesa dal volto amazzonico. E l’attenzione era tutta puntata sull’ordinazione dei “viri probati” e sul ministero per le donne. Sappiamo che è stato accettato il sacerdozio ai diaconi sposati. Sul ministero, il diaconato, alle donne si rimanda alla ennesima commissione. Eppure le donne hanno fatto sentire la loro voce… Non è umiliante rimandare ancora?

 

Sulle donne la Chiesa è sicuramente molto indietro. Non so se di duecento anni come diceva il cardinale Carlo Maria Martini, però sicuramente tante aspettative che si erano manifestate anche durante il Sinodo sono state profondamente deluse. Viene da domandarsi se non sia arrivato il tempo del riconoscimento di una ministerialità femminile. Eppure nei Vangeli le donne sono le protagoniste principali proprio come gli apostoli. Sono loro a ricevere il primo annuncio della resurrezione. Ma la Chiesa è ancora fortemente maschilista. Si ha forse paura di aprire una porta temendo che si possa arrivare, tra diversi anni, al sacerdozio e all’episcopato per le donne come avvenuto nella Chiesa anglicana. Francamente non avrei questo timore: le donne ieri come oggi sono parte fondamentale della Chiesa, dalla Madonna a Santa Teresa di Calcutta, a Chiara Lubich. Gli esempi sono tantissimi. Ma non è pensabile che il loro servizio prevalente in Vaticano sia quello di fare da serve a cardinali e vescovi. San Giovanni Paolo II ha parlato del “genio femminile”. È giunto il tempo che la Chiesa gerarchica lo faccia fruttare efficacemente.
Ultima domanda: quale sarà la prossima tappa sinodale di Papa Francesco?

 

Dall’assemblea sono stati proposti tre temi tra cui quello della sinodalità. Il Papa ha detto di non aver ancora deciso. C’è anche chi ha chiesto un Sinodo sul celibato sacerdotale, ma credo che sia molto prematuro visti anche i risultati in merito all’apertura ai preti sposati in Amazzonia. Precedentemente Francesco ha voluto due Sinodi sulla famiglia e uno sui giovani. Sicuramente il prossimo avrà un tema ugualmente di grande attualità per il mondo intero, non solo per la stretta geografia cattolica, e sarà anche profondamente collegato al cammino del pontificato missionario di Bergoglio.

La masso-‘ndrangheta e i misteri d’Italia nel libro inchiesta di Claudio Cordova. Intervista all’autore

Importante questo libro, dal titolo significativo: “Gotha. Il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi segreti deviati” (Edizioni Paper FIRST, pag. 381). L’autore è un giovane e brillante giornalista calabrese: Claudio Cordoba.

Il libro è un’inchiesta che affonda le radici nella storia della ‘ndrangheta svelando legami con massoneria, ambienti eversivi e mondo delle istituzioni. Emergono amicizie, relazioni e collegamenti tra uomini di altissimo livello e cosche. Un sistema di potere capace di rafforzarsi, rigenerarsi e mutare nonostante le sanguinose guerre tra clan, le morti e gli arresti. Attraverso fonti giudiziarie inedite il libro dimostra come le famiglie calabresi entrino prepotentemente in alcune delle storie più oscure d’Italia: dal tentato Golpe Borghese, alla strategia della tensione, passando per il rapimento di Aldo Moro, fino ad arrivare alla P2 e agli attentati contro le istituzioni negli anni ’90. Una ‘ndrangheta che si infiltra ovunque: nell’economia, nel sociale, nella chiesa e negli ambienti para-istituzionali, come i servizi segreti deviati. Ma soprattutto si muove bene tra le nuove forze politiche.

