“Io so e ho le prove. Così le banche imbrogliano il correntista”. Confessioni di un ex manager bancario, un libro di Chiarelettere

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Io so e ho le prove. Non sono la vittima di un sistema ma quel sistema ho contribuito
a costruirlo. Questo libro racconta le tante irregolarità che i funzionari di banca hanno praticato e continuano tutt’oggi a praticare. È una testimonianza dall’interno, affinché non esistano più segreti, alibi o ipocrisie”.

È la prima volta che un ex manager bancario racconta tutto. Vincenzo Imperatore è stato per vent’anni nelle direzioni operative di alcuni tra i più blasonati istituti di credito italiani. Prima e dopo la crisi economica. La sua testimonianza svela i segreti, le strategie e i maneggi delle banche a danno del correntista.

I costi eccessivi caricati sui conti correnti (“almeno il 20 per cento di quello che il correntista paga non dipende dal tasso d’interesse”, scrive Imperatore). La moltiplicazione delle commissioni. Il ricatto psicologico dietro le richieste di rientro. L’anatocismo e l’usura. Le cosiddette manovre massive, aumenti quasi impercettibili dei tassi che più del 90 per cento dei correntisti non vede e che producono incassi d’oro per gli istituti. Le procedure di calmierazione reclami per i clienti che si accorgono di movimenti strani sul conto e minacciano di chiuderlo (“Noi lo chiamavamo sistema 72H”, ricorda Imperatore). Le tecniche per piazzare un diamante, una polizza assicurativa o un derivato (“Ci garantivano una redditività enorme”). E ancora centinaia di irregolarità e leggerezze nella redazione dei contratti. Questo libro rappresenta finalmente uno strumento unico e imprescindibile dalla parte del correntista.

L’autore

Vincenzo Imperatore (Napoli 1963), laureato con il massimo dei voti in Economia e commercio, dopo un master in Business administration a Roma è stato quadro direttivo addetto alla gestione delle risorse umane, poi direttore di filiale, direttore Centro piccole e medie imprese e direttore di area nelle piazze più importanti del Meridione. Nel 2012 sceglie la strada della libera professione e fonda InMind Consulting, società di consulenza aziendale che tra le altre attività assiste i propri clienti nelle ristrutturazioni dei debiti bancari.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro:

Io so e ho le prove. Io so e ho le prove della gigantesca truffa operata dalle banche ai danni dei correntisti. Io so e ho le prove perché sono un fuoriuscito. Sono stato per anni il più allineato tra gli allineati, tra i migliori venditori nazionali di polizze e strumenti finanziari. Io so e ho le prove perché ero uno di loro, consapevole della spazzatura che vendevamo quotidianamente a schiere di cittadini e imprenditori che firmavano fiduciosi e ignari.
Io so e ho le prove perché ero talmente schierato e interno al sistema da ricevere costanti attenzioni da parte delle organizzazioni sindacali. Io so e ho le prove delle decine di irregolarità formali praticate dalle banche. Io so e ho le prove di come con incredibile superficialità e consapevole leggerezza abbiamo generato profitti pazzeschi e ottenuto premi di produzione da capogiro per gli obiettivi raggiunti. Io so e ho le prove perché ho partecipato in prima fila alle riunioni operative per decidere la strategia da adottare dopo lo scandalo Lehman Brothers e la crisi dei subprime. Io so e ho le prove di come si muovono le banche di fronte a quei correntisti e a quelle aziende in crisi che rischiano di non riuscire più a onorare la propria posizione debitoria: propongono una ristrutturazione del debito, una rinegoziazione che nasconde la manleva da ogni responsabilità per irregolarità in contratti precedenti, e la presentano al correntista come un’opportunità dilatoria. Io so e ho le prove di come le banche mettono a posto i conti a ridosso delle chiusure trimestrali di bilancio attraverso «manovre massive sugli interessi», quando i manager devono relazionare ai soci sullo stato di salute dell’istituto. Io so e ho le prove di come le banche hanno piazzato e continuano a piazzare polizze assicurative e strumenti finanziari ad alto rischio, spacciati per strumenti di maggiore tutela per il cliente che riceve un prestito. Io so e ho le prove di come le banche fanno cassa «piazzando» televisori, tapis roulant e biciclette ai clienti che richiedono finanziamenti. Io so e ho le prove di come le banche hanno ideato procedure lampo di calmierazione reclami per accontentare e invitare al silenzio quei correntisti che scoprono qualche trucchetto o maneggio sul conto. Io so e ho le prove di come le banche hanno aggirato l’eliminazione per legge della commissione di massimo scoperto sostituendola con due nuove commissioni ancora più onerose per il correntista. Io so e ho le prove dei «deliri di onnipotenza», dei privilegi e degli sprechi dei top manager, tutti pagati dai clienti. Io so e ho le prove di come le banche utilizzano la filantropia e la solidarietà solo come «strumento» per migliorare la loro reputazione. Io so e ho le prove. Non sono la vittima di un sistema ma quel sistema ho contribuito a costruirlo e alimentarlo. Questo libro racconta la mia storia di manager bancario ai vertici delle direzioni operative di alcuni tra i più importanti istituti italiani. Racconta le tante irregolarità morali e materiali che i funzionari di banca hanno praticato e continuano tutt’oggi a praticare. È un racconto tutto dall’interno, affinché non esistano più segreti, alibi o ipocrisie. Non pareggerà i conti, ma adesso posso finalmente dire di aver fatto qualcosa dalla parte del correntista.”

