“Hanno già ordinato la mia morte…” Maurizio Abbatino parla e racconta quello che ha visto e vissuto in prima persona. Anni di delitti, di vendette, di potere incontrastato su Roma e non solo. Misteri italiani, dal delitto Pecorelli all’omicidio di Aldo Moro, fino alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Protagonista di una stagione di sangue che ha segnato la storia più nera del nostro paese; fondatore e capo, con Franco Giuseppucci, della banda della Magliana, Abbatino è l’ultimo sopravvissuto di un’organizzazione che per anni si è mossa a braccetto con servizi segreti, mafia e massoneria. Nel libro scorre la storia d’Italia vista con gli occhi di un criminale sanguinario che ha fatto arrestare altri criminali sanguinari. Molti di loro sono tornati liberi. Lui no. La collaborazione di Abbatino ha attraversato tutti gli anni Novanta e il decennio successivo per interrompersi nel 2010. La sua testimonianza ha consentito di avviare il processo che ha portato dietro le sbarre il nucleo storico della Banda. Le sue rivelazioni hanno avuto un peso in processi importanti, da quello per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli a quello per la morte di Roberto Calvi. Un libro importante. L’autrice, la brava giornalista d’inchiesta Raffaella Fanelli, ci racconta, in questa intervista, le novità che sono emerse dal suo incontro con Maurizio Abbatino.
“La Verità del Freddo”, il libro che hai pubblicato con Chiarelettere è giunto alla .sua settima edizione e la casa editrice si prepara a una riedizione aggiornata del volume… insomma un successo! Come hai fatto a convincere Maurizio Abbatino a parlare?
La collaborazione di Abbatino ha attraversato tutti gli anni Novanta e il decennio successivo per interrompersi nel 2010. La sua testimonianza ha consentito di avviare il processo che ha portato dietro le sbarre il nucleo storico della Banda. Le sue rivelazioni hanno avuto un peso in processi importanti, da quello per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli a quello per la morte di Roberto Calvi. Non è stato facile rintracciarlo. L’ho inseguito per due anni con messaggi e telefonate prima di convincerlo a darmi un’intervista. Il libro è arrivato dopo. Ed è stato lui a chiedermi di scriverlo.
Nel tuo libro ci sono importanti informazioni anche sulla strage alla stazione di Bologna…
Scrivo di Massimo Carminati e del depistaggio nelle indagini sulla strage del 2 agosto 1980. Per l’ex Nar fu provvidenziale la testimonianza di Sergio Calore, prima militante di Ordine Nuovo e poi collaboratore di giustizia finito ammazzato a picconate nel 2010 a Guidonia. Un delitto rimasto irrisolto. Per la strage alla stazione è attualmente in corso il processo a Gilberto Cavallini, anche lui un ex Nar come Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti già condannati. Il depistaggio, invece, ci fu pochi mesi dopo, il 13 gennaio del 1981, quando sul treno Taranto-Milano, nella terza vettura di seconda classe, fu ritrovata una valigia di cuoio con due fibbie. Dentro c’era un arsenale: armi e munizioni e soprattutto un ingente quantitativo di esplosivo dello stesso tipo di quello utilizzato per la strage, oltre a due biglietti aerei emessi a nome di due cittadini stranieri. Nella valigia c’era anche un mitra Mab con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente. A coinvolgere Massimo Carminati in quell’inchiesta fu proprio Maurizio Abbatino, che ricordò quel mitra. Lo riconobbe come il mitra Mab conservato nell’arsenale della banda della Magliana e preso in carico da Massimo Carminati. Che prima fu condannato a nove anni di reclusione e poi assolto, nel dicembre 2001, dopo i dubbi introdotti da Sergio Calore. E dopo il furto al caveau del tribunale di Roma, messo a segno proprio da Massimo Carminati il 17 luglio del 1999: furono saccheggiate cassette di sicurezza di magistrati, politici e avvocati.
Hai accennato al processo in corso a Bologna con imputato Gilberto Cavallini, l’ex Nar accusato di concorso nella strage. Tu lo hai incontrato?
Ho incontrato Cavallini e ho registrato le sue dichiarazioni. Prende le distanze dalla strage, così come tutti gli altri Nar condannati. Ma ho incontrato anche Vincenzo Vinciguerra, una delle figure più emblematiche del neofascismo italiano, che dal 1980 ad oggi ha permesso, con le sue dichiarazioni, di ricostruire l’ambiente e i legami che sono all’origine dello stragismo italiano. Vinciguerra mi ha raccontato che durante la sua detenzione a Volterra, il suo compagno di cella, tal Johann Hirsch indicò come autori della strage Fioravanti, Mambro e i Nar. E durante le ricerche che ho fatto per “La Verità del Freddo”, ho ritrovato il nome di Johann Hirsch in un procedimento che ha coinvolto anche Gilberto Cavallini, Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e la crème della destra eversiva. Si tratta di una sentenza di condanna emessa dal tribunale di Milano nel 1984 per reati di banda armata, traffico d’armi ed esplosivi con finalità di terrorismo. Questa sentenza dimostra che Hirsch conosceva i Nar. Oltre a Danilo Abbruciati, un nome che nel mio libro ricorre più volte e non solo per l’agguato a Roberto Rosone, il vicepresidente dell’Ambrosiano di Roberto Calvi, in cui Abbruciati rimase ucciso.