Claudio Cordova, partiamo da un recentissimo fatto di cronaca avvenuto la scorsa settimana a Reggio Calabria. Mi riferisco al ritrovamento, da parte delle forze dell’ordine, di un consistente quantitativo di armi. Per gli inquirenti si tratta di un arsenale dell’ndrangheta. Ma quello che ha colpito, però, è che nel locale è stato ritrovato un “panetto” di droga fasciato con il simbolo della massoneria. Insomma è una ulteriore prova, inquietante, del legame indicibile, per usare un termine appropriato, tra ndrangheta e massoneria in Calabria?
Si tratta di una vicenda troppo recente per essere correttamente decifrata. E’ sicuramente molto inquietante. Diverse possono essere le chiavi di lettura e sarebbe troppo facile cadere in errore, soprattutto quando si parla di sistemi, meccanismi, ambienti e cervelli così raffinate. Quel simbolo potrebbe rappresentare di tutto: anche, per esempio, un ipotetico ordine per una specifica loggia. Ciò che può essere detto con certezza è che solo la ‘ndrangheta può avere disponibilità di armi di quel tipo. Quindi sembra l’ennesima conferma dei collegamenti tra ‘ndrangheta e massoneria, che potrebbe aprire nuovi squarci investigativi.

Il tuo libro, dal titolo emblematico “Gotha”, analizza in profondità l’evoluzione criminale della ‘ndrangheta. In particolare la sua evoluzione politico-organizzativo dalle locali al “Gotha” appunto. Questa evoluzione incomincia nel finale degli anni’ 60. Mi riferisco al famoso vertice di Montalto. Perché è importante questo vertice? Chi vi partecipa?
Vi partecipa il “Gotha” della ‘ndrangheta del tempo, appunto. Sono i boss più importanti a parlare, alla presenza, come ci dicono alcuni collaboratori di giustizia, anche di esponenti politici. E’ molto importante per almeno due motivi. Il primo è quello che ci porta a poter dire che in quell’occasione si salda il legame tra la criminalità organizzata e mondo eversivo, in quanto in quei giorni è certificata la presenza di Junio Valerio Borghese, ex gerarca della Decima Mas, a Reggio Calabria. Borghese sarà poi protagonista del famoso tentato golpe, in cui la ‘ndrangheta avrebbe dovuto giocare un ruolo fondamentale. Il secondo risiede nel fatto che per la prima volta abbiamo tracce del concetto di ‘ndrangheta unitaria, che verrà sancito oltre 50 anni dopo dalla sentenza del processo “Crimine”. La frase pronunciata dal boss Peppe Zappia è un tassello fondamentale per comprendere le dinamiche interne all’organizzazione.

Nel tuo libro si mette in evidenza il rapporto stretto della ‘ndrangheta con la destra eversiva: dalla richiesta di partecipazione al golpe borghese fino al “boia chi molla” di Reggio Calabria. In questo legame c’ è il ruolo determinante della massoneria. È così?
La massoneria deviata è, da sempre, il collante. Quelli infatti sono gli anni della creazione della “Santa”, la struttura interna alla ‘ndrangheta che consente ai boss di entrare in contatto con le logge, ma, soprattutto, di allacciare e coltivare i rapporti istituzionali. La rivolta del 1970 è un caso unico nella storia d’Italia e nella storia dell’Occidente: una città assediata per mesi in cui sono dovuti sfilare per le strade i carri armati per sbrogliare la situazione. La ‘ndrangheta è stata intelligente nel saper sfruttare a proprio vantaggio quella sommossa popolare, ferita ancora aperta per ogni cittadino che l’ha vissuta.

Concutelli e Delle Chiaie che rapporti avevamo con la ‘ndrangheta?
La componente eversiva di destra e, in particolare, quella facente capo ad Avanguardia Nazionale, era molto forte e radicata in Calabria, proprio grazie a quanto accaduto con la rivolta dei “Boia chi molla”. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, Concutelli e Delle Chiaie avrebbero anche partecipato al famoso summit di Montalto. Personaggio chiave sul territorio era il marchese Fefè Zerbi, che da sempre ha tirato le fila di Avanguardia Nazionale e, secondo molti, era il collante tra la destra eversiva e la criminalità organizzata. Delle Chiaie ha sempre negato i rapporti con la ‘ndrangheta, ma sono plurimi gli elementi che ci fanno pensare il contrario: anche l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, per mano di Concutelli, si intreccia con dinamiche di ‘ndrangheta.