Vincenzo imperatore, Io so e ho le prove. Così le banche imbrogliano il correntista. Confessioni di un ex manager bancario, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 160, € 12,00

La Chiesa estroversa di Papa Francesco. Una riflessione post-sinodale. Intervista a Francesco Antonio Grana.

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Quali problemi pongono alla Chiesa le conclusioni del Sinodo sulla famiglia? Come si svilupperà il dibattito nella comunità cristiana? Ne parliamo con Francesco Antonio Grana, vaticanista de Il fatto quotidiano

Francesco Grana, facciamo un breve bilancio dell’importante Sinodo sulla “famiglia” definito, giustamente, un “Sinodo-Concilio”. Che tipo di Chiesa ci consegna il Sinodo?

Una Chiesa in cammino, in uscita, aperta per usare tre immagini molto care a Papa Francesco. Un cammino, come ha sottolineato Bergoglio nel monumentale discorso con il quale ha chiuso i lavori del Sinodo, fatto anche di cadute, di incertezze e di tensioni. Questa è la sinodalità. Questa è la parresia, il parlare chiaro senza tabù che il Papa ha chiesto all’inizio dell’assemblea e che purtroppo a volte è stata esercitata fuori dall’aula sinodale con libri e interviste. È stato facile accusare noi giornalisti di aver creato dal nulla un “Sinodo dei media”, mentre invece siamo stati strumentalizzati da alcuni padri sinodali che non hanno avuto il coraggio di esprimere i loro pareri contrari alla presenza di Papa Francesco. Con un gesto molto significativo, al termine dell’assemblea, Bergoglio è venuto a salutare a uno a uno tutti i cronisti presenti fuori dall’aula e li ha ringraziati per il lavoro fatto nelle due settimane di discussioni. È molto significativo anche che il dibattito non finisce ma prosegue, proprio come in un vero concilio, con la terza tappa del Sinodo ordinario dei vescovi del 2015 sempre sul tema della famiglia.

Quali sono i punti fermi e quali quelli ancora da definire?

Il cammino è solo all’inizio e i punti fermi credo che siano molto pochi. Sicuramente c’è l’indissolubilità del matrimonio tra un uomo e una donna, il fine procreativo della coppia quindi il divieto dei metodi contraccettivi, la ferma opposizione all’equiparazione delle unioni gay al matrimonio. Da definire ci sono però due aspetti importantissimi che in questo Sinodo sono stati i temi più roventi del dibattito tra i vescovi: l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati e una reale e maggiore accoglienza degli omosessuali nella Chiesa.

Nel Sinodo abbiamo assistito a una dialettica tra “conservatori” (quelli che Papa Francesco definisce “coloro che vogliono chiudere Dio nella lettera della legge”) e “riformatori”. Il risultato è stata la mediazione “alta” della “relatio” conclusiva. Resta in realtà che Papa Francesco è riuscito a vincere sugli isterismi “conservatori”. È così?

La mediazione del documento finale del Sinodo, la Relatio Synodi, è certamente al ribasso se prendiamo come punto di confronto la Relatio post disceptationem preparata dal relatore generale, il cardinale di Budapest Péter Erdö, sulla base della prima settimana di dibattito. Anche il messaggio finale è deludente da questo punto di vista: i toni sono molto freddi e duri e non compare mai la parola omosessuali. I “conservatori” hanno ostacolato un cammino che sembrava già abbastanza avanti e invece il dietrofront è molto evidente se si leggono i documenti sinodali senza nessuna miopia o pregiudiziale ideologica. I critici della linea Bergoglio si sono espressi con chiarezza nelle dieci relazioni dei circoli minori che hanno dato un forte stop alla relazione così “progressista” di Erdö. Papa Francesco, con il suo discorso conclusivo, ha segnato una tappa importante soprattutto quando ha sottolineato che il Pontefice e tutti i vescovi “hanno il compito e il dovere di custodire e di servire la Chiesa di Cristo non come padroni ma come servitori”. E in un altro passaggio altamente significativo Bergoglio ha affermato che il Papa “non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore”, e che bisogna mettere da parte ogni “arbitrio personale, pur essendo, per volontà di Cristo stesso, il pastore e dottore supremo di tutti i fedeli e pur godendo della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa”. Tradotto vuol dire che alla fine decide il Papa perché il Sinodo, come lo ha voluto mezzo secolo fa il beato Paolo VI, è solo consultivo.

Quali sono stati i momenti di maggior tensione? È vero quello che riporta “Repubblica” che il fronte conservatore ha tentato di coinvolgere il Papa emerito contro Francesco?