Nel deposito della Banda della Magliana furono ritrovati anche i proiettili gevelot, dello stesso tipo di quelli usati per uccidere Mino Pecorelli. E l’inchiesta sulla morte del giornalista è stata riaperta proprio grazie alle ricerche che hai fatto per questo libro…
Per sciogliere gli enigmi della banda della Magliana si deve tornare nei sotterranei del Ministero della Sanità, lì dove erano nascoste le armi della banda. Perché non c’erano solo i gevelot usati per uccidere Mino Pecorelli ma anche candelotti fumogeni provenienti dallo stesso lotto di quelli utilizzati dagli assassini di Antonio Varisco per coprirsi la fuga. ll colonnello Antonio Varisco si occupò dello scandalo Lockheed, delle indagini sul gruppo eversivo Rosa dei Venti, dello scandalo Italcasse e del sequestro Moro, inchieste tutte seguite da Mino Pecorelli.
Varisco fu ucciso il 13 luglio del 1979, pochi mesi dopo l’omicidio del giornalista, con quattro colpi di fucile a canne mozze. L’omicidio fu commesso da Antonio Savasta e Rita Algranati, brigatisti della colonna romana, alcuni pure implicati nel caso Moro… quindi personaggi della sinistra. Nessuno si è mai chiesto come sia stato possibile per dei brigatisti rossi usare i candelotti fumogeni provenienti dal deposito della banda, da un deposito dove furono anche trovate armi dei Nar, i nuclei armati rivoluzionari di estrema destra. Strano. Come strane sono state le indagini. Maurizio Abbatino si è detto certo che i fumogeni furono portati da Danilo Abbruciati, ha ricordato i contatti del boss con un uomo dei servizi finito nell’inchiesta sulla morte del giornalista Pecorelli. Dopo l’arresto di Maurizio Abbatino e la sua decisione di collaborare, i magistrati chiesero nuove perizie sulle armi sequestrate nei sotterranei del ministero della Sanità. I sigilli, però, erano stati tolti e le armi manomesse.
In che senso manomesse?
Dentro le canne era stato versato dell’acido e questo rese impossibile le perizie. Da questo inquietante episodio sono partite le mie ricerche. Da quelle armi e da quell’arsenale sono arrivata all’omicidio di Antonio Varisco e ai verbali di Vincenzo Vinciguerra che hanno permesso di riaprire il caso Pecorelli…
Ne “La verità del Freddo” scrivi anche del sequestro di Aldo Moro. La banda della Magliana e Abbatino furono coinvolti nella strage di via Fani?
Nel sequestro di Aldo Moro e quindi nella strage di via Fani no… Maurizio Abbatino mi rivela che l’onorevole Flaminio Piccoli chiese ai capi della banda della Magliana di rintracciare il covo delle brigate rosse. L’ex boss parla di un incontro organizzato su richiesta di Raffaele Cutolo e rivela che la prigione di Moro fu rintracciata e l’informazione riportata. Ma che nessuno intervenne per liberare Aldo Moro.
Abbatino è il Freddo che è stato descritto nel film Romanzo Criminale?
E’ un uomo che si è fidato dello Stato. Che con lo Stato ha fatto un patto. E’ grazie alle sue dichiarazioni che la banda della Magliana è stata smantellata eppure Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione quando a Roma è partita Mafia Capitale con Massimo Carminati imputato. Una contemporaneità inquietante con un messaggio arrivato, forte e chiaro, a chi in quel processo avrebbe potuto parlare. La recente sentenza che ha fatto cadere l’aggravante della modalità mafiosa per Carminati era inevitabile e probabilmente già scritta. L’unico mafioso è Abbatino che alla condanna di primo grado che dava l’associazione mafiosa alla banda della Magliana non ha mai fatto appello. Abbatino è un uomo che non ha mai nascosto le sue responsabilità. Che non ha mai chiesto sconti. Che vive col rimorso di non essere riuscito a salvare il suo unico fratello. Di non averlo protetto. E’ un uomo lucido. Un uomo che non vuole dimenticare i suoi omicidi. Che è deciso a scontare giorno per giorno una pena senza attenuanti. E’ l’unico della banda della Magliana ancora agli arresti. Arresti che sono domiciliari per motivi di salute. Ma che sempre arresti sono. E’ l’uomo descritto nel film e nella fiction. Con la stessa freddezza.