Anche nel caso Moro c’è la presenza del Crimine (la ‘ndrangheta). Con quale ruolo?
Nel libro sono sviscerati diversi indizi sul caso, sia in merito alla notizia, circolata in ambienti ’ndranghetisti, dell’esistenza di un’arma “sporca” impiegata a via Fani, sia in ordine all’ipotizzato interessamento della criminalità organizzata per favorire il rinvenimento del luogo di prigionia di Aldo Moro, sia con riferimento alla telefonata tra il segretario di Moro, Sereno Freato, e Benito Cazora, deputato della Democrazia Cristiana (secondo alcune ricostruzioni incaricato di tenere i rapporti con la malavita calabrese), avvenuta otto giorni prima della morte di Moro, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro. E poi, l’inquietante presenza sul luogo dei fatti del boss di San Luca, Antonio Nirta, detto “due nasi” per la sua predilezione per l’arma a doppia canna.

Dicevamo poco fa del cammino di evoluzione “organizzativa” (in realtà è anche “politico” ed economico). Il passaggio strategico è la costituzione della “Santa”. Cos’è e chi ne fa parte?
La Santa è quella struttura interna alla ‘ndrangheta che crea quell’abbraccio mortale, quasi una fusione in alcuni casi, tra criminalità organizzata calabrese e massoneria deviata. Nasce tra gli anni ’60 e gli anni ’70 per intuizione della famiglia De Stefano e del boss don Mommo Piromalli. Solo i grandi capi possono farne parte. Grazie alla massoneria deviata, i boss della ‘ndrangheta fanno ingresso in stanze apparentemente inaccessibili, possono iniziare a dialogare con politica, imprenditoria, chiesa, ma anche con il mondo istituzionale delle forze dell’ordine, della magistratura e dei servizi deviati. Tutte cose che con la “vecchia ‘ndrangheta” erano considerate elementi di vergogna e infamia.

Torniamo al quadro più generale. Un altro aspetto inquietante sono le relazioni della ‘ndrangheta con i Servizi Segreti deviati. Un “gioco” tremendamente sporco…. È così?
Credo fermamente che l’Italia debba fare i conti con la propria storia e ammettere che in alcune delle vicende più torbide dall’immediato dopoguerra in avanti, sia stato fondamentale il ruolo delle mafie e, in particolare, della ‘ndrangheta. Senza questi rapporti istituzionali e para-istituzionali, la ‘ndrangheta sarebbe rimasta una “semplice” banda armata. Invece abbiamo elementi concreti dei rapporti tra cosche e apparati di sicurezza, non solo con riferimento agli anni di piombo e ai casi come quello di Aldo Moro, ma anche, per esempio, per il traffico di rifiuti tossici e radioattivi, nonché per mettere in atto la strategia stragista in combutta con Cosa Nostra negli anni ’90.

Ci sono sempre stati rapporti con Cosa nostra. Ma negli anni ’90, come hai appena affermato, c’ è il salto ovvero la partecipazione alla politica stragista di Cosa nostra.. È così? Come si spiega?
E’ un tema che per anni è stato molto sottovalutato. In generale, è stata molto sottovalutata la potenza – che è cresciuta costantemente – della ‘ndrangheta. Cosa Nostra è l’organizzazione più simile (seppur con sensibili e fondamentali differenze) alla ‘ndrangheta. Molto più vicina rispetto alla Camorra. A partire dagli anni ’60, la mafia siciliana si è legata al mondo istituzionale. Successivamente, con l’attacco frontale allo Stato, ha commesso un grave errore strategico, permettendo invece alla ‘ndrangheta di muoversi sotto traccia. Per essere ancora più chiari: nell’immaginario collettivo, la strategia stragista degli anni ’90, viene imputata totalmente a Cosa Nostra. Nel libro, invece, sono svelati alcuni collegamenti che ci possono fare affermare che in quella lunga scia di sangue, gravi responsabilità siano da attribuire anche alla ‘ndrangheta.

Nella regione, nel corso di questi anni, nascono sempre più logge “coperte”. Da chi sono formate?

Alcune fonti ci dicono che ogni loggia ufficiale abbia anche la componente occulta. Si tratta, evidentemente, di pericolosi comitati d’affari, in cui, attorno a un tavolino (ideale e materiale) potremmo trovare il politico, il magistrato, l’ufficiale delle forze dell’ordine, l’imprenditore e il boss della ‘ndrangheta. E’ chiaro che da un’unione così perversa non possono che nascere trame oscure, che condizionano la vita politica, economica e sociale delle comunità.