Non amo rispondere degli scritti di altri colleghi. Posso solo dire che in ambienti vaticani non esiste riscontro di questa manovra. Certamente se ciò fosse avvenuto sarebbe molto grave per i cardinali e i vescovi che sono andati da Benedetto XVI con questo intento, ma Ratzinger è il primo “tifoso” di Papa Francesco. Certo i “sedevacantisti” o coloro che affermano che l’elezione di Bergoglio è “invalida e nulla” traggono molto ossigeno da queste ricostruzioni. Il rapporto affettuoso e leale tra Francesco e il “nonno saggio” Ratzinger è sotto gli occhi di tutti. La tensione si è respirata nell’aula del Sinodo soprattutto nella seconda e ultima settimana dopo la relazione del cardinale Erdö. Evidentemente a molti padri sinodali è mancato quel coraggio di fare un grande passo in avanti verso divorziati risposati e gay.

Come si svilupperà la dialettica “post-sinodale”?

Speriamo non in libreria come è avvenuto alla vigilia di questo Sinodo con una lotta a colpi di volumi scritti da autorevoli cardinali. Il documento finale, la Relatio Synodi, ora passerà al vaglio delle conferenze episcopali del mondo e poi, sempre a questo livello, sarà inviato dalla segreteria generale del Sinodo un nuovo questionario. A Roma il Papa vuole davvero capire cosa pensano i fedeli di tutto il mondo, vuole ascoltare le loro voci, le loro esperienze quotidiane, i loro problemi e le loro sofferenze per offrire risposte concrete e credibili nel tempo che stiamo vivendo, non in astratto.

Ultima domanda: in che misura l’opinione pubblica ha influenzato la maturazione del Sinodo?

Se il tema del Sinodo fosse stato diverso sicuramente non ci sarebbe stata l’immensa attenzione dell’opinione pubblica su temi che le stanno molto a cuore: unioni civili, divorziati risposati, omosessualità e contraccezione. Sono tematiche attuali e roventi che coinvolgono tutti gli uomini nella loro vita quotidiana ed è normale che le attese siano enormi. Ciò ha reso ancora più vivo e interessante il dibattito dei padri sinodali. Non è possibile parlare della sofferenza che vive una famiglia con un figlio disabile senza ascoltare direttamente i protagonisti. Non si possono creare teorie in laboratorio e poi pensare di farle applicare nella vita reale. Parliamo della vita, dei legami affettivi e del sesso. È fondamentale che l’opinione pubblica faccia sentire la propria voce e proprio per questo, con una decisione inedita, Papa Francesco ha voluto che prima del Sinodo fosse somministrato ai fedeli e non di tutto il mondo un questionario su questi temi. Bergoglio lo ha detto con estrema chiarezza: non bisogna cedere alla tentazione di trasformare il pane in pietra per scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati come un fardello insopportabile. “La Chiesa non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani. La Chiesa ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti”.

Paolo VI e la democrazia italiana. Un testo di Marco Damilano.

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Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore e degli organizzatori, la relazione di Marco Damilano (giornalista del settimanale l’Espresso) al Convegno “Paolo VI , Il Concilio Vaticano II e la Terza ondata democratica” , che si è tenuto mercoledì scorso, all’Università “La Sapienza” di Roma.
Lo studio di Marco Damilano mette in evidenza l’analisi di Pietro Scoppola, grande storico cattolico democratico, sul ruolo di Montini nella costruzione della democrazia italiana. Un contributo alla conoscenza della figura di Papa Montini che domenica, a San Pietro, sarà proclamato Beato.

Per rendere più agevole la lettura, il redattore sotto sua responsabilità, ha diviso il testo in 3 paragrafi).

1. Il “montinismo”politico
Cattolico a modo suo, Pietro Scoppola, così si intitola il suo ultimo libro uscito postumo e concluso nelle ultime settimane di vita, il suo scritto più personale e intenso. Cattolico a modo suo, come lo aveva definito Giovanni Battista Montini, papa Paolo VI, difendendo lo storico da chi voleva le sue dimissioni dal comitato preparatorio del convegno ecclesiale del 1976. «È un cattolico a modo suo, ma è bene che rimanga», aveva detto il papa a monsignor Bartoletti. Tra il papa bresciano e l’intellettuale cattolico c’è un rapporto a distanza profondissimo. Tutta l’opera di Pietro Scoppola, l’impegno culturale, civile, politico, religioso, il modo di argomentare e di affinare le analisi, è condizionato dalla figura di Montini. Il grande papa tormentato che era stato prima di tutto il maestro di una o due generazioni. «La mente fine, il maestro sottile di metodica pazienza, esempio vero di essa anche spiritualmente» di cui parla Mario Luzi a proposito di Aldo Moro. E in cui è possibile rintracciare l’impronta di Montini. «Se anche Montini non fosse mai diventato Paolo VI, egli avrebbe rappresentato qualche cosa come una istanza morale nella Democrazia cristiana, il fondamento di una ispirazione politica che sapeva recepire le diversità senza perdere le identità», scrisse Gianni Baget Bozzo su “Repubblica” l’11 agosto 1978, cinque giorni dopo la morte del papa. «Con lui è venuto meno un punto di riferimento per la Democrazia cristiana e per la politica italiana che ha coperto tutto il trentennio repubblicano. A Montini non si deve tutta la Dc, ma si deve il modus operandi che l’ha governata, la maggior qualità della Dc, quello stile che le ha consentito di risolvere i contrasti in convergenze, di distendere le ostilità in “confronto”».
Lo scrive don Gianni Baget Bozzo, ma è stato Scoppola a intuire e raccontare questo Montini un anno prima della sua scomparsa, nel 1977, quando esce La Proposta politica di De Gasperi. È in corso in quel momento il tentativo di rilanciare il dialogo tra i grandi partiti di massa, la Dc e il Pci, come ai tempi della Costituente, con i governi della solidarietà nazionale. L’ultimo ambizioso tentativo di riscrivere le regole del gioco a partire dalla centralità della politica, dei partiti e della loro rappresentanza sociale. Ma al tempo stesso sta entrando in crisi di legittimità il sistema politico italiano uscito da dopoguerra, come ha intuito in solitudine Moro nel 1975: «il futuro non è più, almeno in parte, nelle nostre mani». La delegittimazione della politica è stata preceduta dalla crisi interna della Chiesa, la delegittimazione ecclesiastica cui assiste Montini negli anni immediati del dopo-Concilio. Le due costruzioni in fondo si tengono, hanno un unico architetto e stratega. Forse anche per questo, proprio perché sente che la costruzione  vacilla, Scoppola va a cercare le radici profonde della vicenda storica della Dc e della conversione dei cattolici italiani alla democrazia. Montini è l’eroe di questa vicenda. Sappiamo bene che gli studi storici a partire da quelli di Scoppola ci hanno consegnato uno scontro nel dopoguerra nella Curia tra due ipotesi sul futuro del rapporto tra il Vaticano e la politica italiana. L’ipotesi di monsignor Domenico Tardini, abbracciata anche dal cardinale Ottaviani, in apparenza pluralista, al punto da favorire lo sviluppo dei cattolici comunisti, in realtà di stampo reazionario e conservatore perché dà per scontato che la maggioranza dei cattolici confluirà in un partito di destra nazionale e franchista. E ‘ipotesi che alla fine uscirà vincente, quella di monsignor Montini, la costruzione dell’unità politica dei cattolici come premessa possibile di una confluenza dei credenti nella democrazia, l’appoggio alla leadership degasperiana come possibile strategia per evitare lo scivolamento a destra, nell’autoritarismo, di gran parte del popolo cattolico. È qui, in questo passaggio non facile e non sempre compreso, che nasce il montinismo politico, inteso come un’avanguardia illuminata che guida il corpaccione, sia esso la massa informe della Dc sia esso il popolo dei fedeli senza pastore, l’impaurito e solitamente conformista establishment clericale.
Di questo primo Montini Scoppola descrive e racconta l’evoluzione, gli scontri, l’isolamento. L’estromissione di Montini dalla Fuci nel 1933, provocata dalla crescente tentazione egemonica e di massa nel mondo cattolico. A questo progetto, neo-tomista e piramidale, con grande attenzione ai mezzi di comunicazione, poi ricompreso sotto la categoria del geddismo, da Luigi Gedda, che già nell’estate ’43 ha la lucidità di chiedere a Badoglio per i cattolici la gestione della radio, la potenza dei numeri, della mobilitazione e dell’organizzazione che resterà in eredità in una certa mentalità non solo del mondo cattolico, Montini contrappone il progetto maritainiano-montiniano, l’ideale concreto della nuova cristianità: una visione del mondo, non una ideologia, il «passaggio dei valori morali all’azione concreta in una situazione storica data che implica un appello alla libertà della persona», scrive Scoppola (nella Nuova cristianità perduta , p.22). È su questo terreno che avviene l’incontro con Montini. «Montini», lo ritrae Scoppola nella Repubblica dei partiti (p.104-105), «è il figlio di una borghesia produttiva che ha la consapevolezza del suo ruolo sociale e del contributo recato allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese». Notazione interessante. Montini è il curiale borghese. Non conosce l’immobilismo, il relativismo etico, il cinismo immutabile, eterno, degli Ottaviani e del partito romano.
E diventerà, eletto nel 1963, il primo papa del Novecento, il primo a portare al vertice della Chiesa la nevrosi, il ritmo della modernità. Se Jorge Mario Bergoglio è il primo papa ad arrivare da una megalopoli come Buenos Aires, pastore metropolitano, Montini è il primo a conoscere ansie, dubbi, occasioni della modernità. Ha interiorizzato la lezione di Mounier: «L’avvenimento sarà il tuo maestro interiore». Il borghese Scoppola riconosce il tratto comune del borghese Montini, le letture, le inquietudini.
Proprio perché calato nella storia il progetto conosce flussi e riflussi, laddove l’integralismo è portato a suonare sempre la stessa nota, indifferente al mutare delle situazioni. Un filo spirituale, prima ancora che politico, lega Montini a De Gasperi, anche nei momenti di massima tensione, fotografata dall’appunto di De Gasperi datato 12 novembre 1946,  il retroscena di un incontro con M. in cui la Santa Sede chiede alla Dc di abbandonare la collaborazione non solo con le sinistre ma con i partiti laici. «La Dc non avrebbe più il nostro appoggio né la nostra simpatia», minaccia M., cioè Montini, per conto di Pio XII. «Sono 207», scrive De Gasperi a proposito dell’alleanza Dc-Uomo Qualunque. «Costituente?», chiede all’ambasciatore del papa. Che si fa della Costituente? «Alla fine», scrive De Gasperi, «M. aveva notevolmente cambiato» (in La proposta politica di De Gasperi, p.293). È a Montini che Emilio Bonomelli (nella sua casa a Castel Gandolfo il Sostituto vede De Gasperi) chiede nel 1952 se in Vaticano hanno idea delle conseguenze che potrebbe provocare l’operazione Sturzo e l’isolamento di De Gasperi. «È proprio quello che vogliono», risponde Montini.
«Quello di Montini è un atteggiamento di sapiente apertura al nuovo, sul piano spirituale, e accorto uso degli strumenti diplomatici», commenta Scoppola. C’è la presenza di una destra sotterranea, irresponsabile, revanchista, a preoccupare Montini, a farlo muovere in dissenso da papa Pio XII. Uno scontro che finisce in apparenza con la sconfitta di Montini, allontanato da Roma e esiliato a Milano e da allora in poi circondato da una sostanziale diffidenza da parte dell’ambiente curiale e della conservazione ecclesiale. E invece quello scontro anticipa l’egemonia dei cattolici democratici nella politica italiana. Gli anni del boom economico sono anche gli anni della massima presenza cattolica nelle istituzioni, anche se è spesso una presenza non compresa. E al termine di un lungo periodo di benessere, come un’eterogenesi dei fini arriva la secolarizzazione, «il salto nel vuoto etico», lo definisce Scoppola. Fenomeno globale e europeo, certo, ma con una preoccupante velocità nella Francia culla della cultura di riferimento di Montini (e di Scoppola) e con una lacerazione senza precedenti nella comunità ecclesiale in Italia.
Il secondo Montini analizzato da Pietro Scoppola non è più l’audace diplomatico che forza fin dove si può, ma il papa solo e tormentato.
Paolo VI vive nella crisi, come un pastore tra le sue pecore. Oscilla tra l’ascolto e l’esigenza di rimettere ordine, in modo drammatico. Chiede all’amico Jean Guitton: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio Dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’ […] Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che All’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico…». Scoppola a questo proposito parla di un dramma, «una spaccatura» fra i montiniani e Montini che è il papa. «Una parte cattolica si sente tradita da Montini», scrive Scoppola nella Nuova cristianità perduta. Dall’altra parte c’è lo «stupore» di Montini per il tradimento di intellettuali come La Valle, Brezzi, Pratesi, Gozzini che «abbiamo portato nel nostro cuore» e che si candidano nelle liste del Pci. «Talvolta», dice il papa nell’udienza del 12 maggio 1976, a poco più di un mese dal voto politico, «sono gli amici più cari, i colleghi più fidati, i confratelli della medesima mensa sono proprio quelli che si sono ritorti contro di noi. La contestazione è divenuta abitudine, l’infedeltà quasi affermazione di libertà». La sofferenza del papa che monsignor Benelli comunica a Scoppola in una cena a casa dello storico, lasciandolo «preoccupato e spaventato e addolorato», testimonia l’ambasciatore Gian Franco Pompei.