Quelle “ufficiali” sono immuni dalle infiltrazioni? E come giudichi il comportamento delle “Fratellanze” massoniche ufficiali?
L’ex gran maestro Giuliano Di Bernardo dichiarò ufficialmente, anche alla magistratura, che aveva contezza del fatto che in Calabria 28 logge ufficiali su 32 fossero infiltrate dalla criminalità organizzata. Una proporzione inquietante. La massoneria nasce (e, sulla carta, mantiene) con propositi e ideali molto nobili. La riservatezza – che, in realtà, è una parola per edulcorare il concetto di segretezza – non fa del bene alla massoneria. Credo che maggiore trasparenza e, in alcuni casi, maggiore rigore, possano essere la chiave per riportare la fratellanza ai valori che, ancora oggi, vengono portati a vessillo dai massoni, e, a scrostare quelle convinzioni negative che vedono la massoneria come un potente centro di potere.

Tra i personaggi più inquietanti del libro c’è Paolo Romeo. Chi è?
E’ un avvocato. La sua figura emerge fin dagli anni della rivolta del 1970. Legato alla destra estrema, ha ricoperto diversi incarichi pubblici, fino alla carica di deputato nelle file del PSDI. Ma ha anche affrontato diversi procedimenti giudiziari: è infatti condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa ed è accertato anche sotto il profilo giudiziario il suo ruolo nella latitanza di Franco Freda, considerato uno dei terroristi “neri” più influenti. Freda trascorse un periodo a Reggio Calabria, ospitato proprio dall’avvocato Romeo, prima di fuggire in Costa Rica. Da sempre considerato vicino alla potente cosca De Stefano, Romeo è stato anche coinvolto nell’inchiesta (poi archiviata) “Sistemi Criminali”, con cui la magistratura siciliana ipotizzava un patto tra mafie e mondi occulti per sovvertire l’ordine costituito alla fine della prima Repubblica.

È ancora in attività?
Paolo Romeo è una figura carismatica, che, come unanimemente riconosciuto da chi lo ha frequentato, è dotato di grandissime doti intellettive, una grande dialettica e una propensione naturale alla pianificazione e alla strategia, che ha rappresentato il fulcro della politica degli ultimi 40 anni. Alcuni anni fa è stato nuovamente coinvolto in un’indagine giudiziaria in cui è accusato di diversi reati. Nel processo, tuttora in corso, è imputato essendo considerato a capo della cupola massonica della ‘ndrangheta. Nelle carte processuali, i magistrati definiscono “baricentrico” il suo ruolo nei rapporti tra ‘ndrangheta e associazioni segrete.

Quali sono le forze politiche maggiormente avvicinate dalla “masso-‘ndrangheta?
Storicamente è la destra e, in particolare, la destra eversiva. Alcuni collaboratori di giustizia ci dicono poi come negli anni ’90, con la nascita di Forza Italia, le organizzazioni criminali, anche attraverso la nascita dei movimenti separatisti di Nord e Sud, abbiano puntato sul partito di Silvio Berlusconi, identificato come il “nuovo che avanza”. Ma la ‘ndrangheta va sempre verso chi ritiene sia il vincitore, a prescindere dal colore politico, indirizzandone molto spesso la vittoria. Per la ‘ndrangheta le due cose più importanti sono governare e fare soldi.

Un collaboratore di giustizia, Virgiglio, fa questa affermazione, che tu riprendi nel libro : “attraverso un” varco”il mondo mondo massonico entra nella ‘ndrangheta e non viceversa”. Qual è questo varco?
E’ la “Santa”. Il Santista è l’emblema dell’evoluzione della ‘ndrangheta. Virgiglio parla con grande cognizione di causa, essendo stato a contatto sia con l’elite della ‘ndrangheta, le cosche Piromalli e Molè, ma anche avendo avuto ruoli di altissimo livello all’interno della Fratellanza. Dal patto tra ‘ndrangheta e logge deviate nasce un’organizzazione criminale che, come ci dice Virgiglio, ha l’obiettivo finale di garantire alla componente massonica, fortemente politicizzata, la gestione dei flussi elettorali. Attraverso il controllo di politica e classe dirigente si possono gestire gli ingenti capitali sporchi, già formati, che vanno costantemente ricollocati sul mercato, anche estero, mediante strumenti finanziari evoluti, gestiti attraverso gli appartenenti alla massoneria.