2. La sfida della secolarizzazione: fine della “nuova cristianità”
Entra in crisi la cultura della mediazione che è stata il tratto del montinismo politico, entra in crisi il centro inteso come sintesi, non come immobilismo o come spazio geometrico. «Oggi il centro è l’area in cui si manifestano le maggiori tensioni, l’area stessa della crisi», scrive lucidamente Scoppola in La Nuova Cristianità perduta; già a metà degli anni Ottanta. «I partiti che dovrebbero promuovere le riforme sono condizionati dall’autoconservazione delle classi dirigenti. Non c’è un De Gaulle italiano: o il sistema si autoriforma o si apre una stagione in cui tutte le avventure sono possibili». E non basta invocare per il cattolicesimo italiano del modello polacco che segnerebbe «una ghettizzazione della presenza cattolica». Trent’anni dopo si può dire che tutte queste previsioni erano esatte. La riproposizione dell’ipotesi Tardini, dopo la fine della Dc, la speranza di guidare lo schieramento della destra con uomini provenienti dall’associazionismo cattolico, l’egemonia tentata dal cardinale Ruini con il progetto culturale si è dimostrata fallimentare. Ma anche gli eredi del montinismo sono rimasti prigionieri di un gergo antico ormai privo di contenuti e del culto della mediazione esasperata, fine a se stessa. La nuova cristianità si è dissolta, insieme alla nozione stessa di progetto storico: non solo per i cattolici impegnati in politica, ma anche per i filoni della sinistra che negli anni Settanta-Ottanta sembravano invincibili. Il bipolarismo politico si è risolto, in Italia, in un bipolarismo religioso. Che ha provocato alla fine il deserto della presenza cattolica.

3. La nuova via: la “cultura” dei comportamenti
Resiste, rilanciata dalla figura di papa Francesco, la lezione della cultura dei comportamenti (Nuova cristianità perduta, pp.200-201) che Scoppola aveva intuito come alternativa alla cultura del progetto «come una purificazione e un superamento più che come una rottura». Non c’è una nuova cristianità da ricercare, non nella sfera della politica e non con le armi del potere, c’è da vivere questa realtà e questo tempo «con il massimo di distacco interiore e di libertà» La lezione di Montini nel suo testamento da papa: «Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena…». E quella di Scoppola, racchiusa in un commento scritto per Repubblica il giorno dei funerali di papa Wojtyla  e pubblicato il giorno dopo, il 9 aprile 2005. In cui lo storico racconta «dopo l´ossessione mediatica dei giorni della malattia» di sentire «un inconfessabile desiderio alternativo», «una celebrazione non concentrata tutta fisicamente in San Pietro, quasi a sottolineare che la Chiesa è realtà complessa, unita, sì, nel Papa ma non è il Papa». Scoppola realizza il suo disegno alternativo nella sua parrocchia dove in una chiesa quasi deserta un giovane prete legge il Vangelo di Giovanni sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci per sfamare la folla che aveva seguito Gesù. L´episodio che si conclude così: «Allora la gente visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: ‘Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo’. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo nella montagna tutto solo». «Mi pare», commenta Scoppola, «che quel “tutto solo” sia lo spazio della coscienza, del rapporto interiore con il mistero di Dio, sia ´antidoto alla tentazione di trasformare una manifestazione di fede, spontanea, bella e vissuta, di popolo, in un segno di potenza. Paradossalmente, la condizione di questo prestigio, di questa capacità di presa della Chiesa sul popolo è proprio negli spazi di quel “tutto solo” nei quali Gesù si rifugiava. Forza e debolezza nella Chiesa sono strettamente intrecciate: la Chiesa è una forza debole… La manifestazione trionfale in San Pietro è anche una grande sfida per la Chiesa di domani». La sfida oggi raccolta da papa Francesco, lanciata nel cuore del Novecento da Giovanni Battista Montini.

L’attualità di Papa Paolo VI. Intervista a Fulvio De Giorgi

UnknownIl 19 Ottobre,  a Roma, ci sarà la Beatificazione di Papa Paolo VI.  Il grande Papa    del Concilio, e del protagonismo dei laici nella Chiesa e nella Società. Per comprendere l’attualità della sua figura abbiamo intervistato il professor Fulvio De Giorgi, storico del Movimento Cattolico italiano, autore di un’opera su Paolo VI in uscita nel prossimo mese di Novembre.

Libro in uscita: F. De Giorgi, Paolo VI, Brescia, Morcelliana, 2014.

Professore, domenica prossima, in San Pietro, Papa Bergoglio proclamerà Beato Paolo VI. Qual’è  la lezione “perenne” , per tutta la Chiesa, del magistero di Papa Paolo VI?

Una valutazione storica complessiva del pontificato di Paolo VI e della sua lezione storica “perenne”, come Lei efficacemente la definisce, si lega indissolubilmente al Concilio Vaticano II. Il Concilio infatti, deciso e avviato profeticamente da Giovanni XXIII, rischiava di arenarsi e di fallire, anche per l’emergere di divisioni e contrasti. Fu dunque merito di Paolo VI avere condotto il Concilio alla sua meta, aver realizzato così un ‘corpus’ imponente (per qualità, ma anche per quantità) di documenti innovatori e aver ottenuto su questi documenti praticamente l’unanimità dei vescovi. Il Concilio Vaticano II fu veramente e in molti sensi il Concilio di Paolo VI. Pertanto il giudizio storico sul pontificato di Paolo VI si lega al giudizio storico che si dà del Concilio: se si pensa (come anch’io penso) che il Concilio abbia avuto un’importanza storica straordinaria, realizzando una svolta epocale (che non vuol dire una ‘rottura’) nella storia della Chiesa cattolica, allora pure il pontificato di Paolo VI  ha avuto un’importanza storica straordinaria. I fuochi principali furono, a mio avviso, due: la Chiesa dismise l’atteggiamento anti-moderno che aveva assunto da secoli e abbracciò un sereno dialogo con il Moderno; nel contempo la Chiesa smise di essere etnocentrica, eurocentrica, romanocentrica e divenne veramente una Chiesa mondiale, in cui le chiese locali di periferia non erano più terminali passivi, ma membra attive.

Per gli storici della Chiesa il pontificato di Papa Montini è stato il “pontificato del dialogo”, vedi l’Enciclica “Ecclesiam Suam”, ovvero l’apertura, confermata dal Concilio Vaticano II,della Chiesa al Mondo. Le chiedo: cosa lega l’attuale pontificato di Papa Francesco a quello di Paolo VI?