Arriviamo così all’ultimo punto : “La sacra corona”. Cos’è il “Gotha” della masso-‘ndrangheta?
Si tratta di una ulteriore struttura della ’ndrangheta fino a poco tempo fa quasi totalmente ignota. Può rappresentare effettivamente un’articolazione legata alla massoneria che non raggruppa liberi muratori con aspirazioni da carriera all’interno di un’organizzazione massonica, ma soggetti cui si riconosce un potere di controllo del territorio. E’ fondamentale sottolineare come gran parte della struttura più alta della ‘ndrangheta sia ancora a noi ignota. Noi abbiamo una buona conoscenza del fenomeno a livello medio. Per intenderci, la ‘ndrangheta non ha avuto un Tommaso Buscetta, che al giudice Giovanni Falcone ha aperto le porte di Cosa Nostra. Noi abbiamo piccoli squarci di luce sui livelli più alti e occulti. La segretezza e la struttura familistica della ‘ndrangheta sono uno dei punti di maggiore forza della ‘ndrangheta, che la rendono anche abbastanza immune al fenomeno del pentitismo.

In questi ultimi anni ci sono stati processi, condanne. Ma l’impressione è che questo intreccio criminale continui a soffocare la vita politica, economica e sociale della Calabria. È così?
Sì. Perché il sistema è così radicato, così oleato, che riesce a superare le epoche, a prescindere dagli arresti o dalla scomparsa dei capi carismatici. Non si può delegare tutto all’azione repressiva da parte di magistratura e forze dell’ordine. Ci sono ampie fette di territorio e di classi sociali anche elevate che strizzano l’occhio alla ‘ndrangheta. Questa terra è stata tradita proprio da chi l’avrebbe dovuta tirare fuori dalle secche: dalla borghesia, dai professionisti, dagli intellettuali. A volte è ben visibile un preciso disegno che vuole la regione come un territorio a perdere, dove poter realizzare ogni nefandezza. Per anni, la Calabria è stato un crocevia di torbidi affari e di trame, anche di caratura nazionale e internazionale. Però poi la situazione è sfuggita di mano e ci si è accorti che non sono i calabresi a essere geneticamente modificati, a essere mafiosi nel DNA, ma che la ‘ndrangheta può attecchire ovunque e che nessun luogo e nessuna popolazione hanno gli anticorpi per resistere al contagio. In Calabria la ‘ndrangheta controlla tutto e chiunque voglia edulcorare questo concetto, non fa il bene di questa terra. C’è un primo passo fondamentale per sconfiggere la ‘ndrangheta: parlarne.

“Giudizio Universale”, l’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi sui guai finanziari della Chiesa

Giudizio Universale

 

Nel cuore della Santa sede, allinterno del palazzo apostolico, i cardinali sono impegnati da mesi in unoperazione di salvataggio che sembra impossibile. Un piano segreto di emergenza da realizzare assolutamente entro cinque anni, prima che sia troppo tardi. I clamorosi dossier riservati che compongono la nuova inchiesta di Gianluigi Nuzzi tracciano uno scenario impensabile: la Chiesa è prossima al default finanziario. Mancano i soldi per pagare i dipendenti, sono sospese le ristrutturazioni dei palazzi, è minacciata la sopravvivenza delle parrocchie in Italia e nel mondo.

 

Giudizio universale (ED. CHIARELETTERE, Pagg. 368, € 19,00) ,il libro è da stamattina nelle librerie, è un viaggio esclusivo nelle stanze più inviolabili dei sacri palazzi, tra riunioni a porte chiuse dov’è stato possibile ascoltare a viva voce i moniti e le parole allarmate di Francesco. Un racconto in presa diretta realizzato grazie a oltre tremila documenti top secret, che arrivano fino allestate del 2019.

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