Sono molti i ‘fili storici’ che legano Bergoglio a Montini e fanno di papa Francesco un vero montiniano. Avrei bisogno di molto spazio e molto tempo per ripercorrere tutti questi fili (legami di Paolo VI con l’America latina e con l’Argentina; il card. Pironio; la conferenza di Medellin; il teologo Gera; e insieme i rapporti di Paolo VI con i Gesuiti, con Arrupe, con la XXXII Congregazione generale della Compagnia, che portò al decreto n. 4, così ‘montiniano’ e così decisivo per capire Bergoglio) e per indicare i documenti di Paolo VI che sono necessari per comprendere Francesco (sicuramente, come Lei osserva, “Ecclesiam Suam”; ma anche “Gaudete in domino” e “Evangelii Nuntiandi”: che sono quasi sintetizzate nella bergogliana “Evangelli Gaudium”). Ma mi devo limitare ad indicare il grande discorso di chiusura di Paolo VI al Concilio Vaticano II, più volte richiamato – esplicitamente e implicitamente – da Francesco. Allora Montini fece vedere come nei piccoli (poveri, sofferenti, bambini) il cristiano vede il volto di Gesù, ma chi ha visto Gesù ha visto il Padre: dunque dall’amore del povero e solo dall’amore del povero si giunge veramente a Dio.

Giovanbattista Montini, prima di diventare Papa, è stato un protagonista assoluto del cattolicesimo italiano. Infatti, la maggior parte della classe dirigente cattolica italiana della Prima Repubblica veniva dalla Fuci di Montini (es. Aldo  Moro).  Le chiedo: si può considerare Papa Paolo VI maestro di laicità?

Indulgendo per un momento alla ‘storia controfattuale’, immaginiamo che Giovanni Batista Montini fosse morto nel 1954 (prima di diventare arcivescovo di Milano e poi papa), ebbene sarebbe stato comunque uno dei grandi personaggi della storia della Chiesa contemporanea! Tra i suoi meriti vi fu pure, non piccolo, quello di aver formato la ‘classe dirigente cattolica’: non quella, come volevano alcuni, che doveva raccogliere l’eredità di Mussolini realizzando un fascismo cattolico, con un’ideologia nazional-confessionale; ma quella (formata nella Fuci e nei Laureati cattolici) di sentimenti antifascisti, ispirata al pensiero di Maritain, che avrebbe costruito la democrazia italiana, con uno spirito di vera laicità. La gran parte dei maggiori Costituenti e uomini politici italiani del secondo dopoguerra era legatissima a Montini: faccio solo i nomi di De Gasperi, La Pira e Moro. Tuttavia vorrei aggiungere che, davanti ad un uomo-mondo quale fu Montini-Paolo VI, non dobbiamo rimanere nell’orizzonte solo italiano. Se dovessi dire quali furono i politici che più si avvicinarono agli ideali montiniani direi, senz’altro, John e Robert Kennedy, che egli incontrò personalmente e stimò.

Anche nel magistero sociale della Chiesa Paolo VI è  stato un innovatore (vedi la Populorum Progessio e l’Octogesima Adveniens). Cosa resta di quel Magistero sociale?

I due grandi documenti, che Lei ha giustamente richiamato, ricollegandosi strettamente alla Costituzione conciliare “Gaudium et Spes” (da Paolo VI fortemente voluta) realizzarono una  ‘svolta’ di portata gigantesca: milioni di cattolici nel mondo che fino allora avevano prevalentemente coltivato ideali sociali e politico-civili di conservazione e di ordine si spostarono su posizioni democratiche avanzate, tendenti alla riforma, alla giustizia sociale e alla pace. Certo nel periodo che va dalla fine del XX secolo all’inizio del XXI, con l’egemonia mondiale del neo-liberalismo (e l’attacco alle politiche di Welfare) tutto questo è stato oscurato. Anche nella Chiesa sono emersi movimenti conservatori e neotradizionalisti che hanno o dimenticato Paolo VI o hanno cercato di dare una lettura conservatrice di quel pontificato: come se fosse stato una sorta di Pio XIII. Letture storiograficamente sbagliate e false. Ma con un chiaro intento ecclesiale: archiviare il Concilio. E con un altrettanto chiaro intento politico: archiviare il cattolicesimo democratico-sociale. Ma la drammatica crisi finanziario-economico-sociale, che ci angustia dal 2007, fa vedere i disastri del neo-liberalismo. E fin dal pontificato di Benedetto XVI si è visto che ciò ha portato ad uno ‘tsunami’ distruttivo anche nella stessa vita della Chiesa e della fede. Come rispondere alla desertificazione neo-liberale dei cuori? Non c’è dubbio: con il Concilio e con Paolo VI. Non parlo perciò del montinismo del passato, che è alle nostre spalle, ma di un necessario montinismo del futuro. È quello che papa Francesco sta cercando di fare. Spero che ci riesca.

Quella di Papa Montini è stata una spiritualità altissima. Che tipo di Spiritualità alimentava la sua fede?

La spiritualità di Paolo VI è insieme semplice – un cristocentrismo evangelico – ma anche complessa a volerne indagare in profondità le fonti bibliche, patristiche, intellettuali e spirituali (Pascal, Teilhard de Chardin, Charles de Foucauld, per esempio). Ma se devo limitarmi a poche battute, preferisco cedere la parola a lui stesso. Visitando, primo papa nella storia, la Terra santa, Montini così pregò:

Beati noi se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi se, formati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della vendetta e abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della bontà e della pace.

Beati noi se non facciamo dell’egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel dolore uno strumento di redenzione, e nel sacrificio la più alta grandezza.

 

Sarà il Sinodo della Speranza? Intervista a Massimo Faggioli

Massimo Faggioli “Per ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla Sua Chiesa, dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l”odore’ degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce. A quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”. Così Papa Francesco si è rivolto ai fedeli in piazza San Pietro, durante la veglia di preghiera organizzata dalla Cei alla vigilia del Sinodo. “Conosciamo – ha aggiunto il Pontefice – come nel Vangelo ci siano una forza e una tenerezza capaci di vincere ciò che crea infelicità e violenza”.
Con queste parole molto forti Papa Francesco ha dato, praticamente, inizio al Sinodo straordinario sulla Famiglia. Quali le prospettive di questo evento molto atteso? Ne parliamo con il Professore Massimo Faggioli, Storico della Chiesa all’ University of St. Thomas (USA).

 

Professore, Lei ha definito, questo Sinodo straordinario sulla famiglia, come l’evento più importante, dal dopo Concilio Vaticano II, per la Chiesa Cattolica. Perché?
Perchè nel corso degli ultimi 50 anni, dalla fine del concilio in poi, nella chiesa cattolica si era pensato di poter fare a meno della dimensione collegiale, specialmente quando si trattava di discernere questioni morali e sociali. Papa Francesco è cosciente di questo deficit di collegialità: nel corso del pontificato ha parlato spesso ed esplicitamente di collegialità, e anche nel discorso in Piazza San Pietro della sera del 4 ottobre alla veglia pre-Sinodo organizzata dalla CEI.

Il tema è la Famiglia, che nella nostra società si declina in modi diversi (da quella tradizionale alle coppie omosessuali). Un tema che scotta per la morale cattolica. Le chiedo: Il Sinodo sarà all’altezza delle sfide?
Nessuno lo sa prima che inizi, ma quello che è nuovo è il fatto che il Sinodo, nei suoi membri di diritto e in quelli nominati dal papa, rappresenta voci diverse e quindi non c’è un copione già scritto, come è accaduto per tutti i Sinodi dal 1967 ad oggi. Ma non dimentichiamo che questo Sinodo è solo la prima parte dell’anno sinodale: nell’ottobre 2015 c’è un altro Sinodo sullo stesso tema e quindi quello che si apre domenica 5 ottobre sarà in un certo senso anche la preparazione dei prossimi 12 mesi e non darà soluzioni definitive a problemi (come le unioni omosessuali) di cui la chiesa non ha mai parlato in modo collegiale.

La vigilia è stata segnata da polemiche, da parte degli ambienti conservatori, nei confronti delle posizioni del cardinale Kasper, molto vicino a Papa Francesco, sulla riammissione dei divorziati risposati al sacramento eucaristico. Quanto è forte questa posizione?
Non è chiara la consistenza numerica delle posizioni, ma si ha l’impressione che gli oppositori di Kasper abbiano parlato di più e si siano organizzati meglio nella fase presinodale. Ma al Sinodo non ci saranno due fronti netti: su molte questioni ci saranno posizioni più sfumate. Le posizioni destra-sinistra a cui siamo abituati in Occidente non valgono per le chiese che non sono in Europa e Nord America.

L’impressione che si ha è che nel Sinodo si giocherà una partita, che va ben al di là del tema proposto, ovvero una sorta di “rivincita” di certi ambienti, sconfitti al Conclave, nei confronti dell’opera di rinnovamento di Papa Francesco. E’ così?
Da parte di alcuni c’è certamente voglia di rivincita, ma direi che quelle sono più che altro frange al di fuori dell’episcopato: il primo anno e mezzo di papa Francesco ha accreditato la sua capacità di interpretare i bisogni della chiesa nel mondo moderno presso tutti gli schieramenti, a parte quelli più ideologizzati.

Tornando al Sinodo: qual è la la posta in gioco dal punto di vista ecclesiologico e teologico?
Dal punto di vista ecclesiologico, la questione è se il Sinodo dei vescovi come istituzione è capace di essere espressione della collegialità episcopale (finora non lo è stato) e se i vescovi sono ancora capaci di dibattere tra di loro al fine di esprimere una teologia che sia anche pastorale. Dal punto di vista teologico, è la questione di come articolare dottrina e pastorale alla luce delle necessità delle anime del nostro tempo, specialmente di quanti non sono perfetti ma peccatori – cioè tutti.

Ultima domanda. Lei vive negli Usa ed insegna in una Università americana, quindi è a stretto contatto con il mondo cattolico statunitense. Il Papa Francesco sta usando, con fortissima determinazione, il pugno di ferro nei confronti di preti e vescovi che hanno commesso , o sono stati silenti, questo orribile crimine. Come sta reagendo la Conferenza Episcopale USA?
Dalla conferenza episcopale USA non ci sono state reazioni agli eventi delle ultime due settimane, ma in America l’azione di papa Francesco era attesa in modo particolare. Si potrebbe dire che “l’effetto Francesco” ha iniziato a farsi sentire solo adesso, dopo un anno e mezzo in cui molti americani temevano e altri speravano che Francesco non avrebbe avuto un impatto in America.